IL VACCINO MADE IN ITALY SUPERA LA FASE I DI SPERIMENTAZIONE

IL VACCINO MADE IN ITALY

Da quando il Covid-19 è diventato una pandemia globale c’è stata una vera e propria corsa ai vaccini, anche noi con il nostro vaccino Made in Italy.

Le principali aziende farmaceutiche ed i principali istituti di ricerca di tutto il mondo lavorano ormai ininterrottamente alla creazione di un vaccino efficace e sicuro ed anche in Italia c’è chi sta lavorando su un vaccino.

Il vaccino made in Italy si chiama Grad-Cov2 ed è frutto dell’azienda ReiThera. La società di Castel Romano, in provincia di Roma, ha fatto sapere che la sperimentazione sta procedendo secondo le tempistiche previste e che il vaccino ha terminato la fase I di sperimentazione.

Le ricerche condotte in collaborazione con l’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma riguardano un gruppo di 45 volontari sani tra i 18 e i 55 anni è servito per valutare l’efficacia del vaccino a diverse doni.

Le ricerche preliminari hanno dimostrato che il Grad-Cov2 è stato ben tollerato dai pazienti e ha generato, per tutte e tre le dosi testate, anticorpi che si legano alla proteina Spike del virus oltre a linfociti T specifici.

Il prossimo passo dei ricercatori italiani sarà quello di testare le risposte al vaccino su un nuovo gruppo composto da soggetti in buona salute tra i 65 e gli 85 anni. Se anche questa nuova sperimentazione dovesse andare a buon fine i risultati consentirebbero ai ricercatori di selezionale la dose di vaccino ottimale per le sperimentazioni cliniche di Fase 2 e poi 3.

Secondo gli esperti di ReiThera entro la fine di quest’anno saranno disponibili i primi risultati dello studio e verranno rilasciati anche i piani per studi internazionali più ampi.

Nonostante il vaccino sia ancora in fase sperimentale i dati preliminari sono molto incoraggianti ed indicano che questo vaccino è sicuro ed induce una consistente risposta immunitaria.

L’efficacia di questo vaccino ideato, testato e prodotto nel nostro Paese non è soltanto un importante riconoscimento alla ricerca e all’imprenditorialità italiana ma potrebbe sensibilmente ridurre i tempi di accesso ai vaccini per tutti i cittadini.

Riccardo Thomas

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MIGLIORA LA SITUAZIONE COVID IN ITALIA MA LA MORTALITA’ RESTA ALTA

MIGLIORA LA SITUAZIONE COVID

Dopo l’ultimo DPCM varato dal Governo Conte che ha suddiviso le restrizioni delle Regioni in base a dei “colori” iniziano a calare il numero di ricoveri, anche in terapia intensiva e il numero di morti. Anche il tasso di contagiosità, il famigerato indice RT, indica una diminuzione ma l’allerta resta massima.

Infatti secondo gli ultimi bollettini diramati dalla protezione civile nelle ultime 24 ore i nuovi casi sono stati 36176, il giorno prima erano stati 34283) ma con quasi 16mila tamponi in più rispetto al giorno precedente.

La percentuale dei positivi al test quindi cala dal 14,6 al 14,4. Nonostante questi questi dati incoraggianti l’Italia resta ancora maglia nera per quanto riguarda la mortalità. Infatti secondo la classifica redatta dalla Johns Hopkins University di Baltimore il nostro paese è medaglia di bronzo per il più alto tasso di letalità per Covid. Infatti in Italia l’indice è del 3,8%, superato nel mondo solo dal Messico (9.8%) e Iran (5%).

Una netta differenza con i principali europei con la Spagna che registra una mortalità del 2,2%, la Francia del 2% e la Germania dell’1.6%.

Gli esperti ancora non sono riusciti a capire la motivazione di questa netta differenza che è attribuibile probabilmente ad una lunga serie di fattori, ma sono sicuramente dei dati che devono far riflettere i decisori e gli specialisti su come si sta affrontando oggi il Covid in Italia.

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LA CURVA DEI CONTAGI CALA, MA NEI REPARTI LA SITUAZIONE RESTA CRITICA

LA CURVA DEI CONTAGI CALA

Con la curva dei contagi in calo e l’indice RT che indica negli ultimi giorni un lieve miglioramento i più ottimisti pensano alle vicine feste natalizie e a delle possibili aperture.

La verità nelle corsie degli ospedali però non è così rassicurante. Infatti con i posti letto vicini all’esaurimento a lanciare l’allarma sono i medici ospedalieri che sottolineano una emergenza per  quanto riguarda i posti letto nei reparti ospedalieri internistici.

Confrontando infatti tra quelli disponibili nel 2018 e quelli attivati nel 2020 emerge un quadro drammatico.

Anaao-Assomed ha deciso di raccogliere e pubblicare i dati sulla saturazione di questi posti letto, mostrando una situazione di collasso in gran parte delle regioni italiane: Il Piemonte è saturo al 191% della sua capacità, la Valle d’Aosta invece al 229%, la Lombardia al 129%, la Liguria al 118%, il Lazio al 91%, la Campania all’87%, nella Provincia autonoma Bolzano il 129%,, nella Provincia autonoma di Trento l’82%, in Abruzzo il 77%, in Sicilia il 73%, in Puglia il 71%, in Emilia Romagna il 66%, in Toscana il 66%, in Veneto il 64%, in Umbria il 60%, in Calabria il 54%, in Basilicata il 52%, nelle Marche il 49% e in Sardegna il 44%.

In tutto le Regioni in allarme sono 19, ma ben presto la situazione potrebbe peggiorare anche per le altre. Gli ospedali di gran parte d’Italia sono prossimi al collasso a causa della carenza di personale sanitario e del gran numero di pazienti Covid.

A soffrire maggiormente per la carenza dei posti letto sono i reparti internistici, ovvero Pneumologia, Medicina interna e Malattie infettive. E non è tutto, perché Anaao-Assomed, il più grande sindacato dei medici ospedalieri, anche rileva differenze sostanziali di efficienza del servizio sanitario tra le diverse regioni.

Una parte aveva già, nel 2018, una carente disponibilità di posti letto internistici, in rapporto alla popolazione. E la pandemia non può che aver acuito le gravi carenze del passato.

Alcune regioni, nonostante i posti letto falcidiati da piani di rientro per i deficit di bilancio sono state capaci di aumentare la loro potenza di risposta alla pandemia, a discapito probabilmente delle attività di altre branche specialistiche, che si sono viste depauperare i letti e hanno dovuto dunque fermare tutte le attività programmate, con gravi ripercussioni sulla salute pubblica.

Una situazione disastrosa che può portare gravissimi ritardi nella diagnosi e nella cura di tutte le malattie no-covid causando così una mortalità anche più alta della pandemia stessa.

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Diabete Italia: “Ruolo chiave dell’infermiere nel riconoscere la malattia fin da piccoli, con sete e pipì è subito allarme”

Diabete Italia

In Italia il diabete di tipo 1 colpisce 500mila persone e oltre 3milioni e mezzo il tipo 2

13 novembre 2020 – In occasione della Giornata Mondiale del diabete, Diabete Italia Onlus insieme a Motore Sanità e con il contributo incondizionato di Sanofi, Novo Nordisk, AstraZeneca e MSD, ha riunito gli esperti della patologia per fare il punto sulla situazione italiana. Ancora troppe le persone, bambini e adulti che non sanno di avere la malattia: per combatterla nel migliore dei modi è ormai riconosciuto da tutti che è fondamentale affrontare il diabete rivolgendosi ad un team multidisciplinare completo, dal diabetologo al medico di base, dallo psicologo al podologo, ma la figura dell’infermiere deve fare da collante nel percorso di cura che il paziente affetto deve affrontare per sconfiggere il diabete.

“Sicuramente il 2020 lo ricorderemo come l’anno della pandemia: questo virus Covid-19, oltre ad aver provocato direttamente la morte di migliaia di persone, ha causato anche un rallentamento nelle cure delle malattie croniche come il diabete. Ma chi ha il diabete deve fronteggiarlo quotidianamente e la difficoltà in questi mesi è stata di conciliare l’urgenza delle disposizioni anti-Covid con la regolarità delle cure per le cronicità. Il diabete non ci abbandona purtroppo ed è necessario poter contare anche su cure certe e continuative. In Italia 1 diabetico su 3 non sa di esserlo. Cosa vuol dire questo? Che purtroppo questi malati senza cure necessiteranno di più attenzioni una volta che il loro quadro clinico si aggraverà e questo è un fattore da evitare sia per il paziente sia per la spesa sanitaria nazionale.  I numeri del diabete sono in salita e per evitare un’impennata deve per forza entrare in gioco la prevenzione: adottare uno stile di vita sano, ovvero mangiare bene e fare movimento. Oltre a questa grande fetta di “ignoti” al sistema sanitario nazionale, voglio anche ricordare che purtroppo nel nostro Paese di diabete di tipo 1 si muore ancora. Più o meno ogni anno, purtroppo, si presentano casi di minori ai quali non era stata diagnosticata la malattia diabetica e che sono deceduti. Terribile. Fatti gravi che non devono mai più ripetersi. I sintomi che devono far scattare l’allarme e che possono essere indicatori della malattia sono una gran sete e di conseguenza l’aumento dello stimolo a urinare. Se sono presenti questi due segnali è meglio avvisare subito il proprio medico curante e approfondire la propria situazione di salute”, ha dichiarato Stefano Nervo, Presidente Diabete Italia

“The nurse makes a difference, è il tema di questa giornata e, l’infermiere proprio perché ha un ruolo chiave nella gestione del diabete, può fare la differenza quando con competenza, attraverso l’educazione terapeutica permette, alla persona con diabete di assumersi la responsabilità della cura e ottenere e mantenere una migliore qualità di vita. Ma l’infermiere, in considerazione del fatto che l’attenzione e le risorse si focalizzano obbligatoriamente sulla pandemia Covid-19, deve essere oggi il professionista indispensabile e determinante, oltre che nella gestione, nella prevenzione e nell’ informazione, deve esserlo nel riconoscimento precoce delle emergenze della malattia diabetica quali il non sottovalutare nel diabete 1 il sintomo “tanta sete tanta pipì” che può portare alla chetoacidosi fino al coma del bambino o il non riconoscere la sintomatologia relativa alla ipoglicemia”, ha detto Carolina Larocca, Presidente OSDI (Operatori Sanitari di Diabetologia Italiani)

SECONDA ONDATA: DOVE L’ITALIA HA FALLITO E COSA PUO’ IMPARARE DALL’ESPERIENZA CINESE

Seconda ondata

Best practices a confronto per combattere il Covid 19. Uno scambio proficuo di informazioni ed esperienze con l’unico scopo di creare un ponte Europa Cina per la lotta al Covid 19 e fermare le seconda ondata.

Questo è quanto è avvenuto durante il webinar “LOTTA AL COVID-19 BEST PRACTICES CINA/EUROPA”, che ha rappresentato un ponte comunicativo e ha voluto fare il sunto delle best practices italiane e cinesi per poter imparare l’uno dall’altro in modo da affrontare con ancora più efficacia la pandemia da Coronavirus.

Il Webinar è stato promosso e organizzato da Motore Sanità in collaborazione con MEDEX-International Medical Center Italy ed ha trattato i principali punti in materia di gestione sanitaria dei pazienti Covid e delle migliori pratiche per evitarne la diffusione, grazie all’intervento di luminari italiani e cinesi, che si sono resi disponibili a confrontarsi in modo costruttivo. Per la Cina hanno partecipato: Dr. Zhang Junhua, Vice Direttore del Talent Exchange Service Center of the Health Human Resources Development Center (HHRDC), the National Health Commission, PR China; dall’ ospedale di Beijing: Dr. Xi Huan, Vice Direttore dell’Ospedale di Pechino, “National Advanced Individual in Fighting New Coronary Polmonite Epidemic”; Dr. Cai Mang, Dipartimento di Gestione delle Infezioni Ospedaliere (Prevenzione e Controllo delle Malattie) del Beijing Hospital; Dr. Xu Xiaomao, Vicedirettore del Dipartimento di Medicina Respiratoria e Medicina Critica del Beijing Hospital; Dr. Sun Chao, Vicedirettore del Reparto Infermieristico del Beijing Hospital.

Per l’Italia i relatori erano: Dr. Luigi Bertinato – Responsabile Segreteria Scientifica Istituto Superiore di Sanità, Dr. Luciano Flor – Direttore Generale AOU Padova, Dr. Antonio Cascio – Direttore Unità Operativa Malattie Infettive Policlinico P. Giaccone, Palermo; Dr. Alessandro Perrella –Infettivologo AORN Cardarelli, referente del percorso clinico Covid del nosocomio e dell’unità di crisi regionale per l’emergenza; Dr. Giulio Fornero – Direzione Scientifica Motore Sanità, già Direttore Dipartimento Qualità e Sicurezza delle Cure dell’Azienda Ospedaliera-Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino; Dr. Claudio Zanon – Direttore Sanitario Ospedale Valduce Como e Villa Beretta Costa Masnaga Lecco, Direttore Scientifico Motore Sanità.

“Capire il perché Cina, Corea del Sud e Giappone siano, dopo una prima ondata impegnativa come a Wuhan, paesi Covid-Free è estremante importante per acquisire best practices da applicare possibilmente anche nella nostra realtà attualmente sottoposta ad un’ulteriore dura prova sanitaria, sociale ed economica da una seconda ondata preoccupante seppur diversa dalla prima. Comprendere i sistemi di tracciamento cinesi, le cure mese in atto, l’organizzazione ospedaliera e le aspettative sul vaccino sono i punti fondamentali di un confronto vero con possibili ricadute importanti sulle azioni immediate e future da intraprendere nel nostro Paese che, ricordiamo, è grande quanto la sola provincia di Hubei (di cui Wuhan fa parte) in cui abitano 60 milioni di cinesi. Motore Sanità ha ritenuto di organizzare il primo webinar di confronto tra Cina ed Italia per collaborare all’attuale tentativo di completo controllo della pandemia a cui devono partecipare cittadini, istituzioni, realtà produttive ed operatori sanitari”, queste le parole di Claudio Zanon, Direttore Scientifico di Motore Sanità.

“Sapere che l’Italia ha avuto ottimi risultati nel contenimento del virus durante la prima ondata ci fa molto piacere e ci complimentiamo per l’ottima gestione della situazione. Per questo, siamo lieti di poter condividere le best practices cinesi per aiutare l’Italia ad affrontare anche la seconda ondata senza gravi ripercussioni”. dichiara il Prof. Zhang Junhua, Vice Direttore del Talent Exchange Service Center of the Health Human Resources Development Center (HHRDC) della Commissione Nazionale per la Salute cinese.

Le best practices cinesi:

  • Identificazione precoce dei contagiati
  • Vasta capacità di erogare tamponi
  • Triage clinici immediati su chi ha il contratto il virus
  • Applicazioni per smartphone per avvertire chi è entrato a contatto con un contagiato in modo da iniziare immediatamente una quarantena di 14 giorni

LA MACRO-GESTIONE CINESE DELL’EMERGENZA UN ESEMPIO PER L’EUROPA

Parlando di prevenzione e controllo il Prof. Zhang della Commissione Nazionale per la Salute cinese sottolinea l’importanza costituita dalla capacità del governo cinese di gestire con un’ottima capacità di macro-gestione e controllo dell’epidemia, ma ha anche parole di apprezzamento verso la disciplina del suo popolo. “Dobbiamo ringraziare il popolo cinese per la comprensione e la collaborazione mostrate verso le decisioni prese dal governo durante la lotta all’epidemia. Il senso di un’igiene pubblica, indossare le mascherine, il distanziamento sociale e l’isolamento volontario dei cittadini sono stati strumenti utilissimi di lotta al coronavirus, insieme agli altri sistemi adottati dal paese quali i sistemi smart di contact tracing, vari livelli di screening, elevato numero di tamponi. Solo una lotta comune può portare ai risultati migliori”.

LA CINA STUDIA 14 POSSIBILI VACCINI, 4 SONO ENTRATI IN FASE 3 DELLA SPERIMENTAZIONE

L’8 Ottobre 2020 la Cina si è associata all’iniziativa globale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sul vaccino anti COVID-19 come bene pubblico globale, denominata COVAX. Si è fatta quindi carico insieme ad altri paesi della responsabilità di partecipare ad un’alleanza per la fornitura di vaccini a livello mondiale. Dal punto di vista scientifico la Cina ha in sperimentazione ben 14 differenti vaccini di cui quattro sono entrati nella fase 3 (l’ultima) di sperimentazione del proprio vaccino. Attualmente sono oltre 60milioni i cittadini cinesi che volontariamente si sono sottoposti alla sperimentazione di questi vaccini. Se un vaccino dovesse superare, come sperato, tutte le fasi di sperimentazione sono previsti due punti di produzione che secondo le autorità cinesi saranno in grado di fornire anche 300milioni di dosi per anno.

LA COLLABORAZIONE INTERNAZIONALE COME UNICA SOLUZIONE A QUESTA EMERGENZA

Il Vice Direttore dell’Ospedale di Pechino Dr. Xi Huan, dopo una presentazione della struttura, ha ricordato che il Beijing Hospital ha progetti di collaborazione con molti ospedali americani ed europei, ricordando quanto sia importante condividere saperi e conoscenze. Anche le autorità scientifiche italiane hanno sottolineato l’importanza di questo incontro e l’importanza di relazioni di cooperazione scientifica stabili tra Italia e Cina.

L’ATTUALE SITUAZIONE ITALIANA

Durante il webinar si è fatto anche il punto sulla situazione italiana. “I casi della seconda ondata hanno superato di gran lunga di dati della prima. Anche la percentuale di positivi rispetto ai test è molto alta, circa il 20%. Si sta vivendo però ancora una volta una differenza tra regione e regione, con una prevalenza maggiore nelle regioni del nord. Sicuramente non possiamo paragonare i dati puri del periodo della prima ondata e quelli della seconda, ma possiamo sicuramente mettere a confronto il numero dei pazienti ospedalizzati che attualmente stanno crescendo in maniera esponenziale. Stanno crescendo in maniera parallela sia i ricoveri normali da Covid che i ricoveri in terapia intensiva. Questa situazione deve tenerci in allerta massima”. Queste le parole di Antonio Cascio Direttore Unità Malattie Infettive Policlinico P. Giaccone, Palermo

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Incontinenza urinaria: curarla con riduzione dei costi complessivi

Incontinenza Urinaria

Vicenza, 16 Settembre 2020 – L’incontinenza urinaria è un problema che affligge circa 5 milioni in Italia e con una prevalenza negli over 70 del 15%. Oltre alla gestione di terapie specifiche ci sono anche i costi legati ad ausili, che nel 2020, secondo recenti stime, sarebbe pari a 320.000.000 solo di spesa pubblica (arrivando a 630.000.000 considerando anche quella privata).

Questi numeri rendono l’incontinenza una delle 5 patologie più costose oltre che più diffuse, per la quale le ricadute in ambito socio assistenziale e sanitario hanno un peso importante.

Le innovazioni per curare l’incontinenza urinaria Sono quindi molto utili e comportano una riduzione dei costi complessivi, ma ci vuole un maggiore impegno del Sistema Sanitario Nazionale. Occorre ad esempio superare l’attuale sistema che, a livello nazionale, prevede disparità a livello di organizzazione, di livelli di spesa e servizi, di criteri per la definizione della qualità e dei metodi di rilevazione dei dati.

Queste sono alcune delle tematiche emerse durante il webinar “Incontinenza urinaria. Risvolti sociali e terapeutici”, organizzato da Motore Sanità e con il contributo incondizionato di Fater e Boston Scientific. 

L’utilizzo dello sfintere urinario rappresenta una innovazione disruptive, in quanto ha determinato un cambiamento radicale nella gestione dei pazienti incontinenti, che evolve dalla fornitura distrettuale continua di ausili palliativo-sintomatici alla risoluzione mediante un unico intervento in setting ospedaliero. Innovativo in Veneto l’accordo quadro che prevede il superamento del mono fornitore per garantire la libera scelta ai pazienti.

“In termini di spesa, lo studio (Budget Impact Model) evidenzia come, grazie all’utilizzo del dispositivo AMS 800 (considerato quale Gold Standard a livello Internazionale) si viene a determinare una riduzione dei costi complessivi pari a 1,5 mln di Euro dopo 5 anni.

Questo risultato è conseguenza della riduzione degli eventi avversi, del raggiungimento dello stato di continenza totale e del miglioramento della qualità di vita dei pazienti rispetto alla terapia conservativa attualmente utilizzata”, ha dichiarato Francesco S. Mennini, Research Director-Economic Evaluation and HTA, CEIS, Università degli Studi “Tor Vergata”, Roma 

“L’incontinenza urinaria interessa, in Italia, più di 5 milioni di cittadini. A livello nazionale, la prevalenza nella popolazione femminile di età superiore ai 45-50 anni (escludendo l’età anziana) è stimata essere oltre il 10-15%, mentre per quella maschile, si stima di circa la metà rispetto al sesso femminile. La prevalenza aumenta ulteriormente con l’età sino a superare il 50% dei soggetti anziani.

In Veneto si stima 500 mila pazienti con incontinenza urinaria. Assistiamo qui in Veneto a circa 103 mila soggetti serviti con ausili assorbenti per i quali sosteniamo una spesa di 15,6 milioni di euro” – ha spiegato Rita Mottola, Direzione Farmaceutico-Protesica-Dispositivi Medici, Area Sanità e Sociale, Regione del Veneto. 

Le indicazioni che abbiamo dato per la nuova gara sono quelle di distinguere il costo del bene da quello del servizio e dare il giusto valore alla qualità del prodotto da aggiudicare che incide del 70% rispetto al 30% riservata al prezzo. L’obiettivo è semplificare i processi legati ad esempio all’organizzazione, omogeneità di servizio e far sì che il cittadino venga servito al meglio in base ai suoi reali bisogni.

Le nostre prospettive future sono, oltre quella di portare a termine la gara, di implementare i percorsi PDTA, garantendo la presa in carico totale della persona incontinente ed erogando i necessari interventi multiprofessionali e multidisciplinari all’interno della rete regionale dei centri per l’incontinenza urinaria e fecale, monitorare gli strumenti di governance implementati ed individuare i punti di intervento sul modello attuale e la possibilità di continuare a lavorare sul tavolo nazionale” – ha concluso Mottola

“L’incontinenza urinaria è un problema sociale che interessa, a vari livelli, circa cinque milioni di persone. Nonostante questi numeri le risposte del Sistema Sanitario Nazionale e Regionale non sono adeguate. Modalità di acquisto dei presidi, percorsi di cura non definiti, mancata realizzazione dei centri per l’incontinenza, negazione della libera scelta dei presidi da parte della persona, scarsa informazione, bassa qualità dei presidi, spese dirette e indirette che gravano sulle famiglie, sono solo alcune delle criticità sulle quali bisognerà intervenire per garantire una presa incarico efficace delle persone incontinenti, senza trascurare anche i caregiver.

Le associazioni pazienti possono dare un grande contributo rappresentando i reali bisogni delle persone, lavorando con le istituzioni per definire soluzioni. Migliore assistenza e obiettivi chiari guidano il sistema anche verso il contenimento della spesa”, ha detto Pier Raffaele Spena, Presidente Nazionale FAIS