Nasce l’Academy tech di Motore Sanità per informare e formare gli operatori sanitari dei potenti mezzi tech a loro disposizione

Nasce l'Academy tech

4 Dicembre 2020 – Da molto tempo Motore Sanità aveva l’intenzione di portare avanti un’iniziativa in cui le tecnologie innovative dell’ICT fossero l’oggetto di un corso di alta formazione per tutti gli operatori sanitari: manager, medici, infermieri e personale socio sanitario. Dopo una serie di webinar che si sono tenuti nei  mesi scorsi Motore Sanità ha raccolto l’esigenza del mondo socio sanitario di creare un ponte tra il mondo  delle tecnologie e i protagonisti che si occupano di sanità.

Un format di questo genere mancava fino ad ora, tuttavia è fondamentale per divulgare la forza di questi  strumenti ed in particolare per spiegare/insegnare agli ‘operatori sanitari’ come si possano sfruttare le innovazioni per il bene del sistema sanitario, per il loro lavoro e nell’interesse dei pazienti, oltre che far conoscere anche le Aziende che propongono le diverse soluzioni e capire dove si stia orientando la ricerca e sviluppo dell’innovazione. Questo mercato anche a seguito della pandemia è in trasformazione continua ed è letteralmente ‘esploso’. Partner dell’iniziativa sono stati AlmavivA, CINECA, Engineering ed OPT S.r.l. – Consulenza di direzione.

“La pandemia ha messo in luce la centralità delle tecnologie digitali nella gestione degli eventi di tale portata: una sfida per la quale la sanità pubblica non era pronta, e soprattutto, una lezione che non possiamo ignorare. Le nuove piattaforme digitali “ad ecosistema” dovranno abilitare una data governance completamente integrata e sempre più real-time dei fenomeni sanitari e non solo, ossia, divenire strumenti concreti per la tutela della salute e di tutte le attività sociali” – ha detto Arianna Cocchiglia, Healthcare Innovation and Partnership Director, Engineering

La leva digitale consente oggi una delega decisionale sempre più forte. Blockchain, AI e IoT fra gli ecosistemi tecnologici sono i principali attori di questa accelerazione, anche in ambito Sanità. La complessità di questi ambienti richiede una competenza tecnologica profonda, solida esperienza e nuova sensibilità. Tecnologie da orchestrare e condurre con efficacia e sicurezza alla soluzione di problemi, tenendo conto di normative, valori etici e cultura del contesto. Ogni giorno affrontiamo le esigenze del mercato mettendo in campo questa esperienza e competenza, senza fermarci a quanto già sappiamo fare, confrontandoci costantemente con nuove sfide” – ha sottolineato Alessandro Mantelli, CTO soluzioni innovative di Almaviva

“La gestione del paziente secondo appropriati modelli di governance deve prevedere una presa in carico  multidisciplinare, una chiara identificazione dei setting assistenziali coinvolti e la formalizzazione di percorsi standardizzati verificabili nella loro efficacia attraverso indicatori e sistemi di monitoraggio dedicati. La nostra offerta di strumenti di Health Governance Intelligence, di cui e-NutraCare è un esempio, vuole concretamente fornire al Sistema Salute degli strumenti intuitivi, sostenibili e proattivi sposando il principio del “misurare per migliorare” – queste le parole di Camilla Taglietti, Consulenza di Direzione – OPT

Oggi, a consuntivo, registriamo che c’era un’anomalia sugli accessi ai pronto soccorso e sulle segnalazioni sulle polmoniti in Italia, quantificabile in circa il 30% di casi in più rispetto agli anni precedenti. Se avessimo avuto  questi dati all’inizio del Covid, sarebbe stato agevole costruire le mappe delle fragilità e mettere in campo azioni di prevenzione. – ha dichiarato il Direttore Generale di Cineca David Vannozzi – Poter raccogliere dati, integrarli, utilizzarli, in modo anonimo, per attività di sorveglianza e di prevenzione è un passaggio decisivo in emergenza. In  questo, probabilmente servirebbe un soggetto, che, in collaborazione stretta con le Regioni, abbia una visione complessiva. Nel protocollo che stiamo per firmare con il Ministero della Salute un punto centrale è proprio la possibilità di raccogliere dati di diverso formato e origine, anonimizzarli e integrarli, per realizzare una piattaforma tecnologica a supporto di tutto il SSN“.

“La tecnologia è parte fondamentale del futuro SSN alla fine di questa drammatica pandemia. L’implementazione  delle esperienze di telemedicina, ora tariffate ed in parte normate da linee guida nazionali, vanno messe a s istema uniformandone l’uso nelle varie Regioni. L’intelligenza artificiale a supporto della diagnostica, le app ed i dispositivi medici per potenziare l’home care e la medicina territoriale sono altri strumenti ad utilizzo futuro per un reale rapporto proficuo tra ospedale e territorio. La sanità digitale deve diventare realtà recuperando il gap verso gli altri paesi ad alta  produzione assistenziale e di salute. Motore Sanità Tech ambisce ad un ruolo centrale per riunire in uno sforzo comune tutti gli attori del sistema per gli obiettivi di cui sopra ed altri ancora”, ha detto Claudio Zanon, Direttore scientifico MOTORE SANITÀ

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ANTIBIOTICO RESISTENZA: LOTTA ALLE INFEZIONI CORRELATE ALL’ASSISTENZA

Antibiotico resistenza

L’Antibiotico resistenza non è una malattia, bensì un fallimento terapeutico. Un fallimento che passa anche spesso attraverso una difficoltà nella fase diagnostica e una mancata efficace strategia preventiva. Per questo l’AMR è un problema di tutti. Il fenomeno dell’AMR è in costante crescita in 23 su 26 Paesi Ocse con incremento medio annuo del 5% (in Italia si è passati dal 17% nel 2005 a circa il 33% nel 2018) e pesa come enormemente sulla sostenibilità dei sistemi sanitari. Il suo impatto si può facilmente comprendere da questi dati:

1. 700 mila morti a livello globale dovuti ad infezioni molti dei quali sono causati dai super batteri che non trovano più terapie disponibili.

2. In Europa si parla di almeno 30 mila morti/anno un terzo delle quali in Italia (le stime indicano 10-11 mila morti/anno, 27-30 al giorno) dovuti nello specifico ai batteri resistenti. I costi stimati sono di circa 1,1 Miliardi€/anno.

3. Negli ospedali (dati USA) si spendono in media dai 10 ai 40 mila $ per trattare un paziente colpito da batteri resistenti, a cui vanno aggiunti i molti costi indiretti legati alle spese sociali ed alla perdita di produttività di malati e famiglie.

Come richiesto dall’OMS “l’industria deve tornare ad investire sulla ricerca di nuovi antibiotici”. Oggi infatti mancano purtroppo armi efficaci per combattere questi batteri resistenti, problema di salute pubblica a livello globale che preoccupa le autorità di tutto il mondo. Ma esiste una grande criticità rappresentata dalle difficoltà di rendere sostenibile la ricerca nel campo dell’antibiotico-terapia, riconoscendo poi il giusto valore all’innovazione prodotta. Diventa fondamentale in questo percorso tenere conto dei costi evitabili in termini di salute, di benessere sociale, di economia globale. Il Covid-19 ci dovrebbe aver insegnato molto sulla globalità ed interconnessione stretta di questi aspetti: infatti rappresenta l’attualizzazione dell’impatto di un evento pandemico inatteso su parametri spesso ritenuti scontati. Tale effetto era già previsto per l’AMR, una pandemia continua e silente da tempo annunciata: da qualche anno oramai era stata diffusa la notizia di come l’OMS avesse previsto nel 2050 che le infezioni resistenti fossero destinate e diventare la prima causa di morte (10 milioni di persone morte all’anno). La Banca mondiale dell’economia a seguito di questo, nel suo rapporto sulle infezioni resistenti aveva ipotizzato diversi possibili scenari per il periodo 2017-2050:
● Un impatto sul PIL globale annuo in diminuzione entro il 2050 dell’1,1% nello scenario a basso impatto e del 3,8% nello scenario ad alto impatto.
● Un impatto sulla povertà globale con un forte aumento della povertà estrema (ulteriori 28,3 milioni di persone in estrema povertà nello scenario ad alto impatto nel 2050).
● Un impatto sul commercio mondiale con un volume delle esportazioni reali globali ridotto dell’1,1% e del 3,8% nei due scenari.
● Un impatto sui costi sanitari con aumenti globali che possono variare da $300 miliardi a oltre $1 trilione all’anno entro il 2050.

LE PROPOSTE OPERATIVE

1. Riorganizzare il sistema attraverso piani d’azione reali perché applicati in ogni territorio.
2. Investire le giuste risorse che tengano conto dei costi globali evitabili, superando la logica dei silos budget.
3. Potenziare e concretizzare la antimicrobial stewardship in tutte le regioni (insieme di interventi coordinati, che hanno lo scopo di promuovere l’uso appropriato degli antimicrobici e che indirizzano nella scelta ottimale del farmaco, della dose, della durata della terapia e della via di somministrazione).
4. Sostenere un sistema di sorveglianza microbiologica efficiente e strettamente collegato in ogni regione, che alimenti una cabina di regia Nazionale permanente.
5. Promuovere ed incentivare la ricerca di nuovi antibiotici e nuovi sistemi di partnership pubblico-privato
6. le istituzioni devono aggregare forze/competenze/risorse per combattere la lotta ottimizzando l’utilizzo di tutte le professionalità: dall’industria, ai clinici tutti, ai farmacisti, ai referenti della comunicazione.
7. AI nuovi antibiotici prodotti attraverso gli sforzi della ricerca va riservato un percorso d’accesso rapido proporzionato al loro impatto in termini di salute globale ed una giusta valorizzazione.

PIANO ORGANIZZATIVO

La prevenzione è un aspetto fondamentale e irrinunciabile per affrontare correttamente il problema dell’ AMR. Ma purtroppo non è l’unico. Negli oramai 4 anni dal piano nazionale PNCAR, tutto o quasi è stato scritto, ma purtroppo molto poco è stato messo in pratica. La corretta comunicazione basata sulle evidenze scientifiche è una parte importantissima legata alla organizzazione: l’esempio della comunicazione impropria durante Covid è molto illuminante (la prudenza e l’attenzione sono fondamentali per garantire comportamenti corretti e rispettosi delle norme di prevenzione). Esperti operatori e cittadini devono essere informati correttamente e senza proclami. I protocolli applicativi sulla prevenzione devono essere rispettati in primis dagli operatori sanitari addestrati ed informati, che devono essere di esempio per tutti i cittadini, sia sul territorio che nelle strutture di cura, ad iniziare dall’utilizzo corretto dei DPI, per andare allevaccinazioni ed alle terapie.

Proposte sono:
➢ sviluppo e potenziamento delle reti infettivologiche e microbiologiche, programmato a livello centrale ed applicato subito con una cabina di regia a livello Nazionale che faccia monitoraggio costante e segnali allarmi in tempo reale.
➢ All’interno del PNCAR su patologie critiche ad alto rischio, come ad esempio la sepsi e lo shock settico vi è la necessità di un più ampio coinvolgimento di Anestesisti Rianimatori Intensivisti e di specialisti delle medicine d’urgenza per la stesura di percorsi e protocolli che hanno un ruolo centrale nel trattamento nelle terapie intensive e aree critiche.
➢ Deve esservi anche un attento monitoraggio dei contenziosi legati all’AMR, aspetto spesso sottovalutato ma che invece consuma una grande quantità di risorse che potrebbero essere impiegate per curare meglio le infezioni.
➢ La medicina territoriale deve essere fornita di strumenti di base per la diagnostica, cosa che consentirebbe un intervento rapido ed una maggiore appropriatezza prescrittiva, che limiti la diffusione delle resistenze batteriche e del contagio a livello ospedaliero per l’invio di pazienti che hanno sviluppato infezioni resistenti.

PIANO INNOVAZIONE E RICERCA (DIAGNOSTICA E TERAPIA)

La diagnostica di laboratorio per avere certezza su quale batterio sia causa dell’infezione, è fondamentale e non può essere vista come un imbuto che rallenta il percorso terapeutico appropriato per: carenza di personale, chiusura dei laboratori, carenza di apparecchiature adeguate. Proposte sono:
● Mantenere e potenziare il sistema con la creazione di una rete di connessione forte attraverso un potenziamento degli organici ma centralizzando alcuni servizi per evitare inutili replicazioni.
● Un’esigenza fra tutte: la diagnostica rapida nelle situazioni di complessità (sepsi ed altre gravi infezioni in pazienti fragili o ad alto rischio), strumento che individua in tempi molto brevi l’agente o gli agenti infettanti, oltre a salvare la vita dei malati. Il suo utilizzo centralizzato negli ospedali di riferimento territoriale ed in mani esperte, riduce il rischio di aumentare le resistenze agli antibiotici, consentendo a microbiologo clinico e clinico curante di decidere insieme, la migliore risposta in tempi brevi, la scelta più appropriata, la migliore cura.
● Le 40 unità di microbiologia presenti in Italia vanno rilanciate e già il recente decreto rilancio lo prevede (con il potenziamento delle reti Covid). Di questo non vi è stata declinazione nel PNCAR, ma senza i dati delle microbiologie il sistema si ferma ed entra in una condizione di altro rischio. La terapia, per quanto riguarda i nuovi antibiotici, deve vedere finalmente realizzati e finanziati i tanti piani di partnership trasparente tra settore industriale, Istituzioni, organismi di ricerca. La battaglia per avere nuove armi terapeutiche in tempi brevi a disposizione dei malati non può essere vinta velocemente se ognuno segue una sua strada. Serve quindi un coordinamento ed una convergenza di intenti con l’obiettivo di rendere disponibili rapidamente nuovi antibiotici per le infezioni multi-resistenti che mettono a rischio la vita di molti pazienti. Lo sviluppo di nuovi antibiotici è un problema planetario ma anche una sfida che consuma risorse enormi (oltre 650 Mln per arrivare a un antibiotico nuovo) e richiede anni di lavoro (almeno 6-10) come documentato in un rapporto presentato da una task force dedicata alla corte dei conti europea. Ma l’industria può impegnarsi in maniera sostenibile solo se gli investimenti possono essere riconosciuti in maniera corretta, attraverso la valutazione del valore portato e dei costi evitati al sistema dall’introduzione dell’innovazione.

Proposte sono:
➢ chiedere un giusto riconoscimento di valore per chi si impegna a ricercare e produrre nuovi antibiotici.
➢ Percorsi di accesso facilitati e controllati per appropriatezza, non solo a livello di autorità regolatorie Internazionali e Nazionali ma anche e soprattutto, regionali e locali, perché il processo di introduzione è ancora molto lento (in alcune infezioni gravi come ad esempio le sepsi i pazienti non possono aspettare).
➢ Sarebbe molto utile dare degli obiettivi ai tecnici regionali ed a cascata ai direttori generali delle aziende sanitarie di riduzione di utilizzo inappropriato degli antibiotici (come già avviene) ma anche di rapida introduzione e accesso appropriato di quelli innovativi.
➢ A livello centrale si chiedono percorsi di accesso diversi, ad es° sul modello dei farmaci orfani. A questi farmaci spesso non viene riconosciuta la stessa dignità e lo stesso valore rispetto ai farmaci prodotti nell’area oncologica, pur con evidenze di vite salvate spesso ben superiori.
➢ Vanno messi a punto nuovi sistemi di parternariato pubblico-privato, che mettano insieme ricerca e approvvigionamento (procurement) per incentivare l’industria attraverso un sistema che possa dire: “tu lavora, io compro questo servizio e condividiamo il rischio”.

PIANO MONITORAGGIO E APPROPRIATEZZA (STEWARDSHIP)

I programmi di ottimizzazione della terapia antibiotica danno un contributo fondamentale per: curare meglio i pazienti in termini di appropriatezza, ridurre gli effetti collaterali e le resistenze batteriche, contenere i costi. Inoltre l’impatto dell’AMR non va visto solo sul singolo paziente, ma occorre avere bene presente il suo peso sulla flora batterica ospedaliera, quindi sui tanti altri pazienti assistiti nelle strutture di ricovero e cura. È infatti dimostrata una stretta correlazione tra l’impiego improprio di un antibiotico e i livelli di resistenza. Stewardship quindi vuol dire sforzo per utilizzare antibiotici in maniera appropriata e quando realmente servono su chi ne ha bisogno. Questo si può ottenere solo formando ed informando prescrittori e clinici a qualsiasi livello e per qualsiasi complessità di intervento (Territorio e Ospedale), caregiver, farmacisti, pazienti.

Proposte sono:

➢ Implementare strumenti di controllo pratico ad es°: le Linee Guida della stewardship dovrebbero essere integrate a livello ospedaliero nelle cartelle cliniche, per rilevare e correggere immediatamente eventuali errori di prescrizione inappropriata. Tutto questo considerando però che per la scarsa disponibilità di tool diagnostici rapidi, l’intervento terapeutico è spesso empirico nei pazienti gravi.
➢ Le prescrizioni sul territorio ed in Ospedale devono essere tracciate per avere misure di appropriatezza prescrittiva affidabili.
➢ I nuovi antibiotici devono essere introdotti attraverso percorsi monitorati dai medici esperti e adeguatamente formati.
➢ La formazione è fondamentale per cui in ogni reparto ospedaliero dovrebbero essere formati dall’infettivologo almeno 2 medici che possano verificare le corrette applicazioni della stewardship nelle rispettive e specifiche aree d’azione. Ma su tutto questo devono essere date indicazioni nazionali che verifichino una applicazione uniforme in ogni territorio.

#L’ictus non resta a casa!

L'ictus

Azzerate le prescrizioni dei nuovi anticoagulanti e accesso in ospedale più difficile per i pazienti durante la prima ondata.

L’appello dei medici: «Identificare le persone a rischio e mettere in atto programmi specifici che semplifichino l’accesso alle cure». 

Nuove strategie: realizzare piattaforme digitali di condivisione dati tra gli stakeholder del settore e “pacchetti di screening” per i pazienti a maggior rischio

27 novembre 2020. La malattia vascolare è stata messa in un angolo durante la pandemia da Covid-19 e i pazienti hanno avuto meno possibilità di accedere ai centri di cura con una conseguente diminuzione degli accessi in ospedale. Un dato che misura quanto l’emergenza sanitaria abbia profondamente sconvolto il percorso di cura e di assistenza per i pazienti colpiti da ictus cerebrale è che nella prima ondata è stata azzerata la prescrizione di alcuni farmaci e dei nuovi anticoagulanti ed è stato più difficolto per questi pazienti andare in ospedale dove il timore del contagio ha avuto un forte impatto sulla decisione del paziente a chiedere aiuto. Questo è il quadro emerso durante il webinar ‘Strategie sanitarie di prevenzione dell’ictus: come ottimizzare la prevenzione per una popolazione più sana’, organizzato da Motore Sanità in collaborazione con Cattaneo Zanetto & Co, e realizzato grazie al contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb e Pfizer.

Ogni anno in Italia si registrano almeno 100.000 nuovi ricoveri dovuti all’ictus cerebrale, circa un terzo delle persone colpite  non sopravvive a un anno dall’evento, mentre un altro terzo sopravvive con una significativa invalidità: il numero di persone che attualmente vive in Italia con gli esiti invalidanti di un ictus ha raggiunto la cifra record di quasi un milione (Rapporto 2018 Ictus). Una ricerca basata su un sondaggio di 250 stakeholders europei che includono associazioni dei pazienti colpiti da ictus, politici e sanitari coinvolti nella prevenzione, condotta dalla World Stroke Organization e dell’Osservatorio Ictus Italia, ha messo in evidenza che esiste una maggiore sensibilizzazione verso il tema della prevenzione in paesi come Olanda e Inghilterra mentre in Italia esiste un grosso gap tra l’implementazione delle linee guida per la prevenzione dell’ictus e ciò che in realtà viene fatto.

“Sulla prevenzione dell’ictus, le istituzioni possono incidere con un lavoro su quattro ambiti – ha spiegato Valeria Caso, Dirigente Medico presso la S.C. di Medicina Interna e Vascolare-Stroke Unit, Membro del Direttivo della World Stroke Organization e  dell’Osservatorio Ictus Italia: sensibilizzazione sui fattori di rischio dello stroke e la loro possibile gestione per informare  correttamente la popolazione. Ad esempio, la fibrillazione atriale, a cui diversi studi riconducono circa il 25% dei casi di ictus, ancora troppo frequentemente viene diagnosticata solo all’insorgere dell’evento cardiovascolare maggiore. Poi: potenziamento delle figure professionali del mondo sanitario; promuovere l’implementazione delle linee guida cliniche per la prevenzione dell’ictus, aumentando la comunicazione sulle best practices, evidenziando gli interventi chiave come la gestione della pressione sanguigna e altre azioni preventive e assicurando l’accesso alle terapie. Sono convinta che finché non esiste un accesso equo alla terapia non si può implementare in maniera corretta la terapia prescritta. E, infine, sostegno per le tecnologie digitali, garantendo la disponibilità e l’accesso per operatori sanitari e pazienti, da un lato con maggiori investimenti e dall’altro con modalità di utilizzo definite”.

L’emergenza Covid-19 come ha reso difficoltoso l’accesso alle cure ai pazienti, ha anche fornito la possibilità di guardare a nuove opportunità. “L’ictus non rimane a casa, il paziente deve venire in ospedale ed essere trattato – si appella Graziano Onder, Direttore Dipartimento malattie cardiovascolari, Istituto Superiore di Sanità -. Un dato allarmante è stato registrato nei mesi di marzo, aprile e maggio e cioè che le prescrizioni di alcuni farmaci e dei nuovi anticoagulanti si sono azzerati. Inoltre l’accesso in ospedale a pazienti con malattie diverse dal Covid-19 è stato molto ridotto e decine di migliaia di visite ambulatoriali per malattie croniche sono state cancellate. Se veramente vogliano trarre un insegnamento da questa fase epidemica dobbiamo essere bravi a identificare le persone a rischio e mettere in atto dei programmi specifici che semplificano l’accesso alle cure, un esempio potrebbe essere l’impiego delle tele-visite”. “Gli smartphone, anche già in tempi pre Covid, sono venuti incontro ai pazienti – conclude Caso -. Credo che sia importante andare verso una cura più territoriale”.

“Abbiamo la necessità assoluta di governare l’emergenza ma non dimentichiamo le emergenze passate – ha dichiarato l’Onorevole Nicola Provenza, Componente Commissione XII (Affari Sociali) Camera dei Deputati –. Dobbiamo non soltanto intervenire sulla prevenzione, potenziandola, e intervenire con efficacia e prontezza per un riequilibrio tra ospedale e territorio. Non dobbiamo scordare che da febbrai a ottobre 18 milioni di prestazioni sono saltate”.

Quali altri strategie? Concordi le associazioni e federazioni di pazienti (FEDER-A.I.P.A. OdV, Federazione Associazioni Italiane Pazienti Anticoagulati, Federazione A.L.I.Ce. Italia ODV – Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) a istituire tavoli di lavoro e piattaforme digitali per rilevare, sondare i dati e confrontarli tra i stakeholder del settore al fine di elaborare le migliori strategie per rendere migliore la vita del paziente con ictus e migliorare le cure, e a costituire “pacchetti di screening per la prevenzione dell’ictus” rivolti a pazienti a maggior rischio, in una logica di educazione alla salute e alla prevenzione appunto.

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Carcinoma mammario metastatico: “L’importanza della diagnostica di accompagnamento per una diagnosi precoce a disposizione delle pazienti per il successo della terapia”

Carcinoma mammario metastatico

27 novembre 2020 – Il carcinoma mammario è la neoplasia più frequente tra le donne ed è potenzialmente mortale se non è individuata e curata per tempo. Se il tumore viene identificato in fase molto precoce la sopravvivenza a 5 anni nelle donne trattate è pari al 98%. Nel cancro metastatico purtroppo la sopravvivenza è molto minore, dipende dalle caratteristiche della paziente, dall’aggressività della patologia, dalle opzioni terapeutiche a disposizione e dallo stadio in cui la malattia viene diagnosticata. Ma nel caso del Carcinoma Mammario Triplo-Negativo, che ha un peso epidemiologico del 15-20% tra le neoplasie della mammella e che, in fase avanzata o metastatica, conta circa 1.500 pazienti in Italia, si aprono importanti prospettive di cura grazie alla immunoterapia anti-PD-L1 di Atezolizumab, anticorpo monoclonale studiato per legarsi alla proteina PD-L1 espressa sulle cellule tumorali e sulle cellule immunitarie infiltranti il tumore, in grado di riattivare l’azione dei linfociti T. Per il successo di questa terapia è fondamentale valutare nelle pazienti l’espressione del PD-L1 (Programmed Death Ligand 1) attraverso l’utilizzo di un test di accompagnamento per il cui uso mancano linee guida nazionali che consentano un rapido e appropriato accesso alle pazienti con queste precise caratteristiche cliniche. Con l’obiettivo di discutere su come velocizzare, modernizzare e implementare i progressi della diagnostica MOTORE SANITA’ ha organizzato il webinar ‘Immunoterapia ed efficienza organizzativa: un nuovo modello di governance nel trattamento dei tumori della mammella’, progetto sponsorizzato da Roche.

“Il focus è sulle pazienti portatrici di carcinoma della mammella noto come “triplo negativo”. Poiché questo tumore non esprime i classici bersagli terapeutici per specifica terapia ormonale o molecolare, fino ad ora l’unico trattamento appropriato e rimborsabile è stata la chemioterapia. Basandosi sui dati ottenuti dallo studio registrativo IMpassion130, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), con Determina del 14 luglio 2020, e successiva Determina della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (n. 188 del 28-7-2020) hanno dato il via libera alla rimborsabilità per un farmaco immunoterapico (atezolizumab) associato a chemioterapia (nab-paclitaxel) in prima linea per la terapia di pazienti affette da carcinoma mammario triplo negativo non resecabile localmente avanzato o metastatico, i cui tumori presentano un’espressione di PD-L1 ≥1%. La scheda AIFA prevede che per l’eleggibilità al trattamento con atezolizumab i tumori siano testati con saggio immunoistochimico Ventana PD-L1 SP142, lo stesso usato nello studio registrativo. Il test, marcato CE-IVD, richiede specifiche modalità di lettura dei risultati e personale formato a tale scopo. Paradossalmente, al momento, la rimborsabilità del “compagno diagnostico”, ossia di PD-L1 SP142, non è prevista nei Livelli Essenziali di Assistenza. Questo sottintende che un’analisi a priori della governance è fondamentale così come la necessità di coinvolgimento di tutte le figure professionali che partecipano dalla diagnosi alla cura dei pazienti, anche nella stesura di documenti che devono garantire una logica di accessibilità ai farmaci sostenibile appropriata ed equa”, ha spiegato Anna Sapino, Direttore Scientifico IRCCS FPO Candiolo (TO).

“Si fa riferimento ad una opportunità di terapia che può derivare da una analisi biomolecolare. Perché questo si possa realizzare è necessario la condivisione dei professionisti, l’aggiornamento del PDTA e l’accessibilità alla specifica indagine biomolecolare. Le reti sono la sede  naturale in cui si possono raggiungere più facilmente questi obiettivi”, ha detto Gianni Amunni, Direttore Generale Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO) Regione Toscana.

“Siamo estremamente felici di supportare questo evento che promuove un confronto tra i vari attori del Sistema Sanitario Nazionale sulla necessità di rendere accessibili le tecnologie sanitarie innovative. Soprattutto in ambito oncologico, la diagnostica di accompagnamento costituisce uno degli approcci più all’avanguardia per indirizzare il paziente alla terapia più indicata e quindi più efficace (personalizzazione della terapia) e contestualmente per contribuire alla sostenibilità economica dell’intero Ecosistema Salute grazie all’appropriatezza prescrittiva. In quest’ottica, Roche vuole essere un partner etico del Sistema Sanitario, favorendo la discussione, lo scambio di idee e la condivisione delle conoscenze”, ha dichiarato Guido Bartalena, PhD Head of Healthcare & Market Development Roche Diagnostics SpA.

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ONCOLOGIA e ONCOEMATOLOGIA: “Collaborazione e comunicazione per garantire innovazione e sostenibilità al servizio del paziente”

ONCOLOGIA e ONCOEMATOLOGIA

26 novembre 2020 – L’attuale pandemia Covid-19 ha fatto comprendere come il sistema salute negli ultimi anni sia stato continuamente depauperato di mezzi e risorse, volendo mantenere il paziente al centro del sistema, tutto deve essere volto per garantirgli un beneficio in termini di salute e di vita. Tra le innumerevoli innovazioni terapeutiche in oncologia e oncoematologia durante gli ultimi anni si è arrivati ad individuare il BCMA e la sua azione nello sviluppo del mieloma multiplo, svolta decisiva nel trattamento dei pazienti refrattari: l’antigene di maturazione delle cellule B (BCMA), infatti, si è rivelato un bersaglio ideale per l’immunoterapia target del mieloma multiplo. Ma le speranze nell’innovazione devono conciliarsi con la sostenibilità dei sistemi sanitari che in tutto il mondo vedono diminuire gli investimenti nella salute. Per fare il punto sullo stato dell’arte in Regione Emilia-Romagna, Motore Sanità ha organizzato il secondo di tre webinar dal titolo “FOCUS GOVERNANCE DELL’INNOVAZIONE IN ONCOLOGIA E ONCOEMATOLOGIA”, che ha visto confrontarsi pazienti, clinici, industria e istituzioni, realizzato grazie al  contributo incondizionato di GLAXOSMITHKLINE e DAIICHI SANKYO.

“Gli straordinari progressi della medicina di precisione, che comprende terapie a bersaglio molecolare,  immunoterapie e terapie geniche e cellulari hanno un impatto fortemente positivo sulla cura dei pazienti che soffrono di neoplasie ematologiche, tra cui il mieloma multiplo. Non vi è dubbio, tuttavia, che le nuove frontiere della medicina di precisione in ematologia oncologica ci obbligano ad aiutare paziente e famiglia a comprendere e gestire l’impatto psico-sociale delle decisioni di trattamento. Questo richiede l’implementazione di Ambulatori di Cure Palliative/Supportive Precoci, che si affianchino agli Ambulatori Tradizionali Ematologici, per costruire un  Modello Nuovo di Assistenza Integrata, ancora negletto nel nostro Paese, che si realizza all’ interno dell’Ospedale, ed è offerta ai pazienti ed al loro «caregiver», in una fase molto precoce del percorso di cura. Le Cure Palliative/Supportive Precoci permettono di costruire in modo anticipato, una relazione di comunicazione medico-paziente e «caregiver» di lunga durata e profonda, in cui sono discusse e rivalutate, durante la traiettoria di malattia, la diagnosi di malattia avanzata, durante le fasi di cura e successiva ricaduta, la prognosi, la possibilità di ricorrere a successive linee di terapie «standard» o sperimentali oppure di astenersi dalle terapie attive e potere, viceversa, ricevere terapie palliative e di supporto, capaci di ridurre ed eliminare il dolore, i sintomi fisici e psicologici,  la sofferenza e di allungare una periodo di vita di qualità,  con consapevolezza”, ha detto Mario Luppi, Direttore SC Ematologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena, Past President Società Italiana di Ematologia  Sperimentale

“Negli ultimi decenni si è posto in maniera sempre più preponderante il governo dell’innovazione in ambito oncologico  ed ematologico. Ciò è dovuto da un lato ai bisogni largamente insoddisfatti in diverse condizioni e setting di patologie onco ematologiche e dall’altro alla possibilità di avere sempre più precocemente farmaci con dati scientifici non definitivi pur tuttavia seppur preliminari, molto promettenti. Il progressivo sviluppo conoscitivo delle caratteristiche clinico-biologiche dei vari tumori ha prodotto e produrrà, sempre di più in futuro, entità tumorali tra il raro ed il molto raro. Ciò comporterà l’impossibilità di avere studi clinici scientificamente e metodologicamente di qualità alta al momento della disponibilità del farmaco o della sua immissione in commercio. Per cui il SSN e i SSR dovranno attrezzarsi a far sì che la Real life possa trasformarsi in uno studio osservazionale prospettico al fine di completare il resto di sviluppo di questi farmaci per poter attribuire loro il reale valore terapeutico ed economico. Affinché la Real life diventi un’attività assistenziale non solo finalizzata alla cura del malato ma anche al progressivo aumento delle conoscenze è necessario ed indispensabile che i professionisti dei vari centri oncologici ed ematologici facciano parte di una rete integrata costituita da supporti (informatizzazione comune) condividendo raccomandazioni, linee guida e le attività di ricerca Clinica”, ha spiegato Giuseppe Longo, Direttore SC Medicina Oncologica Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena,  Coordinatore clinico Gruppo Regionale Farmaci Oncologici, Regione Emilia-Romagna

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Ictus: “Indispensabile prevenzione primaria dei fattori di rischio quanto tempestiva e corretta diagnosi di patologie correlate”

Ictus

27 novembre 2020 – La Stroke Alliance for Europe (SAFE) ha stimato come, già nel 2017, l’impatto economico dell’ictus nell’Unione europea ammontasse a 60 miliardi di euro, con un fortissimo sbilanciamento dei costi a favore di ospedalizzazioni d’emergenza, trattamenti in acuzie e riabilitazione, e potrebbe arrivare a 86 miliardi di euro nel 2040. In Italia l’ictus è oggi la prima causa di disabilità, con un elevato livello di perdita di autonomia e un progressivo percorso di spesa per cure riabilitative ed assistenza con un carico economico gravoso sui pazienti ed i propri familiari. La combinazione di questi fattori rende indispensabile un’azione decisa verso la prevenzione dell’insorgenza dell’ictus, che intervenga tanto sui fattori di rischio quanto sulla tempestiva e corretta diagnosi di patologie correlate all’ictus. Di tutto questo si parlerà durante il webinar ‘Strategie sanitarie di prevenzione dell’ictus: come ottimizzare la prevenzione per una popolazione più sana’, organizzato da Motore Sanità in collaborazione con Cattaneo Zanetto & Co, e realizzato grazie al contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb e Pfizer e che si terrà oggi, venerdì 27 novembre 2020 alle ore 11.00.

Queste le parole di Valeria Caso, Dirigente Medico presso la S.C. di Medicina Interna e Vascolare – Stroke Unit, Membro del  Direttivo della World Stroke Organization e dell’Osservatorio Ictus Italia “L’ictus cerebrale, nel nostro Paese, rappresenta la terza  causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Quasi 150.000 italiani ne vengono colpiti ogni anno e la metà dei  superstiti rimane con problemi di disabilità anche grave. Inoltre, il costante invecchiamento demografico potrebbe inoltre alimentare un incremento dell’incidenza del 30% tra il 2015 ed il 2035 per cui è importante investire sull’implementazione delle cure e la prevenzione anche per evitare che il sistema non regga. Informare sull’impatto economico dell’ictus (nell’UE 45 miliardi di euro nel 2016), con un fortissimo sbilanciamento dei costi a favore di ospedalizzazioni d’emergenza, trattamenti in acuzie e riabilitazione. Il  carico economico risulta inoltre particolarmente gravoso anche sui pazienti e i propri familiari: in Italia l’ictus è oggi la prima causa di  disabilità, con un elevato livello di perdita di autonomia e un progressivo percorso di spesa per cure riabilitative e assistenza.  Importante intervenire sulla prevenzione primaria dei fattori di rischio e sulla tempestiva e corretta diagnosi di patologie correlate all’ictus, come ricorda il report pubblicato dall’Economist Intelligence Unit, una ricerca sulle politiche e gli investimenti nella prevenzione dell’ictus, comprese le risorse per le campagne di sensibilizzazione, educazione della popolazione e di screening. Per comprendere meglio le differenze organizzative a livello europeo, la ricerca è stata condotta in cinque paesi: Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito. La ricerca è basata su un sondaggio di 250 stakeholders europei che includono associazioni dei pazienti colpiti da ictus, politici e sanitari coinvolti nella prevenzione. Il report è stato revisionato a livello italiano da me. Le istituzioni possono incidere con un lavoro su quattro ambiti: 1 – sensibilizzazione sui fattori di rischio dello stroke e la loro possibile gestione per informare correttamente la popolazione. Ad esempio, la fibrillazione atriale, a cui diversi studi riconducono circa il 25% dei casi di ictus, ancora troppo frequentemente viene diagnosticata solo all’insorgere dell’evento cardiovascolare maggiore. 2 – potenziamento delle figure professionali del mondo sanitario, (istituzione dell’infermiere di famiglia, impegno per i medici di medicina generale). 3 – promuovere l’implementazione delle linee guida cliniche per la prevenzione dell’ictus, aumentando la comunicazione sulle best practices, evidenziando gli interventi chiave come la gestione della pressione sanguigna e altre azioni preventive e assicurando l’accesso alle terapie. 4 – sostegno per le tecnologie digitali, garantendo la disponibilità e l’accesso per operatori sanitari e pazienti, da un lato con maggiori investimenti e dall’altro con modalità di utilizzo definite”.

“Da oltre 20 anni la nostra Associazione A.L.I.Ce. Italia è impegnata nella lotta contro l’ictus cerebrale, patologia che, nel nostro Paese, determina un pesante carico di morbilità, mortalità e disabilità, ma che è evitabile, grazie ad una attenta prevenzione e alla conoscenza dei fattori di rischio modificabili, e curabile, grazie ad un tempestivo riconoscimento dei sintomi e al ricorso al 112 per essere trasportati nelle Unità idonee al Trattamento Neuro vascolare (Stroke Unit). Le nostre campagne di informazione e sensibilizzazione sono rivolte  alla popolazione perché possa effettuare scelte sempre più consapevoli in materia di salute e, con l’empowerment e il coinvolgimento dei cittadini e di tutta la comunità, siano adottati stili di vita sani, con elevato standard di qualità, di recupero e di produttività (laddove possibile), in modo che la malattia non costituisca più un ostacolo al benessere e allo sviluppo socioeconomico di chi ne è colpito e del suo nucleo familiare/caregiver. La nostra attività di awareness è focalizzata, oltre che su post-ictus e fase di riabilitazione, anche e soprattutto a trasmettere ai cittadini quelle poche e semplici indicazioni che sono fondamentali per la prevenzione dell’ictus cerebrale: modificare il proprio stile di vita, curando alcune patologie che ne possono essere causa, significa mettere in atto una prevenzione attiva alla portata di tutti, realizzando tutte le strategie necessarie per evitare questa patologia e le sue conseguenze spesso drammatiche. Sebbene la peggior prognosi delle malattie non trasmissibili (e croniche), quali l’ictus, si verifichi nelle fasce di età più elevate, l’esposizione ai fattori di rischio ha inizio fin dall’infanzia e continua per l’intera esistenza. Appare quindi evidente e più che opportuno, per ridurre il carico assistenziale, sociosanitario ed economico che ne deriva, mettere in atto, a vari livelli e in multi-cooperazione, interventi di promozione della salute, misure legislative e regolatorie, equo accesso a servizi, farmaci e dispositivi, formazione, monitoraggio, valutazione e ricerca che coinvolgano tutti gli stakeholders istituzionali, scientifici e no, appartenenti a tutti i settori, compreso il mondo del welfare”, ha detto Nicoletta Reale, Presidente Federazione ALICe Onlus ODV – Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale

“L’emergenza COVID-19 ci ha insegnato quanto sia importante prendersi cura delle malattie croniche e quanto queste impattino sulla prognosi dei pazienti con questa malattia. Circa ¾ dei deceduti COVID-19 avevano 3 o più malattie croniche e tra queste molto comuni erano le malattie cardiovascolari come fibrillazione atriale (presente in circa il 25% dei deceduti), presenza di ictus pregresso (circa 10% dei deceduti) e pressione arteriosa (oltre il 60% dei deceduti). Prevenire e ottimizzare il trattamento di queste malattie è fondamentale al fine di ridurre l’impatto dell’ondata epidemica. L’epidemia ci ha insegnato che è fondamentale ripensare e semplificare l’accesso alle cure per malattie croniche. Nella fase di picco epidemico a marzo-aprile, l’accesso in ospedale a pazienti con malattie diverse dal COVID-19 è stato molto ridotto e decine di migliaia di visite ambulatoriali per malattie croniche sono state cancellate. Le soluzioni tecnologiche (per es. televisita) sono fondamentali per favorire un accesso a cure semplificate, soprattutto nella popolazione con maggiori difficoltà e maggior rischio per malattie croniche (ictus) come gli anziani”, Graziano Onder, Direttore Dipartimento malattie cardiovascolari, Istituto Superiore di Sanità

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Causa Covid rallentamento degli screening oncologici programmati e degli esami diagnostici: nei prossimi 5 anni previsti 3-4mila morti in più per cancro

Causa Covid

Secondo l’Osservatorio nazionale di screening 1 milione e 400mila esami sono stati annullati a causa del Covid e dovranno essere riprogrammati.

L’appello degli oncologi: «C’è il tempo per recuperare ed è un impegno che dobbiamo prendere tutti nelle nostre Regioni attraverso le Reti, le iniziative e il confronto costante».

Il Covid è una minaccia per l’assistenza ai pazienti oncologici. Gli esperti non escludono la possibilità che ci siano danni futuri per quanto riguarda la perdita di chance di cura a causa del rallentamento degli screening avvenuto a livello globale. Secondo l’Osservatorio nazionale di screening un milione e 400mila esami di screening sono stati annullati e dovranno essere riprogrammati, mentre la rivista scientifica The Lancet riporta una fosca previsione degli epidemiologi, che nei prossimi 5 anni ci siano 3-4 mila morti in più per cancro. Di fronte a questo scenario, il paziente oncologico continua le cure, l’innovazione in oncologia cavalca anche questa seconda ondata pandemica garantendo nuovi farmaci e tecnologia all’avanguardia e il Covid insegna che anche il futuro dell’oncologia, come per le altre specialità, non sarà più come prima per quanto riguarda l’approccio del paziente, il follow up e la giustizia distributiva dei farmaci, implicando la necessità di un coordinamento nazionale dei punti fondamentali di offerta dell’assistenza al malato oncologico. Sull’attività di screening e le possibili strategie per recuperare in oncologia il tempo perduto a causa della pandemia si sono confrontati durante l’incontro “Talk webinar. Reti Oncologiche” organizzato da Mondosanità, organizzato con il contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb già partner del progetto ONCORETE appena conclusosi, di cui questo Talk webinar era il momento finale di condivisione con il pubblico, tre esperti in campo oncologico, Paolo Pronzato, Coordinatore DIAR di Oncoematologia della Regione Liguria, Vincenzo Adamo, Direttore Oncologia Medica AO Papardo-Messina, Coordinatore della Rete Oncologica Siciliana (Re.O.S.) e Rossana Berardi, Direttore della Clinica Oncologica UNIVPM-AOU Ospedali Riuniti di Ancona.

L’oncologia durante l’emergenza sanitaria mostra uno scenario diversificato da regione a regione, a seconda dell’incidenza dell’epidemia. La maggior parte dei centri ha continuato con le terapie farmacologiche, seppur quantitativamente inferiori, buona parte degli interventi chirurgici oncologici sono stati procastinati se non urgenti, i follow up sono stati per lo più effettuati tramite consulto e le tecnologie più utilizzate sono state telefonate e WhatApp al di là delle rendicontazioni delle prestazioni, l’attività di screening programmato e quella diagnostica ha risentito di pesanti rallentamenti in alcune regioni, in altre ha cercato di mantenere i suoi ritmi nonostante le difficoltà organizzative.

In Liguria, un terzo dei posti letto sono occupati da pazienti Covid e, come in altre regioni, gran parte delle risorse del sistema sono dedicate a questi pazienti sottraendole ad altre funzioni come quella dell’assistenza ai pazienti oncologici. “Per quanto riguarda l’oncologia – dichiara il dottor Paolo Pronzato – per fortuna il sistema ha tenuto per l’avvio e la prosecuzione di terapie mediche e oncologiche ma, come è accaduto in tutto il mondo, c’è stato un rallentamento sia degli screening programmati, e può essere accaduto perché l’offerta diminuiva o perché le persone avevano paura di recarsi presso le strutture dedicate, sia della diagnostica, per cui si riscontra una riduzione del numero degli interventi per tumore primitivo. Seppur nei mesi estivi abbiamo recuperato parte dell’attività arretrata della primavera, è chiaro che è stato perso del tempo ed è necessario recuperarlo e fare in modo che lo screening prosegua anche ora”.

A titolo di esempio, tre azioni sono state messe in campo per le pazienti con cancro metastatico: garanzia di accesso alle cure intensive in caso di infezione e malattia da Covid, la protezione della sperimentazione clinica e l’organizzazione di percorsi particolari e aree di ricovero dedicate a pazienti oncologiche risultate asintomatiche o paucisintomatiche per Covid.

Nelle Marche nella prima ondata pandemica le oncologie non si sono mai fermate per le terapie salvavita, ma nel 93,5% dei casi hanno dovuto riorganizzare la loro attività. “Oggi la situazione è migliore rispetto alla scorsa primavera e questo ci permette di mantenere tutte le attività, come gli interventi chirurgici e le procedure diagnostiche – spiega la dottoressa Rossana Berardi -. Lo screening ci permette di fare diagnosi precoci e ha un impatto sulla vita delle persone, per cui è auspicabile che tutto ciò che è stato perso possa essere rapidamente riprogrammato e che le Regioni non si fermino in questa attività importantissima”.

Anche una parte della ricerca clinica mondiale è andata in sofferenza. “Nei mesi passati – aggiunge Berardi – c’è stata la difficoltà a portare avanti protocolli di ricerca e penso al Progetto europeo sul mesotelioma e l’immunoterapia che ha avuto attualmente un blocco per l’impossibilità dei pazienti di raggiungere la sede di Rotterdam che era una parte integrante al percorso di cura. Abbiamo bisogno di fare rete con le istituzioni per garantire anche questa parte”.

In Sicilia lo screening ha risentito di un rallentamento perché le persone hanno rifiutato di andare in ospedale per sottoporsi ai controlli. “Questo problema è stato tamponato grazie ad una serie di iniziative di prevenzione che sono nate spontaneamente nei maggiori ospedali della regione – spiega il dottor Vincenzo Adamo -, mentre per quanto riguarda le cure non c’è stato nessun rallentamento e anche sull’aspetto della chirurgia primaria gli interventi sono andati avanti. Sono convinto che c’è il tempo per recuperare il tempo perduto: in sei mesi certi tipi di tumore, che possono essere sfuggiti ad uno screening, sono recuperabili. Questo è un impegno che dobbiamo prendere tutti nelle nostre Regioni, attraverso le reti, le iniziative e confrontandoci con i colleghi impegnati nell’attività di screening”.

È necessaria una Rete oncologia nazionale delle Reti oncologiche, che garantisca lo scambio di best practice e di dati al fine di una migliore programmazione; per concordare le azioni al fine di assicurare l’innovazione in tempi rapidi; per implementare l’azione sulla medicina territoriale al fine di accompagnare la trasformazione della presa in carico dei pazienti oncologici verso la cronicità, compresa la territorializzazione di alcune terapie; per coordinare al meglio gli studi scientifici; per creare proposte per una implementazione della telemedicina in oncologia; per favorire per alcuni pazienti un follow-up di primo livello a carico del medico di medicina generale e per favorire la territorializzazione della diagnostica di primo livello anche in oncologia a partire dal l’implementazione degli screening. 

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Telemedicine R-evolution: ‘Stop alla tecnologia per pochi eletti, necessario garantire assistenza a tutti i pazienti a livello nazionale’

Telemedicine R-evolution

24 novembre 2020 – In Italia, in epoca Covid, è emerso il grave ritardo nella riforma dei servizi territoriali mostrando la necessità indifferibile di spostare il fulcro dell’assistenza dei malati cronici dall’ospedale al territorio, necessità che si acuisce in alcune Regioni rispetto ad altre. È arrivato il momento di vedere la telemedicina come investimento per il Sistema Sanitario e non un costo e del suo potenziale impatto sulla società e sulla salute. Per fare in modo che l’adozione della telemedicina nella presa in carico del paziente cronico, e nello specifico della persona con diabete, non sia più appannaggio di pochi eletti, ma una realtà concreta per tutti i pazienti che ne possono trarre beneficio, è nato il progetto Telemedicine R-evolution, avviato lo scorso luglio, voluto da Roche Diabetes Care e realizzato in collaborazione con Mondosanità, di cui si è fatto il punto nel Webinar ‘TELEMEDICINE R-EVOLUTION – TELEMEDICINA E GESTIONE DEL PAZIENTE CRONICO NELL’ERA COVID-19: COME È EVOLUTA LA SITUAZIONE IN QUESTI 6 MESI E COSA CI ATTENDE’.

“Il Servizio Sanitario Nazionale dall’inizio dell’emergenza sanitaria da COVID-19 ha cercato di mettere in atto strategie nuove per riuscire a contenere non solo i danni derivati direttamente dal nuovo coronavirus. Il SSN è chiamato anche al massimo impegno per evitare il più possibile che le misure contenimento del contagio, limitando l’accesso di persona ad alcune prestazioni sanitarie, abbiamo effetti negativi sulla tempestività della diagnosi e sull’andamento della terapia di malattie croniche, oncologiche, malattie rare e disabilità. Sappiamo che i ritardi di erogazione delle necessarie attività sanitarie sono in grado potenzialmente di causare gravi conseguenze sulla salute delle persone. Quindi, Il Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato due Rapporti ISS COVID-19 sulla Telemedicina, di cui uno iniziale con indicazioni per rendere rapidamente operativi servizi domiciliari in Telemedicina per l’assistenza primaria ( https://tinyurl.com/yb62nocz  ) e uno più recente dedicato alle modalità per ottimizzare l’uso della Telemedicina in Pediatria (Telepediatria https://tinyurl.com/y6ef8qwj ). Altri Rapporti ISS COVID-19 dello stesso Centro Nazionale sono in fase di elaborazione. In questa serie di pubblicazioni viene posta particolare attenzione alle concrete possibilità assistenziali disponibili in Telemedicina, mostrando quanto sia fondamentale utilizzarle correttamente per garantire il più possibile la continuità di cura nel periodo di emergenza, ma anche successivamente. Le prestazioni e i servizi in Telemedicina non possono però essere improvvisati e vanno forniti prioritariamente attraverso quelle tecnologie digitali e di telecomunicazione computer assistite che siano in grado di offrire le migliori opportunità operative rispetto all’uso delle tecnologie precedenti. Inoltre, affinché i sistemi di Telemedicina funzionino nella pratica quotidiana è fondamentale realizzarli sulla base delle reali necessità individuali dei pazienti e sulle caratteristiche dell’area geografica interessata. Occorre utilizzare in modo coerente su tutto il territorio nazionale modelli e pratiche scientificamente validati, in modo coordinato”, ha dichiarato Francesco Gabbrielli, Direttore Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità

Come è stato evidenziato dal periodo di pandemia da Coronavirus, la stretta collaborazione tra Pubblico e Privato è fondamentale per costruire un Servizio Sanitario Nazionale che sia orientato a garantire universalismo, uguaglianza  ed equità per almeno altri 40 anni, in cui la telemedicina rappresenta uno strumento per innovare in medicina e garantire qualità di assistenza a tutti i cittadini.

“I pazienti fragili e i malati cronici come le persone con diabete e rispettivi caregivers, convivono quotidianamente con una condizione estremamente complessa, sono milioni le persone in Italia che oggi sono fortemente a rischio e chiedono di essere aiutate, anche nella gestione in sicurezza e a distanza, laddove possibile. Per questo abbiamo deciso da una parte di avviare questa attività di sensibilizzazione e dall’altra di investire in innovazione digitale e nello sviluppo di servizi e soluzioni che possano  migliorare la qualità di cura, nonché allungare le aspettative di vita dei pazienti.” ha spiegato Rodrigo Diaz de Vivar, Amministratore Delegato di Roche Diabetes Care Italy S.p.A.

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Telemedicine R-evolution: ‘Stop alla tecnologia per pochi eletti, necessario garantire assistenza a tutti i pazienti a livello nazionale’

Telemedicine R-evolution

24 novembre 2020 – In Italia, in epoca Covid, è emerso il grave ritardo nella riforma dei servizi territoriali mostrandola necessità indifferibile di spostare il fulcro dell’assistenza dei malati cronici dall’ospedale al territorio, necessità che si acuisce in alcune Regioni rispetto ad altre. È arrivato il momento di vedere la telemedicina come investimento per il Sistema Sanitario e non un costo e del suo potenziale impatto sulla società e sulla salute. Per fare in modo che l’adozione della telemedicina nella presa in carico del paziente cronico, e nello specifico della persona con diabete, non sia più appannaggio di pochi eletti, ma una realtà concreta per tutti i pazienti che ne possono trarre beneficio, è nato il progetto Telemedicine R-evolution, avviato lo scorso luglio, voluto da Roche Diabetes Care e realizzato in collaborazione con Mondosanità, di cui si è fatto il punto nel Webinar ‘TELEMEDICINE R-EVOLUTION – TELEMEDICINA E GESTIONE DEL PAZIENTE CRONICO NELL’ERA COVID-19: COME È EVOLUTA LA SITUAZIONE IN QUESTI 6 MESI E COSA CI ATTENDE’.

“Il Servizio Sanitario Nazionale dall’inizio dell’emergenza sanitaria da COVID-19 ha cercato di mettere in atto strategie nuove per riuscire a contenere non solo i danni derivati direttamente dal nuovo coronavirus. Il SSN è chiamato anche al massimo impegno per evitare il più possibile che le misure contenimento del contagio, limitando l’accesso di persona ad alcune prestazioni sanitarie, abbiamo effetti negativi sulla tempestività della diagnosi e sull’andamento della terapia di malattie croniche, oncologiche, malattie rare e disabilità. Sappiamo che i ritardi di erogazione delle necessarie attività sanitarie sono in grado potenzialmente di causare  gravi conseguenze sulla salute delle persone. Quindi, Il Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali  dell’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato due Rapporti ISS COVID-19 sulla Telemedicina, di cui uno iniziale con indicazioni per rendere rapidamente operativi servizi domiciliari in Telemedicina per l’assistenza primaria ( https://tinyurl.com/yb62nocz  ) e uno più recente dedicato alle modalità per ottimizzare l’uso della Telemedicina in Pediatria (Telepediatria https://tinyurl.com/y6ef8qwj ). Altri Rapporti ISS COVID-19 dello stesso Centro Nazionale sono in fase di elaborazione. In questa serie di pubblicazioni viene posta  particolare attenzione alle concrete possibilità assistenziali disponibili in Telemedicina, mostrando quanto sia fondamentale utilizzarle correttamente per garantire il più possibile la continuità di cura nel periodo di emergenza, ma anche successivamente. Le prestazioni e i servizi in Telemedicina non possono però essere improvvisati e vanno forniti prioritariamente attraverso quelle tecnologie digitali e  di telecomunicazione computer assistite che siano in grado di offrire le migliori opportunità operative rispetto all’uso delle tecnologie precedenti. Inoltre, affinché i sistemi di Telemedicina funzionino nella pratica quotidiana è fondamentale realizzarli sulla base delle reali necessità individuali dei pazienti e sulle caratteristiche dell’area geografica interessata. Occorre utilizzare in modo coerente su tutto il territorio nazionale modelli e pratiche scientificamente validati, in modo coordinato”, ha dichiarato Francesco Gabbrielli, Direttore Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità.

Come è stato evidenziato dal periodo di pandemia da Coronavirus, la stretta collaborazione tra Pubblico e Privato è fondamentale per costruire un Servizio Sanitario Nazionale che sia orientato a garantire universalismo, uguaglianza  ed equità per almeno altri 40 anni, in cui la telemedicina rappresenta uno strumento per innovare in medicina e garantire qualità di assistenza a tutti i cittadini.

“I pazienti fragili e i malati cronici come le persone con diabete e rispettivi caregivers, convivono quotidianamente con una  condizione estremamente complessa, sono milioni le persone in Italia che oggi sono fortemente a rischio e chiedono di essere aiutate, anche nella gestione in sicurezza e a distanza, laddove possibile. Per questo abbiamo deciso da una parte di avviare questa attività di sensibilizzazione e dall’altra di investire in innovazione digitale e nello sviluppo di servizi e soluzioni che possano migliorare la qualità di cura, nonché allungare le aspettative di vita dei pazienti.” ha spiegato Rodrigo Diaz de Vivar, Amministratore Delegato di Roche Diabetes Care Italy S.p.A.

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Malattie croniche: Teleconsulto, telemedicina e tele-monitoraggio, le best practice delle Regioni al tempo del Covid-19

Malattie croniche

23 novembre 2020 – La gestione delle malattie croniche si è rilevata in questo periodo di pandemia molto complessa, dal momento che per i pazienti è richiesta una forte integrazione tra lo specialista ed il medico di medicina generale e deve essere prevista anche la componente socio-assistenziale. Nel periodo pandemico, teleconsulto, gestione della terapia, telemedicina e tele-monitoraggio sono stati utilizzati non solo per il percorso sanitario del paziente cronico ma anche per il paziente COVID 19. Con l’obiettivo di confrontare le best practice messe in atto da Regione Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia per rispondere ai bisogni dei pazienti in periodo di pandemia COVID 19, Motore Sanità ha organizzato il webinar ‘VIVERE LA CRONICITÀ AL TEMPO DEL COVID: IL PERCORSO  DEL PAZIENTE’, realizzato grazie al contributo incondizionato di PFIZER. 

“La gestione dei percorsi diagnostici terapeutici dei pazienti affetti da patologie croniche autoimmuni è sempre difficile, lo è maggiormente in corso di emergenza sanitaria. L’accesso alle cure non risulta, in questo momento, essere garantito per tutti i pazienti sia per quel che riguarda la visita specialistica, la diagnostica ma anche e soprattutto la terapia. Molte Regioni hanno attivato la telemedicina come strumento utile nella gestione di questi pazienti e in molte Regioni si sono attivate modalità alternative nella distribuzione del farmaco, a volte con il supporto delle aziende farmaceutiche stesse. Le buone pratiche, attivate in questo periodo pandemico, possono andare a sistema, con l’obiettivo di facilitare la presa in carico dei nostri assistiti”, ha spiegato Gabriella Levato, MMG Milano

“Il paziente cronico, qualunque esso sia, in tempo di COVID è stato davvero abbandonato, con una fortissima ripercussione sulla sua qualità di vita. Mi riferisco sia alla questione della continuità assistenziale, ma anche alla questione dei lavoratori fragili, ma non dimentichiamoci dei caregiver (genitori di bambini affetti da patologie croniche), nessuno ha pensato nei mesi in cui il COVID era quasi assente di programmare un piano che potesse tutelarci. È evidente che se nella prima era COVID avevamo la speranza dell’arrivo dell’estate e che si potesse improntare un piano di gestione per la cronicità nel breve tempo, invece no rieccoci con le chiusure ambulatoriali, i lavoratori fragili allo sbando e i caregiver che rischiano di perdere il proprio posto di lavoro per tutelare e prendersi carico dei propri figli. La telemedicina che ANMAR propone e che vede alcune realtà a cui è stata proposta (SMART SHARE) è una telemedicina improntata sull’interoperabilità tra le piattaforme già esistenti nelle regioni, questo perché? Perché l’interoperabilità funge da unione tra specialisti-MMG-sistema sanitario e paziente per davvero prendersi carico di chi vive con una cronicità senza abbandonarlo. Contatto tra MMG e specialista è fondamentale, soprattutto ora che l’unico interlocutore è il MMG perché i nostri reumatologi sono costretti in reparti COVID ad occuparsi dell’emergenza che sembra non finire mai”, ha detto Silvia Tonolo, Presidente ANMAR Onlus Associazione Nazionale Malati Reumatici

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