Gli esperti a confronto: “Indispensabile vaccinare i pazienti diabetici ancor più in questo periodo di pandemia!”

Diabete e vaccini

21 Gennaio 2021 – I pazienti affetti da diabete presentano un’aumentata mortalità rispetto alla popolazione generale, a causa di problemi correlati all’aumentato rischio di malattie cardiovascolari e cancro, ma anche alla maggiore incidenza di complicanze infettive che contribuiscono in maniera decisiva alla ridotta aspettativa di vita.

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Gli effetti a breve e lungo termine del Covid-19: dolore, alterazione del sonno, ansia, paura Il ruolo del follow up e della riabilitazione dopo la dimissione del paziente dalla terapia intensiva

Gli effetti

23 Dicembre 2020 – Una delle preoccupanti considerazioni derivate dalla pandemia da SARS-COV-2 è stata che il virus non aggredisce solo i polmoni con una polmonite interstiziale che lesiona seriamente gli alveoli e trombizza i piccoli vasi conducendo ad  una insufficienza respiratoria talora mortale, ma attacca tutti gli organi causando alcuni effetti che probabilmente permangono a lungo e con conseguenze importanti.

Recentemente una pubblicazione della Rockfeller University riporta l’individuazione dei pazienti “long-haulers”, cioè persone che dopo una infezione iniziale spesso moderata e curata a domicilio, non riescono a guarire e rimangono incapacitati perché non respirano adeguatamente e presentano una serie di altri sintomi cronici come costanti dolori al petto e al cuore, sintomi intestinali, mal di testa, incapacità a concentrarsi, perdita di memoria, tachicardia anche al solo passaggio da sdraiati a seduti. Ma anche debolezza neuromuscolare, fatica, mancanza di respiro soprattutto sotto sforzo, tosse e moltissima debolezza. Altre alterazioni: riduzione dell’olfatto e dei gusti e disturbi del sonno. Inoltre, ci sono probabilità che vadano incontro a stroke più o meno gravi o ad attacco ischemico transitorio nell’immediato ma anche nel medio-periodo legati all’alterazione della coagulazione. Questo è il quadro presentato durante il webinar “Organopatia da Covid-19. Diagnosi, terapia e follow up” organizzato da  Motore Sanità.

I dati parlano chiaro: tra 1/5 e 1/10 dei pazienti soffrono di sintomi che durano più di un mese, mentre in un paziente su 45 (2,2%) perdurano per più di 3 mesi. Attualmente nel mondo sono segnalate circa 4 milioni di persone con sequele e malattia con sequele croniche. Sono colpiti sia pazienti che hanno avuto una infezione grave sia lieve e/o moderata. Una parte di questi pazienti hanno una permanenza del virus annidata in alcuni organi che determina una pioggia citochinica continua con stato infiammatorio e, se si giunge ad immunodepressione, anche alla riattivazione della malattia con aggravamento importante.

Cuore, cervello, apparato gastrointestinale, rene sono gli organi colpiti con conseguenze talora pesanti, da cui l’importanza di una consapevolezza clinica delle patologie derivanti, a partire dalla loro diagnosi, terapia e soprattutto follow up come organizzato da alcune Regioni al fine di capire l’importanza e la varietà dei residui post Covid nei cittadini contagiati.

Oggi c’è un farmaco che modula gli effetti della tempesta citochimica e potrebbe avere influenza anche su manifestazioni croniche.

“La somministrazione del Baricitinib, medicinale già impiegato per la cura dell’artrite reumatoide, e usato in modo “off-label sui 20 pazienti affetti dalle forme più gravi di Covid-19, ha mostrato in 7 giorni di somministrazione una marcata riduzione dei livelli sierici delle citochine infiammatorie mentre i linfociti T e B circolanti ritornano alla norma e il titolo anticorpale contro il virus si alzaha spiegato  Vincenzo Bronte, Direttore Immunologia AOUI Verona – in altri termini, il farmaco ripristina la capacità difensiva del sistema immunitario danneggiata dal Covid. I risultati sono stati confermati da uno studio clinico statunitense che ha visto la somministrazione del Baricitinib in combinazione con il Remdesivir su una popolazione di 1.000 pazienti con polmonite da Covid-19”.

Secondo una analisi condotta dalla Pneumologia dell’Ospedale di Cremona, a 5-6 mesi dalla dimissione, su circa 400 pazienti già ricontrollati, la più frequente sintomatologia riferita è astenia, affaticabilità, dolori diffusi, dispnea inspiratoria a riposo, senso di costrizione toracica, alterazione del sonno, ansia e paura. Il 90% della sintomatologia è legata a problema ansioso e a stress. Anche gli operatori sanitari riportano gravi conseguenze.

“Si registra una condizione di elevato impatto emotivo – ha spiegato Giancarlo Bosio, Direttore  Pneumologia Ospedale di Cremona -: la paura di infettarsi è stata elevata ma comunque minore della paura di infettare i familiari; il livello di benessere soggettivo è drasticamente diminuito e anche nella fase successiva post emergenziale non è tornata ai livelli precedenti: l’impatto emotivo è stato generalizzato e sono presenti per alcuni operatori manifestazioni persistenti degli eventi critici associate a difficoltà nel sonno e ad ansia; quasi due operatori su 3 accetta un supporto o sostegno emotivo”.

Quello che già si sta osservando negli ambulatori è una recidiva dei pazienti che hanno una sindrome dell’intestino irritabile, che hanno avuto un’infezione da Covid, l’elemento trigger che riaccende i sintomi funzionali.

Ma ci sono dei pazienti che non hanno mai avuto sintomi funzionali, hanno fatto l’infezione da Covid e sviluppano una sindrome tipica della sindrome dell’intestino irritabile, e non è una cosa nuova – ha ammesso Franco Radaelli, Direttore UOC Gastroenterologia Ospedale Valduce di Como -. Sappiamo che dopo una infezione del tratto gastroenterico circa un 10% dei pazienti sviluppa una sindrome dell’intestino irritabile post-infettiva. Il danno citopatico diretto del virus dà un’alterazione della permeabilità intestinale che dà una attivazione del sistema immunitario enterico che porta un’alterata motilità, una iperalgesia viscerale, a una disbiosi intestinale (i tre meccanismi fisiopatologici principali dei disturbi funzionali dell’apparato gastroenterico). Inoltre, la sindrome post Covid è caratterizzata da un’alterazione dello stato psichico (ansia, depressione), che nel doppio legame che c’è nell’asse cervello-intestino influenza negativamente la percezione di tutti i sintomi gastrointestinali. Ci aspetteremo nel prossimo futuro proprio un aumento dei pazienti nelle cliniche dei disturbi funzionali che hanno avuto infezione da Covid”.

C’è una relazione importante tra le malattie cardiovascolari e il Covid.

Sia perché che le malattie cardiovascolari preesistenti, in qualche modo, influenzano la prognosi e la  storia clinica del paziente Covid, sia perché il Covid di per sé determina malattie cardiovascolari – ha spiegato Claudio Bilato, Direttore UO Cardiologia Ospedale “Cazzavillan” Arzignano -. Sicuramente c’è una persistenza di sintomi post Covid che sembrerebbe non riguardare almeno in gran parte la patologia cardiovascolare, ma sicuramente i danni miocardici e polmonari accusati durante l’infezione da Covid possono determinare delle sequele importanti non solo in termini di scompenso ma, per esempio, se si pensa ad una fibrosi polmonare, può determinare una ipertensione polmonare cronica, malattia che sicuramente oltre a rappresentare una prognosi compromessa peggiora anche drasticamente la qualità di vita”.

Quando parliamo di qualità di vita post Covid si devono considerare le caratteristiche cliniche dei  pazienti trattati. “Ipertesi nel 64,5% dei casi, problematiche cardiache quasi nel 29% dei casi, diabetici nel 21%, obesi nel 18,8%, con dislipidemia nel 17,7% dei casi, con problemi oncologici nel 16,7% e con problematiche neurologiche legate alla senescenza nel 50% dei casi e con terapie molto complesse nel 67% – ha snocciolato i dati Sebastiano Marra, Direttore Dipartimento Cardiologia Villa Pia Hospital Torino che, a 60 giorni dal ricovero acuto, nel programma di riabilitazione, ha registrato un buon recupero di questi pazienti “sia sui parametri oggettivi sia su quelli clinici di recupero di soggettività e di normalizzazione della vita”.

Presso l’IRCCS San Martino di Genova è stato creato un follow up a brevissimo termine per monitorare il paziente dimesso dalla terapia intensiva e sottoporlo ad un vero e proprio programma di riabilitazione intenso in cui la fisioterapia ha un ruolo fondamentale.

I pazienti vengono mantenuti dai 3 ai 10 ai 15 giorni perché almeno il 30%-35% di loro presentano ulteriori problematiche che necessitano di essere trattate in maniera molto rapida – ha spiegato Paolo Pelosi, Professore Ordinario in Anestesiologia e Rianimazione, Direttore UOC Anestesia e Terapia Intensiva IRCCS San Martino Genova -. E’ estremamente importante il monitoraggio continuo della saturazione e della fatica respiratoria e l’intubazione precoce nei pazienti con grave difficoltà respiratoria”.

E’ necessario un controllo prolungato nel tempo dei pazienti e i sistemi di telemonitoraggio, teleconsulto, teleriabilitazione possono svolgere un ruolo estremamente importante per affrontare in modo concreto questi problemi che si prolungano dopo la dimissione, considerando che non tutti i pazienti possono essere seguiti in modo ambulatoriale tradizionale –  ha spiegato Franco Molteni, Direttore UOC Recupero e Riabilitazione Funzionale Villa Beretta Costa Masnaga -. Ovviamente è fondamentale un follow up costante che dirà, nel lungo periodo, su quali ulteriori problematiche dovremo concentrare la nostra attenzione dal punto di vista riabilitativo per restituire pienamente questi pazienti alla loro vita pre Covid”.

Invece, per affrontare le positività persistenti in pazienti e operatori sanitari, nei laboratori di Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova sono stati messi a punto degli esami molecolari ulteriori per poter dare degli aiuti ulteriori ai clinici.

Il nostro obiettivo è verificare se queste bassissime positività persistenti sono legate ad un virus che è ancora in fase replicativa oppure se sono solo una scia in cui il virus non è più infettante – ha spiegato Lucia Rossi, Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova -. In questi mesi, in parallelo abbiamo fatto sia le colture cellulari sia la ricerca del mRNA subgenomico – ha aggiunto Elisa Franchin, Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova  -. Stiamo adottando questi tipi criteri di ricerca del campione del virus per la gestione dei pazienti  e del personale che deve rientrare al lavoro”.

A fronte di un numero importante di ricoveri negli ospedali e di ricoveri in terapie intensive, quindi di un  importante numero di pazienti che dovranno essere presi in carico dopo le dimissioni, le istituzioni devono pensare di favorire lo sviluppo di percorsi appropriati di salute nell’ambito di queste patologie – ha spiegato Franco Ripa, Responsabile Programmazione dei Servizi Sanitari e Socio Sanitari Regione Piemonte – ovvero modelli che devono partire da linee guida, che devono essere tradotti dal punto di vista organizzativo e soprattutto valutati”.

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Covid 19 e cervello: sintomi, complicanze e ripercussioni sulla gestione delle malattie neurologiche

Covid-19 e cervello

Lo studio multicentrico NeuroCOVID della Società Italiana di Neurologia sta raccogliendo informazioni sui pazienti che sono o sono stati affetti da Covid-19 per valutare possibili implicazioni a lungo termine sul cervello ed il sistema nervoso

23 Dicembre 2020 – Il Covid 19, come può colpire organi come polmoni, cuore, rene, può anche colpire il cervello e con due implicazioni nelle malattie neurologiche, manifestazioni neurologiche direttamente indotte dall’infezione e grosse ripercussioni sulla gestione delle malattie neurologiche legate all’emergenza come dimostra uno studio recentemente pubblicato che ha evidenziato gli effetti comportamentali e psicologici della quarantena nei pazienti con demenza: peggioramento di sintomi comportamentali e psicologici della demenza come apatia (34,5%), depressione (25%), ansia (29%), disturbi del sonno (24%), irritabilità (40,2%), agitazione (30,7%) e un nuovo inizio di sintomi comportamentali e psicologici della demenza quali disturbi del sonno (21,3%), irritabilità (20,6%), apatia ( 17%) e aggressività (13%).

E’ quanto è emerso durante il webinar “Organopatia da Covid-19. Diagnosi, terapia e follow up” organizzato da  Motore Sanità.

Sono molteplici i quadri neurologici che possono insorgere nelle varie fasi dell’infezione: sintomi a livello del sistema nervoso centrale come cefalea, vertigini, disturbi dello stato di coscienza (confusione, delirium, fino al coma), encefaliti da infezione diretta del virus o su base autoimmune, manifestazioni epilettiche, disturbi motori e sensitivi, spesso legati a ictus ischemici o emorragici; sintomi a livello del sistema nervoso periferico come la perdita o distorsione del senso dell’olfatto, del gusto, sofferenza diretta o su base immuno-mediata dei nervi periferici (neuralgie, sindrome di Guillan-Barrè), nonché sintomi da danno muscolare scheletrico, che si manifestano con mialgie intense, spesso correlate a rialzo di enzimi liberati dal muscolo (CPK), espressione di danno muscolare diretto.

Ma, come è stato segnalato per altri organi, si possono manifestare complicanze neurologiche post Covid: in circa il 30% dei soggetti trattati presso gli ambulatori post Covid, oltre ad astenia, che è il sintomo più comune, si è osservata difficoltà di concentrazione o veri e propri disturbi di memoria, e ora i neurologi stanno cercando di documentare quali sono le aree cerebrali che posso maggiormente essere colpite, con valutazioni neuropsicologiche o con la risonanza o con esami di imaging.

Si possono inoltre manifestare patologie neurologiche legate ad alterazioni delle pareti vasali, alterazioni della coagulazione, liberazione delle citochine pro-infiammatorie, infiammazione della parete dei vasi e la produzione di autoanticorpi.

Proprio per il rischio importante di complicanze durante l’infezione e di conseguenze anche dopo l’infezione, la Società Italiana di Neurologia (SIN) ha promosso lo studio multicentrico NeuroCOVID sulle manifestazioni neurologiche durante l’infezione con l’obiettivo di raccogliere informazioni sui pazienti che sono o sono stati affetti da Covid-19 relative alla specifica sintomatologia clinica neurologica manifestata, ad esami eventualmente eseguiti per evidenziare un interessamento del cervello e sul decorso della sintomatologia allo scopo di valutare possibili implicazioni a lungo termine sul sistema nervoso.

Lo studio è partito a marzo con l’esplosione della pandemia e il reclutamento si protrarrà fino al giugno 2021 con un follow-up che dovrebbe protrarsi fino alla fine dell’anno prossimo. Allo studio hanno già aderito 48 unità di neurologia nel territorio italiano e altre stanno chiedendo l’adesione.

Si osserva un legame della proteina Spike del virus ai recettori ACE2 e Neuropilina1, presenti sia in cellule epiteliali, che vascolari, che nervose – ha spiegato il Professor Carlo Ferrarese, Direttore del Centro di Neuroscienze di Milano, Università di Milano Bicocca e Direttore della Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza -. L’ingresso del virus al cervello può essere ematogena ma soprattutto guidato dal nervo olfattorio e dal nervo vago, che innerva polmoni e l’intestino, e giunto al cervello può rapidamente diffondersi tra le varie cellule nervose, negli astrociti, e negli studi autoptici che sono stati fatti in soggetti deceduti con infezione, è stato osservato proprio il virus nelle cellule cerebrali”.

Le patologie che vengono osservate, come ad esempio le encefaliti, hanno spesso una base autoimmune. “In alcuni casi – ha proseguito il Ferraresesono legate al danno del virus, ma in molti casi si sono risolte con massicce dosi di steroidi seguite da plasmaferesi oppure da somministrazione di immunoglobuline, come accade nella malattia di Guillan-Barrè, i cui casi si manifestano a volte già all’esordio della sintomatologia Covid, a volte a distanza di tempo, quindi è come se la risposta immunitaria favorisse proprio queste patologie sia a livello del sistema nervoso centrale che periferico”.

A tale proposito “l’esercizio di per sé ha un effetto terapeutico perché ha effetti di neuromodulazione e di modulazione anche della risposta immunitaria in funzione dell’intensità di esercizio – spiega Franco Molteni, Direttore UOC Recupero e Riabilitazione Funzionale Villa Beretta Costa Masnaga -. Altro elemento da non sottovalutare in questi pazienti è la risposta del sistema vegetativo all’esercizio che è spesso alterata e che probabilmente è implicata nella sindrome da fatica cronica che stiamo osservando in questi pazienti. Questi due elementi andrebbero visti in modo molto approfonditi nel lungo periodo”.

Infine, la pandemia ha avuto una enorme ripercussione sulla gestione delle malattie neurologiche. “La chiusura degli ambulatori, soprattutto nella prima fase, la difficoltà stessa di pazienti che hanno avuto ansia a recarsi al pronto soccorso per le loro patologie e quindi non sono stati seguiti, e lo stesso lockdown che ha costretto a casa pazienti con la demenza hanno fatto registrare un netto peggioramento del quadro dei disturbi comportamentali o addirittura la comparsa di nuovi disturbi comportamentali in soggetti affetti da demenza, come testimonia uno studio recentemente pubblicato – ha concluso il Professor Ferrarese -. Stiamo cercando di attrezzarci con la telemedicina, con collegamenti via internet e telefonici, seppur non è la stessa cosa che seguire direttamente questi pazienti. Le patologie neurologiche hanno avuto un grosso impatto da questa pandemia, stiamo cercando di monitorarle e vedremo anche a distanza di tempo quale sarà lo scenario”.

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ORGANOPATIA DA SARS COV-2

organopatia

Consapevolezza clinica delle patologie derivanti, a partire da diagnosi precoce, terapia rapida e follow-up

22 dicembre 2020 – È ormai appurato che il virus da SARS COV-2 non aggredisce solo i polmoni portando ad un’insufficienza respiratoria spesso mortale, ma attacca praticamente tutti gli organi causando in alcuni deficit che permangono a lungo e con conseguenze importanti. È il caso dei cosiddetti long-haulers, cioè persone che dopo un’infezione iniziale spesso moderata e curata a domicilio, non riescono a guarire completamente, perché il virus persiste in piccole quantità in alcuni organi del corpo, dando origine non a una tempesta citochimica ma ad una pioggia citochimica con infiammazione permanente e se si giunge ad immunodepressione anche alla riattivazione della malattia con aggravamento importante. Per approfondire al meglio il tema, MOTORE SANITÀ ha organizzato il webinar ‘Organopatia da Covid-19: diagnosi, terapia e follow-up’.

Come affermato dagli esperti, in primis dal Prof. Fauci, il Coronavirus colpisce non solo le vie aree ma talora si diffonde a tutti gli organi con conseguenze che si prolungano a lungo. Sintomi come la fatica, dolori muscolari ed ossei, dispnea, diarrea e sintomi cardiaci e neurologici sono presenti soprattutto nei pazienti con alta carica virale o sottoposti a terapie ad alta intensità per vincere il contagio da SARS COV-2. In alcuni pazienti, come riportato in letteratura, il virus si occulta in alcuni organi non scatenando una tempesta citochinica ma una pioggia citochinica con uno stato infiammatorio permanente che talora riattiva la malattia prima superata a domicilio con necessità di ricovero in ospedale. D qui la necessità di analizzare le conseguenze del contagio in termini epidemiologici e assistenziali per indurre i centri e le regioni a programmare un follow up di  questi pazienti per capirne la prevalenza e l’impatto in termini di salute e sociali”, ha dichiarato Claudio Zanon, Direttore Scientifico Osservatorio Motore Sanità

“Elevazione degli enzimi epatici sono comuni in corso di COVID-19, potendo essere riscontratifino al 76% dei casi. Elevati livelli di alanina aminotransferasi (ALT) e soprattutto di aspartato aminotransferasi (AST) sono le anomalie più comuni, anche se solo nei pazienti più gravi si osservano valori maggiori di 3 volte quelli normali; incremento dei livelli di γ-glutamil transferasi (GGT) possono essere riscontrati fino al 50% e della bilirubina nel 10% dei casi. La fosfatasi alcalina (ALP) è tipicamente normale nonostante il recettore ACE2 sia espresso sul 58% delle cellule dei dotti biliari. L’insufficienza epatica acuta su cronica (ACLF) segnalata già per il virus dell’influenza, è stata anche riportato nel 12% e nel 28% dei pazienti con cirrosi compensata con incremento della mortalità. I meccanismi con cui SARS-CoV-2 colpisce il fegato non sono ben definiti. Il recettore ACE2 è espresso solo nel 2,6% degli epatociti e un effetto citopatico diretto, descritto per i virus della SARS e della MERS non è stato documentato per SARS-CoV-2 anche se ci sono riscontri aneddotici alla microscopia elettronica della tipica struttura spike nel citoplasma degli epatociti. Secondo la World Gastroenterology Organization (WGO) le procedure interventistiche come l’endoscopia e la colangiopancreatografia retrograda endoscopica dovrebbero essere eseguite solo in casi di emergenza o quando sono considerate strettamente necessarie come in varici ad alto rischio o colangite. La sorveglianza del cancro epatocellulare potrebbe essere posticipata di 2 o 3 mesi. Il trapianto di fegato dovrebbe essere limitato ai pazienti con punteggi MELD elevati, insufficienza epatica acuta ed epatocellulare cancro entro i criteri di Milano. Donatori e riceventi dovrebbero essere testati per SARS-CoV-2 e se trovato positivo il donatore dovrebbe essere escluso e il trapianto di fegato posticipato fino alla guarigione dall’infezione”, ha spiegato Antonio Cascio, Direttore Unità Operativa Malattie Infettive Policlinico P. Giaccone, Palermo

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Telemedicine R-Evolution – Telemedicina e gestione del paziente cronico nell’era Covid-19 come è evoluta la situazione in questi 6 mesi

La Telemedicina, innovazione della medicina che usa le tecnologie digitali, sta dimostrando in questo momento di grande emergenza sanitaria di essere una grande opportunità sia sul piano della salute sia per la società per i vantaggi che offre: rappresenta uno strumento per innovare in medicina e garantire qualità di assistenza a tutti i cittadini. Si tratta di una innovazione della medicina efficace ed efficiente poiché è in grado di implementare il sistema di cura e di assistenza dei paziente, a distanza, non sostituendo la professionalità di medici e operatori sanitari che lavorano negli ospedali e negli ambulatori, ma ha tutte le caratteristiche per potenziare competenze e sinergie sul “territorio”. Ecco perché per il Sistema Sanitario Nazionale la telemedicina deve essere considerata prima di tutto un investimento e non un costo. Come è evoluta la situazione in questi sei mesi attraverso gli strumenti da remoto, messi in campo per tenere in piedi un filo diretto con il paziente cronico, e cosa ci attenderà, è stato il focus dell’ultimo incontro webinar “Telemedicine R-evolution”, che trae il nome proprio dal virtuoso progetto Telemedicine R-evolution, avviato a luglio e voluto da Roche Diabetes Care e realizzato in collaborazione con Mondosanità.

LE OPPORTUNITÀ: CONCRETE POSSIBILITÀ ASSISTENZIALI MA ASPETTI DA CONSIDERARE ATTENTAMENTE
L’esigenza di mettere a sistema nazionale la Telemedicina è diventata una vera e propria emergenza in questa fase pandemica, ma per essere utile deve poggiare su una progettazione accurata in modo tale da rendere la vita facile ai pazienti nel fruire dei servizi e delle prestazioni. Per garantire tutto questo ci sono diversi aspetti da tenere in considerazione. A partire dalla coerenza organizzativa: c’è da salvaguardare le autonomie regionali e c’è da salvaguardare anche una coerenza di sistema altrimenti si paga uno scotto, un disallineamento tra le equità di accesso ai trattamenti. L’utilizzo della telemedicina da un punto di vista medico, altra questione: ci sono degli aspetti che vanno studiati con i sistemi della ricerca clinica, non è detto infatti che un sistema software brillante nella soluzione tecnologica sia anche utile anche ai pazienti. Il punto fondamentale, in sostanza, è capire in quale modo il Servizio Sanitario può evolvere verso l’uso corretto della telemedicina. Ci sono alcuni aspetti da tenere presente: come la definizione delle prestazioni e dei servizi, come le normative in ambito della tecnologia applicate in sanità da rivedere periodicamente e conoscere le esperienze territoriali. Il Servizio Sanitario Nazionale dall’inizio dell’emergenza sanitaria ha cercato di mettere in atto strategie nuove per riuscire a contenere non solo i danni derivati direttamente dal nuovo Coronavirus, ma è stato chiamato a dare il massimo impegno per evitare il più possibile che le misure di
contenimento del contagio, limitando l’accesso di persona ad alcune prestazioni sanitarie, abbiamo effetti negativi sulla tempestività della diagnosi e sull’andamento della terapia di malattie croniche, oncologiche, malattie rare e disabilità. Un dato da ricordare: le malattie croniche non trasmissibili assorbono circa l’80% delle risorse finanziarie allocate nel Servizio Sanitario Nazionale. Il ricorso alla Telemedicina garantirebbe una migliore qualità di vita dei pazienti e la sostenibilità del Servizio Sanitario pubblico. Il Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato due Rapporti COVID-19 sulla Telemedicina mettendo in evidenza quanto siano concrete le possibilità assistenziali disponibili e quanto sia fondamentale utilizzarle correttamente per garantire il più possibile la continuità di cura nel periodo di emergenza e anche successivamente.Il primo documento raccoglie indicazioni per rendere rapidamente operativi i servizi domiciliari in Telemedicina per l’assistenza primaria (https://tinyurl.com/yb62nocz), il più recente rapporto è dedicato alle modalità per ottimizzare l’uso della Telemedicina in pediatria “Telepediatria” (https://tinyurl.co /y6ef8qwj). Altri Rapporti dello stesso Centro Nazionale sono in fase di elaborazione.

COSA E’ SUCCESSO PER IL PAZIENTE DIABETICO DURANTE LA PANDEMIA
In questi mesi pandemici si sono rese necessarie video-chiamate, email criptate e e-mail istituzionalizzate per mantenere attivo un filo diretto con il paziente diabetico. In remoto, nei primi mesi, delle visite perse rispetto al 2019 – 580 mila per il diabete di tipo 2 e 63 mila per il diabete di tipo 1 – ne sono state recuperate il 44% per il diabete di tipo 1, premettendo che il paziente diabetico è già abituato a inviare informazioni che riguardavano il dato glicemico. Per il diabete di tipo 2 con gli attuali strumenti disponibili incontriamo il dato glicemico ma non il paziente. Il 63% della popolazione italiana ha più di 65 anni e il 32% ha oltre 75 anni.

PRESA IN CARICO DELLA CRONICITÀ ATTRAVERSO LA TELEMEDICINA
Il Covid-19 ha innescato in questi mesi un processo di sviluppo di nuovi meccanismi: le procedure ospedaliere si sono modificate, per esempio, ogni ospedale ha attuato nuove procedure per garantire al paziente non Covid un accesso pulito; sul fronte territoriale sono nate le Unità Speciali di Continuità Assistenziale e sono state potenziate le cure primarie. Tutte opportunità che oggi ha il Sistema Sanitario Nazionale per rispondere alle esigenze degli ammalati. La Telemedicina è un modello assistenziale che si aggiunge a queste opportunità – durante questa emergenza sono nate 180 attività di telemedicina di cui il 50% erano tele-visite e il 30% tele-consulti – poiché è in grado di potenziare il territorio quindi anche l’assistenza domiciliare del paziente fragile. La Telemedicina dovrebbe entrare nel Percorso diagnostico terapeutico assistenziale del paziente, stabilire tariffe e criteri di accreditamento. L’auspicio è creare una assistenza sanitaria di prossimità per stare più vicino al paziente e al caregiver che deve essere formato nella conoscenza della tecnologia, informato e sostenuto nella vita quotidiana.

PRESTAZIONI E SERVIZI PERSONALIZZATI E DIFFUSIONE NAZIONALE
I sistemi di Telemedicina affinché funzionino nella pratica quotidiana è fondamentale realizzarli sulla base delle reali necessità individuali dei pazienti e sulle caratteristiche dell’area geografica interessata. Occorre utilizzare in modo coerente su tutto il territorio nazionale modelli e pratiche scientificamente validati, in modo coordinato. Le prestazioni e i servizi in Telemedicina non possono essere improvvisati e vanno forniti prioritariamente attraverso quelle tecnologie digitali e di telecomunicazione computer assistite che siano in grado di offrire le migliori opportunità operative rispetto all’uso delle tecnologie precedenti. Concetti ribaditi anche dalla politica. Parlamento, Camera e Senato dimostrano di avere una grande sensibilità rispetto a questi temi. Nel ddl Bilancio 21/23 si prevede l’integrazione del livello del finanziamento per l’ammodernamento tecnologico in sanità. L’auspicio dalla politica è che ci sia una cornice normativa che possa chiarire in maniera molto specifica e semplice come applicare su tutto il territorio nazionale e in maniera omogenea la Telemedicina e tutti i suoi derivati (teleassistenza, teleconsulto, telemonitoraggio) e attivarla in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale con piattaforme semplici, intelligibili tra loro che possano essere monitorate per dire se sono efficaci e inserirle all’interno del percorso diagnostico terapeutico assistenziale del paziente. La grande vera scommessa è rendere universale la Telemedicina, renderla possibile su tutto il territorio nazionale.

L’IMPORTANZA DI INVESTIRE IN INNOVAZIONE DIGITALE
Roche Diabetes Care Italy S.p.A. ha deciso di investire in innovazione digitale e nello sviluppo di servizi e soluzioni che possano migliorare la qualità di cura e allungare le aspettative di vita dei pazienti. I fatti parlano chiaro. I pazienti fragili e i malati cronici come le persone con diabete e rispettivi caregivers, convivono quotidianamente con una condizione estremamente complessa, sono milioni le persone in Italia fortemente a rischio e chiedono di essere aiutate, anche nella gestione in sicurezza e a distanza, laddove possibile.

Causa Covid rallentamento degli screening oncologici programmati e degli esami diagnostici: nei prossimi 5 anni previsti 3-4mila morti in più per cancro

Causa Covid

Secondo l’Osservatorio nazionale di screening 1 milione e 400mila esami sono stati annullati a causa del Covid e dovranno essere riprogrammati.

L’appello degli oncologi: «C’è il tempo per recuperare ed è un impegno che dobbiamo prendere tutti nelle nostre Regioni attraverso le Reti, le iniziative e il confronto costante».

Il Covid è una minaccia per l’assistenza ai pazienti oncologici. Gli esperti non escludono la possibilità che ci siano danni futuri per quanto riguarda la perdita di chance di cura a causa del rallentamento degli screening avvenuto a livello globale. Secondo l’Osservatorio nazionale di screening un milione e 400mila esami di screening sono stati annullati e dovranno essere riprogrammati, mentre la rivista scientifica The Lancet riporta una fosca previsione degli epidemiologi, che nei prossimi 5 anni ci siano 3-4 mila morti in più per cancro. Di fronte a questo scenario, il paziente oncologico continua le cure, l’innovazione in oncologia cavalca anche questa seconda ondata pandemica garantendo nuovi farmaci e tecnologia all’avanguardia e il Covid insegna che anche il futuro dell’oncologia, come per le altre specialità, non sarà più come prima per quanto riguarda l’approccio del paziente, il follow up e la giustizia distributiva dei farmaci, implicando la necessità di un coordinamento nazionale dei punti fondamentali di offerta dell’assistenza al malato oncologico. Sull’attività di screening e le possibili strategie per recuperare in oncologia il tempo perduto a causa della pandemia si sono confrontati durante l’incontro “Talk webinar. Reti Oncologiche” organizzato da Mondosanità, organizzato con il contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb già partner del progetto ONCORETE appena conclusosi, di cui questo Talk webinar era il momento finale di condivisione con il pubblico, tre esperti in campo oncologico, Paolo Pronzato, Coordinatore DIAR di Oncoematologia della Regione Liguria, Vincenzo Adamo, Direttore Oncologia Medica AO Papardo-Messina, Coordinatore della Rete Oncologica Siciliana (Re.O.S.) e Rossana Berardi, Direttore della Clinica Oncologica UNIVPM-AOU Ospedali Riuniti di Ancona.

L’oncologia durante l’emergenza sanitaria mostra uno scenario diversificato da regione a regione, a seconda dell’incidenza dell’epidemia. La maggior parte dei centri ha continuato con le terapie farmacologiche, seppur quantitativamente inferiori, buona parte degli interventi chirurgici oncologici sono stati procastinati se non urgenti, i follow up sono stati per lo più effettuati tramite consulto e le tecnologie più utilizzate sono state telefonate e WhatApp al di là delle rendicontazioni delle prestazioni, l’attività di screening programmato e quella diagnostica ha risentito di pesanti rallentamenti in alcune regioni, in altre ha cercato di mantenere i suoi ritmi nonostante le difficoltà organizzative.

In Liguria, un terzo dei posti letto sono occupati da pazienti Covid e, come in altre regioni, gran parte delle risorse del sistema sono dedicate a questi pazienti sottraendole ad altre funzioni come quella dell’assistenza ai pazienti oncologici. “Per quanto riguarda l’oncologia – dichiara il dottor Paolo Pronzato – per fortuna il sistema ha tenuto per l’avvio e la prosecuzione di terapie mediche e oncologiche ma, come è accaduto in tutto il mondo, c’è stato un rallentamento sia degli screening programmati, e può essere accaduto perché l’offerta diminuiva o perché le persone avevano paura di recarsi presso le strutture dedicate, sia della diagnostica, per cui si riscontra una riduzione del numero degli interventi per tumore primitivo. Seppur nei mesi estivi abbiamo recuperato parte dell’attività arretrata della primavera, è chiaro che è stato perso del tempo ed è necessario recuperarlo e fare in modo che lo screening prosegua anche ora”.

A titolo di esempio, tre azioni sono state messe in campo per le pazienti con cancro metastatico: garanzia di accesso alle cure intensive in caso di infezione e malattia da Covid, la protezione della sperimentazione clinica e l’organizzazione di percorsi particolari e aree di ricovero dedicate a pazienti oncologiche risultate asintomatiche o paucisintomatiche per Covid.

Nelle Marche nella prima ondata pandemica le oncologie non si sono mai fermate per le terapie salvavita, ma nel 93,5% dei casi hanno dovuto riorganizzare la loro attività. “Oggi la situazione è migliore rispetto alla scorsa primavera e questo ci permette di mantenere tutte le attività, come gli interventi chirurgici e le procedure diagnostiche – spiega la dottoressa Rossana Berardi -. Lo screening ci permette di fare diagnosi precoci e ha un impatto sulla vita delle persone, per cui è auspicabile che tutto ciò che è stato perso possa essere rapidamente riprogrammato e che le Regioni non si fermino in questa attività importantissima”.

Anche una parte della ricerca clinica mondiale è andata in sofferenza. “Nei mesi passati – aggiunge Berardi – c’è stata la difficoltà a portare avanti protocolli di ricerca e penso al Progetto europeo sul mesotelioma e l’immunoterapia che ha avuto attualmente un blocco per l’impossibilità dei pazienti di raggiungere la sede di Rotterdam che era una parte integrante al percorso di cura. Abbiamo bisogno di fare rete con le istituzioni per garantire anche questa parte”.

In Sicilia lo screening ha risentito di un rallentamento perché le persone hanno rifiutato di andare in ospedale per sottoporsi ai controlli. “Questo problema è stato tamponato grazie ad una serie di iniziative di prevenzione che sono nate spontaneamente nei maggiori ospedali della regione – spiega il dottor Vincenzo Adamo -, mentre per quanto riguarda le cure non c’è stato nessun rallentamento e anche sull’aspetto della chirurgia primaria gli interventi sono andati avanti. Sono convinto che c’è il tempo per recuperare il tempo perduto: in sei mesi certi tipi di tumore, che possono essere sfuggiti ad uno screening, sono recuperabili. Questo è un impegno che dobbiamo prendere tutti nelle nostre Regioni, attraverso le reti, le iniziative e confrontandoci con i colleghi impegnati nell’attività di screening”.

È necessaria una Rete oncologia nazionale delle Reti oncologiche, che garantisca lo scambio di best practice e di dati al fine di una migliore programmazione; per concordare le azioni al fine di assicurare l’innovazione in tempi rapidi; per implementare l’azione sulla medicina territoriale al fine di accompagnare la trasformazione della presa in carico dei pazienti oncologici verso la cronicità, compresa la territorializzazione di alcune terapie; per coordinare al meglio gli studi scientifici; per creare proposte per una implementazione della telemedicina in oncologia; per favorire per alcuni pazienti un follow-up di primo livello a carico del medico di medicina generale e per favorire la territorializzazione della diagnostica di primo livello anche in oncologia a partire dal l’implementazione degli screening. 

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SPRAY ANTI-COVID PRONTO PER IL PROSSIMO ANNO

Spray anti-covid

Con la seconda ondata di coronavirus che continua a galoppare in tutto il globo i vaccini, tra cui uno spray anti-covid in fase di sviluppo, sembrano l’unica speranza per la ripresa delle normali attività sociali.

Il vaccino non sarà l’unica arma che avremo a disposizione, sono infatti moltissimi i medicinali anti-covid che vengono studiati dai principali istituti di ricerca del mondo. Una delle possibili alternative al vaccino classico potrebbe essere uno spray nasale anti-covid che grazie ad una molecola artificiale riesce ad inibire il Covid-19 sul nascere.

Questa importante scoperta è stata fatta dagli esperiti dell’Università di Pittsburgh negli Stati Uniti e potrebbe essere disponibile già dal prossimo anno.

Questo spray, già in fase di sperimentazione animale, riuscirebbe ad attivare il sistema immunitario dell’organismo grazie ad una molecola artificiale che interagisce con le cellule della cavità nasale.

Nello studio un gruppo di furetti ha ricevuto due dosi di una soluzione spray nasale, secondo i i risultati del team lo spray applicato il giorno prima dell’esposizione al coronavirus ha inibito la replicazione la replicazione del virus nel naso e nella gola del 96%, riducendo quindi il rischio di infezione e le probabilità di trasmissione.

Questa ricerca molto importante potrebbe quindi fornire una formidabile arma contro il contagio, ma non bisogna immaginarsi un futuro in cui tutti gireremo con lo spray anti-covid in tasca poiché se rilasciato sarà comunque un farmaco estremamente potente e che potrà essere somministrato unicamente sotto supervisione medica.

Inoltre a questo studio mancano ancora i test tossicologici e quelli sugli esseri umani per capire se la molecola sia sicura, efficace e non nociva. Se questo farmaco dovesse arrivare alla commercializzazione i primi a poterne avere accesso saranno le persone più fragili ed esposte al contagio e chi per ragioni di salute non si sarà potuto sottoporre ai vaccini anti-covid o per i quali il vaccino non ha avuto effetto.

Riccardo Thomas

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Malattie croniche: Teleconsulto, telemedicina e tele-monitoraggio, le best practice delle Regioni al tempo del Covid-19

Malattie croniche

23 novembre 2020 – La gestione delle malattie croniche si è rilevata in questo periodo di pandemia molto complessa, dal momento che per i pazienti è richiesta una forte integrazione tra lo specialista ed il medico di medicina generale e deve essere prevista anche la componente socio-assistenziale. Nel periodo pandemico, teleconsulto, gestione della terapia, telemedicina e tele-monitoraggio sono stati utilizzati non solo per il percorso sanitario del paziente cronico ma anche per il paziente COVID 19. Con l’obiettivo di confrontare le best practice messe in atto da Regione Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia per rispondere ai bisogni dei pazienti in periodo di pandemia COVID 19, Motore Sanità ha organizzato il webinar ‘VIVERE LA CRONICITÀ AL TEMPO DEL COVID: IL PERCORSO  DEL PAZIENTE’, realizzato grazie al contributo incondizionato di PFIZER. 

“La gestione dei percorsi diagnostici terapeutici dei pazienti affetti da patologie croniche autoimmuni è sempre difficile, lo è maggiormente in corso di emergenza sanitaria. L’accesso alle cure non risulta, in questo momento, essere garantito per tutti i pazienti sia per quel che riguarda la visita specialistica, la diagnostica ma anche e soprattutto la terapia. Molte Regioni hanno attivato la telemedicina come strumento utile nella gestione di questi pazienti e in molte Regioni si sono attivate modalità alternative nella distribuzione del farmaco, a volte con il supporto delle aziende farmaceutiche stesse. Le buone pratiche, attivate in questo periodo pandemico, possono andare a sistema, con l’obiettivo di facilitare la presa in carico dei nostri assistiti”, ha spiegato Gabriella Levato, MMG Milano

“Il paziente cronico, qualunque esso sia, in tempo di COVID è stato davvero abbandonato, con una fortissima ripercussione sulla sua qualità di vita. Mi riferisco sia alla questione della continuità assistenziale, ma anche alla questione dei lavoratori fragili, ma non dimentichiamoci dei caregiver (genitori di bambini affetti da patologie croniche), nessuno ha pensato nei mesi in cui il COVID era quasi assente di programmare un piano che potesse tutelarci. È evidente che se nella prima era COVID avevamo la speranza dell’arrivo dell’estate e che si potesse improntare un piano di gestione per la cronicità nel breve tempo, invece no rieccoci con le chiusure ambulatoriali, i lavoratori fragili allo sbando e i caregiver che rischiano di perdere il proprio posto di lavoro per tutelare e prendersi carico dei propri figli. La telemedicina che ANMAR propone e che vede alcune realtà a cui è stata proposta (SMART SHARE) è una telemedicina improntata sull’interoperabilità tra le piattaforme già esistenti nelle regioni, questo perché? Perché l’interoperabilità funge da unione tra specialisti-MMG-sistema sanitario e paziente per davvero prendersi carico di chi vive con una cronicità senza abbandonarlo. Contatto tra MMG e specialista è fondamentale, soprattutto ora che l’unico interlocutore è il MMG perché i nostri reumatologi sono costretti in reparti COVID ad occuparsi dell’emergenza che sembra non finire mai”, ha detto Silvia Tonolo, Presidente ANMAR Onlus Associazione Nazionale Malati Reumatici

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MIGLIORA LA SITUAZIONE COVID IN ITALIA MA LA MORTALITA’ RESTA ALTA

MIGLIORA LA SITUAZIONE COVID

Dopo l’ultimo DPCM varato dal Governo Conte che ha suddiviso le restrizioni delle Regioni in base a dei “colori” iniziano a calare il numero di ricoveri, anche in terapia intensiva e il numero di morti. Anche il tasso di contagiosità, il famigerato indice RT, indica una diminuzione ma l’allerta resta massima.

Infatti secondo gli ultimi bollettini diramati dalla protezione civile nelle ultime 24 ore i nuovi casi sono stati 36176, il giorno prima erano stati 34283) ma con quasi 16mila tamponi in più rispetto al giorno precedente.

La percentuale dei positivi al test quindi cala dal 14,6 al 14,4. Nonostante questi questi dati incoraggianti l’Italia resta ancora maglia nera per quanto riguarda la mortalità. Infatti secondo la classifica redatta dalla Johns Hopkins University di Baltimore il nostro paese è medaglia di bronzo per il più alto tasso di letalità per Covid. Infatti in Italia l’indice è del 3,8%, superato nel mondo solo dal Messico (9.8%) e Iran (5%).

Una netta differenza con i principali europei con la Spagna che registra una mortalità del 2,2%, la Francia del 2% e la Germania dell’1.6%.

Gli esperti ancora non sono riusciti a capire la motivazione di questa netta differenza che è attribuibile probabilmente ad una lunga serie di fattori, ma sono sicuramente dei dati che devono far riflettere i decisori e gli specialisti su come si sta affrontando oggi il Covid in Italia.

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