L’innovazione dirompente in medicina è in atto

innovazione dirompente

Ricerca traslazionale, tecnologie innovative e medicina di precisione: il futuro della sanità parte da qui, ma è importante garantire equità di accesso alle cure e sostenibilità del Sistema sanitario

16 Marzo 2021 – Nell’Opinione su “Disruptive innovations” o innovazione dirompente, l’Expert Panel on investing in health della Commissione Europea (EXPH), ha definito “l’innovazione dirompente nel settore sanitario” come un tipo di innovazione che crea nuove reti e nuove organizzazioni sulla base di una nuova serie di valori, coinvolgendo nuovi attori, che consente di migliorare la salute e di raggiungere altri obiettivi preziosi, come equità ed efficienza. Oltre alla definizione “europea” di innovazione dirompente il Panel ha elaborato anche una nuova tassonomia delle innovazioni dirompenti basata sui “campi di applicazione” e sulle loro categorie tecnologica (tecnologie a bassa ed alta complessità), organizzativa (modelli, strutture, processi), prodotti e servizi e risorse umane (personale sanitario, pazienti, cittadini e comunità).

In area tecnologica, numerosi dispositivi saranno disponibili nel prossimo biennio. 

Le proposte interesseranno la sensoristica, i micro/macro infusori, l’apparato cardiocircolatorio in termini di controllo di patologie aritmiche, coronariche e di deficit muscolare cardiaco.

La teragnostica implementerà i prodotti a disposizione, così come la radioterapia e la radiologia, tecnologie innovative che permetteranno di vedere gli organi come strutture trasparenti, gli xenobots (piccoli robot) che introdotti nell’apparato vascolare permetteranno di ripulire le arterie e veicolare  farmaci, le CAR  che amplieranno la propria copertura terapeutica, la medicina di precisione che si avvarrà di strumenti digitali di implementazione, super computer per analisi di big data per accelerare la scoperta farmacologica e la possibile applicazione clinica, e non ultima l’intelligenza artificiale che migliorerà le performance in tutti gli ambiti terapeutici e diagnostici a supporto dell’attività specialistica. L’home care sarà inoltre una possibilità di espansione della tecnologia medica a partire dalla telemedicina, fino a dispositivi di monitoraggio e cura. Non vanno dimenticati i prodotti misti  farmaco/dispositivo, non  ultimi  quelli  per  migliorare  l’aderenza  terapeutica  o  sistemi  di  impianto o esterni con delivery di sostanze.

Di tutto questo si è parlato durante il webinar intitolato “TWENTY/TWENTY-ONE. L’INNOVAZIONE DIROMPENTE NELL’ANNO 2021”, organizzato da Motore Sanità e con il contributo incondizionato di SHIONOGI e IT-MeD.

Alcuni campi di innovazione dirompente in medicina sono la ricerca traslazionale, le tecnologie innovative, la medicina di precisione. L’Unione Europea sta già finanziando alcuni progetti per esplorare questo problema in numerosi Stati membri spingendo a valutare i costi e i benefici delle attività di diagnostica molecolare per identificare le persone che potrebbero beneficiare di particolari attività di prevenzione e per identificare alcuni gruppi che dovrebbero ricevere o meno un trattamento particolare, e attività di identificazione di gruppi di pazienti che potrebbero trarre beneficio da un particolare tipo di trattamento specifico per quel sottogruppo.

Nei prossimi anni ci sarà uno sviluppo importante dell’immunoterapia – ha spiegato Paolo Ascierto, Direttore reparto di oncologia, melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative IRCCS Fondazione Pascale di Napoli –. Uno dei trattamenti che probabilmente avrà un futuro importante è quello dei TILs, lifociti intratumorali che vengono estratti dal tumore attraverso una proceduta complessa, vengono messi in cultura, si fanno di queste delle sacche e poi vengono re-infusi nel paziente Il dato interessante che sta emergendo da alcuni clinical trials come questo è che nei  pazienti che hanno fallito l’immunoterapia con checkpoint inhibitors, che si trovano cioè nella black area, possono avere circa 40% di risposte da questo trattamento. C’è poi un altro approccio molto interessante che è quello del recettore T solubile, una sorta di surrogato delle Car-T cell: è un approccio abbastanza innovativo che sta facendo parlare di se nei tumori solidi sia nel trattamento del melanoma uveale; questo approccio è interessante perché potrebbe avere un seguito importante in quei tumori in cui l’immunoterapia ha dimostrato di avere dei limiti. Per quanto riguarda invece le CAR-T per i tumori solidi ci sono dei limiti dovuti alla loro tipologia rispetto ai tumori ematologici e dovuti al target che a volte non è specifico del tumore. E poi c’è tutta una serie di sviluppi, che purtroppo il Covid ha fermato e che ci hanno visto coinvolti, e mi riferisco al progetto CARMA sul quale abbiamo lavorato fino a febbraio dello scorso anno. In un breve futuro sentiremo parlare anche di CAR NK, il CAR Macrophage-CAR Ms, CAR-Trucks”.

La terapia genica e il genome editing nella cura delle malattie ematologiche è stato il tema affrontato da Franco Locatelli, Direttore Dipartimento Oncoematologia, Terapia Cellulare, Terapie Geniche e Trapianto Emopoietico Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma e Presidente del Consiglio Superiore di Sanità.

I prodotti di terapia genica avanzata rappresentano l’avanguardia della medicina personalizzata e di precisione, e nei prossimi anni questi approcci terapeutici cambieranno la storia naturale di molte malattie ematologiche sia ereditarie sia acquisite. Le grandi sfide sono come implementare collaborazioni fruttuose tra istituzioni accademiche e industrie anche in Italia, come presentare nella maniera più corretta il rapporto benefici-rischi collegati a queste terapie e come meglio definire il loro posizionamento nella strategia più globale di trattamento di un paziente e, infine, il tema del costo di queste terapie e della loro sostenibilità, soprattutto per un paese come il nostro che ha la fortuna di poter contare su un sistema sanitario solidaristico”.

La medicina molecolare è diventata la medicina per tutte le patologie, per questo esige razionalizzazione e condivisione delle risorse.

Ci vuole una attenta valutazione e programmazione che si basa su quanto è stato fatto fino ad ora, ma che permetta una raccolta di dati sulla medicina molecolare al fine di una programmazione accurata delle risorse che devono essere inserite per mantenere attivo il percorso, altrimenti i costi diventano eccessivi e non sono più sostenibili, considerando che oramai la medicina molecolare è una medicina per tutte le patologie e non più una medicina di nicchia – ha spiegato Anna Sapino, Direttore Scientifico IRCCS Candiolo (TO)-. Quindi è necessario un percorso programmatico adeguato che garantisca la qualità di questo tipo di diagnosi e cura e l’applicabilità e la sostenibilità utilizzando tutte quelle che sono già le esperienze maturate fino ad ora. La rete, infine, è fondamentale anche nella medicina molecolare: ci sono diversi tipi di rete ma devono poi confluire tutte nel medesimo intento, quello di permettere che i farmaci nuovi possono essere utilizzati, quindi razionalizzazione e condivisione delle risorse”.

Il Disruptive innovations nel prossimo futuro chiede un cambio culturale di approccio da parte di tutti gli attori del sistema salute.

Siamo all’inizio di una rivoluzione che ricade sia sulle aziende sia sui singoli professionisti e sulla loro capacità di accettare questo tipo di nuova organizzazione e di nuovo supporto, che è inevitabile, in cui ci dovrà essere un regista e una serie di attori che danno una  mano – ha spiegato Davide Croce, Direttore Centro Economia e Management in Sanità e nel Sociale LIUC Business School, Castellanza (VA) -. Il Disruptive nel prossimo futuro spiega proprio questo, che la conoscenza in medicina nel prossimo futuro non sarà più dominio di una unica persona ma ci sarà bisogno della conoscenza di team di specialisti in varie discipline, che dovranno operare insieme ed in sequenza con tempi coordinati. La Car-T ci ha già mostrato questo scenario e la necessità di nuovi modelli decisionali differenti”.

Così ha spiegato Francesco S. Mennini, Presidente SIHTA. “La Disruptive innovations in sanità richiede valutazioni corrette e seguire approcci economici rigorosi che consentano di effettuare una vera e propria valorizzazione dell’innovazione in senso lato; richiede di valutare una innovazione che è in grado di creare nuovi mercati per introdurre il concetto di concorrenza e richiede nuovi ruoli professionali e nuove competenze, fondamentali per consentire anche il raggiungimento degli obiettivi in termini di outcome in maniera migliore” ha spiegato Francesco S. Mennini, Presidente SIHTA.

“Bisogna superare il concetto di evidenza paretiana”

Abbiamo imparato – ha concluso Claudio Zanon, Direttore scientifico di Motore Sanità – che dalla innovazione dirompente ognuno riesce finalmente a parlare della salute a 360 gradi, partendo  dalla innovazione tecnologica diagnostica alla organizzazione ai diritti del cittadino e a quelli del paziente, fino alla giusta equità di accesso alle cure. Come Motore Sanità proseguiremo organizzando nuovi incontri sull’argomento perché questo è il tema del futuro”.

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Aderenza e appropriatezza terapeutica ai tempi del COVID 19: ‘Quali migliori strategie terapeutiche usare? Parola agli esperti’

Aderenza e appropriatezza terapeutica

17 marzo 2021 – Facilitare la diffusione di buone pratiche organizzative finalizzate a favorire l’aderenza terapeutica. Attraverso un confronto tra i professionisti che si dedicano alla cura delle patologie più diffuse ad esempio medici specialisti, farmacisti, medici di medicina generale, economisti sanitari. Con lo scopo di stimolare un confronto sull’utilizzo delle strategie terapeutiche disponibili, sull’impatto che la pandemia in corso potrebbe lasciare sul sistema, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘FOCUS NORD OVEST. ADERENZA E APPROPRIATEZZA TERAPEUTICA, realizzato grazie al contributo non condizionato di Daiichi-Sankyo.

“L’aderenza terapeutica è innanzitutto una sfida! Perché? perché è estremamente difficile ottenerla e solo una stretta alleanza tra medici e pazienti potrò riuscire nell’intento. È stato oramai ampiamente dimostrato che lo scarso successo nel raggiungimento dei target terapeutici nelle principali patologie (ipertensione scompenso dislipidemie diabete) in buona parte è proprio dovuto ad una insufficiente aderenza terapeutica: dimenticanza di assumere farmaco, non ritenere così importante la patologia che uno ha, il continuo cambiamento di strategie terapeutiche ne sono la principale causa. Indubbiamente l’avvento di terapie di associazione prefissate dove in un’unica pastiglia possono essere contenuti più composti della medesima area terapeutica o di diverse ha in alcuni campi migliorato l’aderenza stessa. Ad esempio, per l’ipertensione arteriosa si è passati negli ultimi 10 anni da un’aderenza del 40% ca a più del 60%, ecco questa è una strada pratica da continuare a seguire però con un’avvertenza: non possiamo prescindere da un sempre più maggiore coinvolgimento dei pazienti. Solo uniti si può vincere”, ha spiegato Stefano Carugo, Direttore e Professore Cardiologia Policlinico, Milano

“Il tema della continuità delle cure, in particolare per quanto riguarda le malattie long-term, non può prescindere da una corretta aderenza ed appropriatezza terapeutica, non solo relativa ai farmaci ma anche alla diagnostica. Spesso i professionisti,  a qualsiasi livello del contesto sanitario, che sia esso Ospedaliero o Territoriale, danno per scontato che il paziente assuma correttamente le terapie a lui prescritte, ma sovente si osserva, tramite verifiche o – ancora peggio – per recidive della patologia (forse anche indotte da un’informazione sempre meno orientata al singolo cittadino ma tendente ad un processo di globalizzazione), che alcuni pazienti si scompensano e ricorrono frequentemente alle cure dei sanitari. A tal proposito ritengo che sia necessario avviare con i pazienti delle attività di informazione e counselling relativamente alla patologia di cui sono portatori e che sia necessario condividere con loro anche un cambiamento degli stili di vita. Un percorso virtuoso potrebbe essere, a mio avviso, quello di inserire i pazienti in percorsi specifici di sanità di iniziativa e follow-up che prevedono controlli periodici, counselling e incontri relativi a stili di vita, educazione terapeutica e, soprattutto, alla gestione delle terapie. Queste poche ma fondamentali misure dovranno essere adeguate alle necessità cliniche e culturali dei pazienti, affinché si perfezioni sempre di più il concetto di appropriatezza, non solo in termini economici”, ha dichiarato Lorenzo Angelone, Direttore Sanitario AOU Città della salute e della Scienza, Torino

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Innovazione del SSN e la salute dei cittadini nel 2021: “Quale medicina lascerà nel nostro futuro la pandemia COVID-19?”

Innovazione del SSN

16 marzo 2021Sensoristica, micro/macro infusori, patologie aritmiche, coronariche e deficit muscolare cardiaco, teragnostica, radioterapia, radiologia, Xenobots (robot fatti di cellule viventi che introdotti nell’apparato vascolare permetteranno di ripulire le arterie e veicolare farmaci), CAR, medicina di precisione, analisi di Big Data e intelligenza artificiale. Questi alcuni delle novità che saranno disponibili nel prossimo biennio e che saranno tra gli argomenti chiave della prossima Winter School di MOTORE SANITÀ. Con l’obiettivo di esaminare potenzialità e ricadute dell’innovazione breakthrough sul SSN e sulla salute dei cittadini, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘TWENTY/TWENTY-ONE. L’INNOVAZIONE DIROMPENTE NELL’ANNO 2021’ che si è svolto nell’arco di 2 giornate, realizzate grazie al contributo incondizionato di SHIONOGI e IT-MeD.

“Tra le tanti dolorose lezioni impartite da COVID-19 c’è anche l’incremento significativo del rischio di infezioni da opportunismo microbico all’interno delle aree di terapia intensiva dedicate. Le motivazioni che guidano tale aumento di incidenza sono molteplici, il sovraffollamento nelle terapie intensive, la necessità di impiegare infermieri senza un adeguato training, la necessità di misure comportamentali finalizzate a proteggere gli operatori sanitari hanno giocoforza ridotto l’attenzione sulla protezione dei pazienti, il ricorso a pressioni negative, normalmente non utilizzate in tale setting, l’utilizzo di farmaci immunosoppressori, una minore attenzione ai principi dell’antimicrobial stewardship. Tutto ciò ha generato più infezioni e maggiore circolazione di microrganismi resistenti, riproponendo con forza la grande necessità di farmaci innovativi. Rispetto a questi ultimi il mondo scientifico e gli Enti regolatori si trovano di fronte ad un dilemma di difficile soluzione: da un lato una necessità sempre più stringente, dall’altro una relativa carenza di evidenze, correlata alla estrema difficoltà a condurre trial clinici su casistiche di grandi dimensioni  in grado di arruolare pazienti in condizioni di estrema criticità e complessità. Appare quindi fortemente necessario aprire una nuova stagione di confronto tra clinici ed Enti regolatori al fine di identificare nuovi strumenti di valutazione dell’innovazione in terapia antimicrobica e di aumentare il livello di responsabilizzazione dei prescrittori”, ha detto Pierluigi Viale, Direttore unità Operativa di Malattie Infettive, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna

“Innovazione dirompente si coniuga attraverso processi differenti ma con una matrice comune: pensare e progettare out of the box qualunque sia il settore di appartenenza. Che sia farmaco, o dispositivo medico,  o alta tecnologia o organizzazione, è dirompente ciò che muta completamente o trasforma la realtà attuale. La pandemia lascia macerie ma anche insegnamenti e capacità sino a prima impensabili basti pensare alla creazione di decine di vaccini in circa 12 mesi! La rincorsa della scienza ha aperto nuovi scenari impensabili con nuove terapie e nuove possibilità diagnostiche. Il Webinar analizzerà l’innovazione breakthrough del SSN del 2021 e degli anni a seguire”, ha spiegato Claudio Zanon, Direttore Scientifico Motore Sanità

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La prossima pandemia riguarderà le malattie neuro-degenerative

malattie neuro degenerative

Nel 2050 in Europa si prevedono quasi 14 milioni di pazienti.

Ecco le nuove strategie terapeutiche che cambieranno l’approccio della cura nei prossimi anni. Ma l’Italia non è pronta.

16 Marzo 2021 – Sarà una nuova strategia terapeutica a cambiare lo scenario in neurologia: si tratta di nuovi farmaci che potrebbero essere disponibili già nei prossimi anni, ma l’Italia non sarebbe ancora pronta ad accogliere questa grande rivoluzione, a causa di un inadeguato numero di neurologi, geriatri, neuropsicologi, di pet e poi non tutti i centri possono fare l’esame del liquor cerebrospinale.

Quella che prevedono i neurologi sarà una vera e propria pandemia che interesserà nei prossimi decenni le patologie neurodegenerative. Negli Stati Uniti come in Europa si assisterà ad una triplicazione dei casi di malattia di malattia di Alzheimer, quasi 14 milioni nel 2050, e ancora di più in quei paesi emergenti dove l’aspettativa di vita sta rapidamente crescendo.

Mentre per altre terapie contro tumori, malattie cardiache, ictus o l’Hiv sono state trovate terapie che hanno drasticamente ridotto la mortalità, per quanto riguarda l’Alzheimer la mortalità è in continua crescita perché i farmaci disponibili attualmente non vanno ad incidere o a bloccare l’evoluzione delle patologie. Per le patologie neurodegenerative in generale non si sono trovate terapie adeguate perché alla base c’è una morte progressiva di cellule.

Quale sarà il nuovo scenario in Neurologia e quale sarà l’impatto dei nuovi farmaci sulla salute delle persone e sui sistemi sanitari è stato il tema affrontato nel webinar intitolato TWENTY/TWENTY-ONE. L’INNOVAZIONE DIROMPENTE NELL’ANNO 2021” organizzato da Motore Sanità e con il contributo incondizionato di SHIONOGI e IT-MeD.

Per la malattia di Alzheimer l’ultimo ventennio ha visto una grossa mole di scoperte in ambito neurobiologico che hanno dimostrato che alla base della malattia c’è l’accumulo di una proteina chiamata betamiloide che si forma da una proteina più grossa che tende a cumularsi progressivamente nel cervello, fino a dare quel quadro già descritto nel secolo scorso di Alzheimer “placche senili”. Questa proteina a sua volta porta ad alterazione di altre proteine.

Le ricerche degli ultimi anni hanno inoltre dimostrato che questi accumuli si verificano anche vent’anni prima dall’esordio della malattia.

In particolare nel quadro intermedio di declino cognitivo lieve (MCI), che precede la demenza e in cui si evidenziano i primi disturbi di memoria neuropsicologici, grazie ai biomarcatori potremmo dimostrare la patologia nel cervello e quindi intervenire con l’aiuto di nuovi farmaci che bloccano l’accumulo di beta-amiloide, oppure con anticorpi monoclonali (vaccinazione) che rimuovono questa proteina dal cervello, oppure, a cascata, con altre molecole che agiscono sulla Tau e su altri meccanismi innescati dall’accumulo di amiloide – spiega Carlo Ferrarese, Direttore Centro di Neuroscienze di Milano, Università di Milano Bicocca e Direttore Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza -. Ci sono molti studi che sono arrivati in fase tre e che si sono anche conclusi. Potremmo anche prevedere che il prossimo anno questi farmaci possano essere disponibili per quei pazienti in fase preliminare, non già dementi”.

È stato calcolato l’impatto sui sistemi sanitari di queste nuove terapie biologiche che potrebbero essere disponibili nei prossimi anni. “Lo studio condotto dall’agenzia americana Rand Corporation, che ha calcolato l’impatto negli Stati Uniti e nei paesi europei, ha dimostrato che in Italia su 20,6 milioni di persone con età superiore ai 55 anni nel 2019, 16,4 milioni potrebbero richiedere uno screening presso uno studio medico richiedendo quei test che possono prevedere il rischio di demenza; dei 2,9 milioni che risultano positivi allo screening per MCI, 1,4 milioni potrebbero cercare uno specialista per una valutazione, 1,3 milioni potrebbero essere indirizzati per il test del biomarker, 0,6 milioni potrebbero risultare positivi ai biomarker e tornare dallo specialista per conoscere il trattamento, 0,5 milioni potrebbero essere raccomandati per la terapia infusionale”.

Se l’Italia sarà pronta ad accogliere queste terapie è un grande punto interrogativo.

Non siamo ancora pronti perché non abbiamo un adeguato numero di neurologi, geriatri, neuropsicologi, non ci sono pet a sufficienza, non tutti i centri possono fare il liquor cerebrospinale – ha rimarcato il Dottor Ferrarese -. Proprio per queste previsioni abbastanza catastrofiche, l’Aifa ha finanziato, circa due anni fa, lo studio Interceptor che ha già concluso l’arruolamento di 400 pazienti con un quadro di declino cognitivo lieve per studiarli nell’arco di tre anni con un insieme di biomarcatori per poter predire quali sono i soggetti più candidabili a queste terapie quando saranno disponibili. L’altra strategia riguarda l’investimento che si sta facendo in sanità a causa del Covid, che può aiutare a sostenere il progetto di mettere in rete i CDCD affinché siano in grado di affrontare la grande sfida delle nuove terapie”.

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Gli esperti a confronto: “Indispensabile vaccinare i pazienti diabetici ancor più in questo periodo di pandemia!”

Diabete e vaccini

21 Gennaio 2021 – I pazienti affetti da diabete presentano un’aumentata mortalità rispetto alla popolazione generale, a causa di problemi correlati all’aumentato rischio di malattie cardiovascolari e cancro, ma anche alla maggiore incidenza di complicanze infettive che contribuiscono in maniera decisiva alla ridotta aspettativa di vita.

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Tumore del polmone NSCLC ALK +: “Necessario disporre di nuove opzioni terapeutiche per gli oltre 2.500 pazienti l’anno in Italia”

tumore polmone

19 gennaio 2021 – In Italia ogni anno circa 270 mila cittadini sono colpiti dal cancro. Attualmente, il 50% dei malati riesce a guarire, buona parte dell’altro 50% si cronicizza, riuscendo a vivere più o meno a lungo. Tra i cosiddetti big killer il tumore polmone rappresenta oggi la prima causa di morte per neoplasia negli uomini e la terza nelle donne.

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TRIALS CLINICI: “Nei prossimi anni condividere progetti tra i professionisti delle diverse specialità indispensabile per definire protocolli per risposte sempre più precise”

Trials clinici

12 Gennaio 2021 – Il termine trial clinico definisce uno studio clinico farmacologico, biomedico o salute-correlato, progettato secondo regole condivise e protocolli predefiniti per rispondere a precisi quesiti riguardanti l’effetto sui soggetti umani in termini di efficacia e sicurezza. Senza i trials clinici, il progresso nella lotta contro le malattie  sarebbe bloccato, ma perché sia ben fatto, bisogna costruire un disegno di studio preciso, individuando con cura sia la domanda a cui si vuole dare risposta (endpoint primario) sia la popolazione di pazienti arruolati nello studio (target), assicurandosi che tutto possa dare significatività statistica ai risultati. Nel caso di trials clinici sui farmaci, devono essere esaminati attentamente e approvati da Comitati Etico-Scientifici di esperti multidisciplinari. Per approfondire il tema, con il coinvolgimento di tecnici esperti, utilizzando come esempio la patologia oncologica renale e prostatica, MOTORE SANITÀ ha organizzato 3 appuntamenti dal titolo “Trials clinici: analisi e interpretazione la farmacia incontra l’oncologia”, in Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana, realizzati grazie al contributo incondizionato di IPSEN.

“Il Farmacista Ospedaliero ha un ruolo sempre più centrale, sia di collaborazione alla sperimentazione controllata di nuovi trattamenti sia nella fase di monitoraggio dell’impiego degli stessi una volta disponibili per la pratica clinica. La conoscenza delle più recenti regole per la valutazione della quantità e della qualità delle evidenze della ricerca è quindi oltremodo utile (e necessaria). In particolare, il Sistema GRADE è assunto a standard riconosciuto per la valutazione delle Prove e per la produzione delle Linee Guida per la pratica clinica. Nello specifico, il metodo GRADE propone una valutazione della qualità delle prove più ampia e articolata di quella proposta da tutti gli altri sistemi di Grading. Le principali caratteristiche del metodo consistono nel passaggio da una valutazione “studio specifica” a una valutazione “outcome specifica” per giudicare la qualità delle prove, cui concorre non solo la tipologia dello studio ma numerose altre variabili che nei metodi precedenti erano considerate in modo implicito e/o incompleto. La forza delle raccomandazioni fornite dal metodo GRADE è tenuta distinta dalla qualità delle prove e tiene conto del bilancio complessivo dei benefici e degli effetti indesiderati dei trattamenti, dei valori e preferenze dei pazienti, e dell’impiego di risorse necessarie all’implementazione delle raccomandazioni”, ha affermato Giovanni Pappagallo, Epidemiologo Clinico, Silea TV

“Oggi è sempre più rilevante l’acquisizione e la diffusione di strumenti interpretativi per l’analisi degli studi clinici. Quest’incontro ha cercato proprio di stimolare la discussione tra Oncologi, Farmacisti Ospedalieri e Metodologici in quest’ambito partendo dagli studi di terapia nei tumori urologici. Questa inter-relazione faciliterà sempre di più nei prossimi anni la collaborazione e la condivisione di progetti tra i professionisti delle diverse specialità”, ha spiegato Carmine Pinto, Direttore Struttura Complessa di Oncologia, Azienda USL IRCCS, Reggio Emilia

“Il trial clinico è un’opportunità per il clinico di sperimentare nuove procedure e per il paziente che in genere anticipa un trattamento innovativo. Una rete oncologica deve poter disporre di una infrastruttura dedicata che consenta di lavorare con casistica regionale secondo criteri di qualità e di equità. Occorre tuttavia non solo saper fare trials ma anche e soprattutto saperli leggere sapendo che, tra studi registrati e Real word, esistono differenze da interpretare e inserire nelle nostre scelte cliniche. Occorre anche superare ritardi burocratici e applicativi. il rapido trasferimento della ricerca alla clinica è un valore aggiunto per un sistema di qualità”, ha dichiarato Gianni Amunni, Direttore Generale Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO), Regione Toscana

Le recenti acquisizioni di conoscenze in ambito oncologico portano alla necessità di saper governare la mole di informazioni che si rendono disponibili dalla letteratura. Diventa quindi indispensabile la capacità di una corretta analisi degli studi clinici e l’acquisizione di competenze trasversali tra i diversi operatori coinvolti. La collaborazione tra clinici e farmacisti deve essere sempre più integrata in un percorso multidisciplinare fino ad ipotizzare un farmacista clinico al fianco del medico sia nella parte assistenziale che nel disegno di futuri studi di ricerca. Questa iniziativa assume pertanto una rilevanza nel percorso di formazione e di crescita di tutti coloro che sono coinvolti nell’attività oncologica”, ha detto Giordano Beretta, Responsabile Unità Operativa Oncologia Medica Humanitas Gavazzeni, Bergamo e Presidente Nazionale AIOM

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Gli effetti a breve e lungo termine del Covid-19: dolore, alterazione del sonno, ansia, paura Il ruolo del follow up e della riabilitazione dopo la dimissione del paziente dalla terapia intensiva

Gli effetti

23 Dicembre 2020 – Una delle preoccupanti considerazioni derivate dalla pandemia da SARS-COV-2 è stata che il virus non aggredisce solo i polmoni con una polmonite interstiziale che lesiona seriamente gli alveoli e trombizza i piccoli vasi conducendo ad  una insufficienza respiratoria talora mortale, ma attacca tutti gli organi causando alcuni effetti che probabilmente permangono a lungo e con conseguenze importanti.

Recentemente una pubblicazione della Rockfeller University riporta l’individuazione dei pazienti “long-haulers”, cioè persone che dopo una infezione iniziale spesso moderata e curata a domicilio, non riescono a guarire e rimangono incapacitati perché non respirano adeguatamente e presentano una serie di altri sintomi cronici come costanti dolori al petto e al cuore, sintomi intestinali, mal di testa, incapacità a concentrarsi, perdita di memoria, tachicardia anche al solo passaggio da sdraiati a seduti. Ma anche debolezza neuromuscolare, fatica, mancanza di respiro soprattutto sotto sforzo, tosse e moltissima debolezza. Altre alterazioni: riduzione dell’olfatto e dei gusti e disturbi del sonno. Inoltre, ci sono probabilità che vadano incontro a stroke più o meno gravi o ad attacco ischemico transitorio nell’immediato ma anche nel medio-periodo legati all’alterazione della coagulazione. Questo è il quadro presentato durante il webinar “Organopatia da Covid-19. Diagnosi, terapia e follow up” organizzato da  Motore Sanità.

I dati parlano chiaro: tra 1/5 e 1/10 dei pazienti soffrono di sintomi che durano più di un mese, mentre in un paziente su 45 (2,2%) perdurano per più di 3 mesi. Attualmente nel mondo sono segnalate circa 4 milioni di persone con sequele e malattia con sequele croniche. Sono colpiti sia pazienti che hanno avuto una infezione grave sia lieve e/o moderata. Una parte di questi pazienti hanno una permanenza del virus annidata in alcuni organi che determina una pioggia citochinica continua con stato infiammatorio e, se si giunge ad immunodepressione, anche alla riattivazione della malattia con aggravamento importante.

Cuore, cervello, apparato gastrointestinale, rene sono gli organi colpiti con conseguenze talora pesanti, da cui l’importanza di una consapevolezza clinica delle patologie derivanti, a partire dalla loro diagnosi, terapia e soprattutto follow up come organizzato da alcune Regioni al fine di capire l’importanza e la varietà dei residui post Covid nei cittadini contagiati.

Oggi c’è un farmaco che modula gli effetti della tempesta citochimica e potrebbe avere influenza anche su manifestazioni croniche.

“La somministrazione del Baricitinib, medicinale già impiegato per la cura dell’artrite reumatoide, e usato in modo “off-label sui 20 pazienti affetti dalle forme più gravi di Covid-19, ha mostrato in 7 giorni di somministrazione una marcata riduzione dei livelli sierici delle citochine infiammatorie mentre i linfociti T e B circolanti ritornano alla norma e il titolo anticorpale contro il virus si alzaha spiegato  Vincenzo Bronte, Direttore Immunologia AOUI Verona – in altri termini, il farmaco ripristina la capacità difensiva del sistema immunitario danneggiata dal Covid. I risultati sono stati confermati da uno studio clinico statunitense che ha visto la somministrazione del Baricitinib in combinazione con il Remdesivir su una popolazione di 1.000 pazienti con polmonite da Covid-19”.

Secondo una analisi condotta dalla Pneumologia dell’Ospedale di Cremona, a 5-6 mesi dalla dimissione, su circa 400 pazienti già ricontrollati, la più frequente sintomatologia riferita è astenia, affaticabilità, dolori diffusi, dispnea inspiratoria a riposo, senso di costrizione toracica, alterazione del sonno, ansia e paura. Il 90% della sintomatologia è legata a problema ansioso e a stress. Anche gli operatori sanitari riportano gravi conseguenze.

“Si registra una condizione di elevato impatto emotivo – ha spiegato Giancarlo Bosio, Direttore  Pneumologia Ospedale di Cremona -: la paura di infettarsi è stata elevata ma comunque minore della paura di infettare i familiari; il livello di benessere soggettivo è drasticamente diminuito e anche nella fase successiva post emergenziale non è tornata ai livelli precedenti: l’impatto emotivo è stato generalizzato e sono presenti per alcuni operatori manifestazioni persistenti degli eventi critici associate a difficoltà nel sonno e ad ansia; quasi due operatori su 3 accetta un supporto o sostegno emotivo”.

Quello che già si sta osservando negli ambulatori è una recidiva dei pazienti che hanno una sindrome dell’intestino irritabile, che hanno avuto un’infezione da Covid, l’elemento trigger che riaccende i sintomi funzionali.

Ma ci sono dei pazienti che non hanno mai avuto sintomi funzionali, hanno fatto l’infezione da Covid e sviluppano una sindrome tipica della sindrome dell’intestino irritabile, e non è una cosa nuova – ha ammesso Franco Radaelli, Direttore UOC Gastroenterologia Ospedale Valduce di Como -. Sappiamo che dopo una infezione del tratto gastroenterico circa un 10% dei pazienti sviluppa una sindrome dell’intestino irritabile post-infettiva. Il danno citopatico diretto del virus dà un’alterazione della permeabilità intestinale che dà una attivazione del sistema immunitario enterico che porta un’alterata motilità, una iperalgesia viscerale, a una disbiosi intestinale (i tre meccanismi fisiopatologici principali dei disturbi funzionali dell’apparato gastroenterico). Inoltre, la sindrome post Covid è caratterizzata da un’alterazione dello stato psichico (ansia, depressione), che nel doppio legame che c’è nell’asse cervello-intestino influenza negativamente la percezione di tutti i sintomi gastrointestinali. Ci aspetteremo nel prossimo futuro proprio un aumento dei pazienti nelle cliniche dei disturbi funzionali che hanno avuto infezione da Covid”.

C’è una relazione importante tra le malattie cardiovascolari e il Covid.

Sia perché che le malattie cardiovascolari preesistenti, in qualche modo, influenzano la prognosi e la  storia clinica del paziente Covid, sia perché il Covid di per sé determina malattie cardiovascolari – ha spiegato Claudio Bilato, Direttore UO Cardiologia Ospedale “Cazzavillan” Arzignano -. Sicuramente c’è una persistenza di sintomi post Covid che sembrerebbe non riguardare almeno in gran parte la patologia cardiovascolare, ma sicuramente i danni miocardici e polmonari accusati durante l’infezione da Covid possono determinare delle sequele importanti non solo in termini di scompenso ma, per esempio, se si pensa ad una fibrosi polmonare, può determinare una ipertensione polmonare cronica, malattia che sicuramente oltre a rappresentare una prognosi compromessa peggiora anche drasticamente la qualità di vita”.

Quando parliamo di qualità di vita post Covid si devono considerare le caratteristiche cliniche dei  pazienti trattati. “Ipertesi nel 64,5% dei casi, problematiche cardiache quasi nel 29% dei casi, diabetici nel 21%, obesi nel 18,8%, con dislipidemia nel 17,7% dei casi, con problemi oncologici nel 16,7% e con problematiche neurologiche legate alla senescenza nel 50% dei casi e con terapie molto complesse nel 67% – ha snocciolato i dati Sebastiano Marra, Direttore Dipartimento Cardiologia Villa Pia Hospital Torino che, a 60 giorni dal ricovero acuto, nel programma di riabilitazione, ha registrato un buon recupero di questi pazienti “sia sui parametri oggettivi sia su quelli clinici di recupero di soggettività e di normalizzazione della vita”.

Presso l’IRCCS San Martino di Genova è stato creato un follow up a brevissimo termine per monitorare il paziente dimesso dalla terapia intensiva e sottoporlo ad un vero e proprio programma di riabilitazione intenso in cui la fisioterapia ha un ruolo fondamentale.

I pazienti vengono mantenuti dai 3 ai 10 ai 15 giorni perché almeno il 30%-35% di loro presentano ulteriori problematiche che necessitano di essere trattate in maniera molto rapida – ha spiegato Paolo Pelosi, Professore Ordinario in Anestesiologia e Rianimazione, Direttore UOC Anestesia e Terapia Intensiva IRCCS San Martino Genova -. E’ estremamente importante il monitoraggio continuo della saturazione e della fatica respiratoria e l’intubazione precoce nei pazienti con grave difficoltà respiratoria”.

E’ necessario un controllo prolungato nel tempo dei pazienti e i sistemi di telemonitoraggio, teleconsulto, teleriabilitazione possono svolgere un ruolo estremamente importante per affrontare in modo concreto questi problemi che si prolungano dopo la dimissione, considerando che non tutti i pazienti possono essere seguiti in modo ambulatoriale tradizionale –  ha spiegato Franco Molteni, Direttore UOC Recupero e Riabilitazione Funzionale Villa Beretta Costa Masnaga -. Ovviamente è fondamentale un follow up costante che dirà, nel lungo periodo, su quali ulteriori problematiche dovremo concentrare la nostra attenzione dal punto di vista riabilitativo per restituire pienamente questi pazienti alla loro vita pre Covid”.

Invece, per affrontare le positività persistenti in pazienti e operatori sanitari, nei laboratori di Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova sono stati messi a punto degli esami molecolari ulteriori per poter dare degli aiuti ulteriori ai clinici.

Il nostro obiettivo è verificare se queste bassissime positività persistenti sono legate ad un virus che è ancora in fase replicativa oppure se sono solo una scia in cui il virus non è più infettante – ha spiegato Lucia Rossi, Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova -. In questi mesi, in parallelo abbiamo fatto sia le colture cellulari sia la ricerca del mRNA subgenomico – ha aggiunto Elisa Franchin, Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova  -. Stiamo adottando questi tipi criteri di ricerca del campione del virus per la gestione dei pazienti  e del personale che deve rientrare al lavoro”.

A fronte di un numero importante di ricoveri negli ospedali e di ricoveri in terapie intensive, quindi di un  importante numero di pazienti che dovranno essere presi in carico dopo le dimissioni, le istituzioni devono pensare di favorire lo sviluppo di percorsi appropriati di salute nell’ambito di queste patologie – ha spiegato Franco Ripa, Responsabile Programmazione dei Servizi Sanitari e Socio Sanitari Regione Piemonte – ovvero modelli che devono partire da linee guida, che devono essere tradotti dal punto di vista organizzativo e soprattutto valutati”.

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