Oncologia: non bisogna dimenticare la lezione del Covid per un modello di presa in carico territoriale

Una sanità più vicina alpaziente oncologico: questo si sta prefissando di fare la Regione Campania con la Rete oncologica, perché attualmente esistono criticità. La volontà di garantire equità di accesso alle cure, di evitare ai pazienti oncologici “viaggi della speranza” alla ricerca del centro per effettuare gli esami e di assicurare la migliore assistenza sul territorio, è la grande sfida di questa regione.

Napoli, 29 novembre 2022 – La Missione 6 salute contiene tutti gli interventi organizzativi previsti a titolarità del MinSal suddivisi in due componenti: reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale; innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario. In ambito oncologico si affronta il tema nel corso del convegno “ONCOnnection Stati generali dell’Oncologia SUD: CAMPANIA, MARCHE, PUGLIA,SICILIA”, organizzato da Motore Sanitàcon la sponsorizzazione non condizionante di Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, GSK, Bristol Myers Squibb, Takeda, AstraZeneca e Daiichi-Sankyo.

In Campania abbiamo finalmente una Rete oncologica, abbiamo grandissime professionalità in questo settore e un ospedale di rilievo nazionale che è un punto di riferimento per il nostro paese. Si sta lavorando per implementarla, ma c’è tanto da fare, lo percepisco soprattutto per il feedback che ricevo quotidianamente dai cittadini – ha spiegato Valeria Ciarambino, Componente V Commissione Sanità e Sicurezza sociale del Consiglio Regionale Campania -. La realtà è che siamo ancora lontani dal riuscire a garantire l’effettività del diritto alla salute in questo settore e in particolare siamo lontani dal garantire quella qualità percepita ai cittadini che vivono il problema della malattia oncologica e che devono sentirsi presi in carico integralmente. Su questo mi sto impegnando personalmente, soprattutto sul livello territoriale e della presa in carico. C’è una delibera che risponde ad una mia sollecitazione che la Giunta regionale campana ha emanato di recente in base alla quale un paziente che debba fare la chemioterapia in Campania, finalmente potrà fare gli esami abilitanti, poi effettuare la chemioterapia direttamente nella struttura dove effettuerà la effettuerà. Oggi invece accade che un cittadino oncologico vada in centro convenzionato per fare l’emocromo, e debba magari pagarselo di tasca propria perché si sono esauriti i fondi dei tetti di spesa”.

Mi sto battendo aggiunge Valeria Ciarambino – per l’attivazione dei reservice e dei Pac che consistono nella presa in carico globale del paziente oncologico anche dal punto di vista della specialistica ambulatoriale per quanto attiene gli esami diagnostici di follow up. Stesso disagio: il paziente oncologico è in carico dallo specialista ma poi deve recarsi dal medico di medicina generale per fare le prescrizioni e deve andare in giro per i centri pubblici e privati convenzionati a cercarsi le prestazioni diagnostiche di follow up. La mia idea è che il paziente faccia tutto il follow up all’interno della struttura in cui è stato preso in carico, questo vuol dire migliorare la qualità di vita di chi già vive la malattia tumorale”. Altro tema le cure palliative. “Domani – e va a concludere Valeria Ciarambino – in Consiglio regionale si svolgerà una audizione in commissione sanità, su mia richiesta, per parlare della rete delle cure palliative che è un altro tema che attiene all’oncologia su cui la Campania è molto indietro. Mettendo insieme tutti questi pezzi, accanto ai pdta a cui si sta lavorando, e alla strutturazione dele rete oncologica, potremmo dire di essere in grado di prenderci cura di chi oggi vive la malattia tumorale”.

Maria Rosaria Romano, Direzione Generale per la Tutela della Salute e il Coordinamento del Sistema Sanitario Regionale, Regione Campania, ha sottolineato che la Regione negli ultimi anni ha fatto molto per il paziente oncologico. “La Roc, riferibile ad un modello molto innovativo che è quello del Comprehensive Cancer Network, ha una piattaforma che è altamente innovativa perché consente di prendere in carico velocemente il paziente e di accompagnarlo in tutto il processo, tutto questo in un tempo relativamente breve. Abbiamo qualche criticità legata alla carenza di case manager e ciò si ricollega al problema nazionale della carenza di personale infermieristico in generale. Anche su questo stiamo lavorando, come pure stiamo lavorando sui test genomici garantendo nel 2022 ad oggi 600 test su 700 alle pazienti affette da carcinoma mammario ormonoresponsivo in stadio precoce. Abbiamo inoltre recepito il dm sul riparto dei fondi per i test di NGS, quindi cerchiamo di essere al passo con tutte le indicazioni sia nazionali che europee. Infine, la piattaforma ci consente di inserire i nostri pazienti, una volta caricati in essa, anche nelle sperimentazioni cliniche che è molto importante”.

Secondo Maurizio Di Mauro, Direttore sanitario dell’Istituto nazionale tumori IRCCS Fondazione “G. Pascale” di Napoli “l’utilizzo dei fondi PNRR è una opportunità per la sanità in genere, ed in particolar modo, della nostra Regione, per interventi fondamentalmente legati all’acquisizione di risorse, quale personale e implementazioni delle tecnologie interventistiche”. “Il Pascale – prosegue Di Mauro -, istituto di riferimento per le patologie oncologiche, ha inteso investire tali fondi proprio sull’aggiornamento tecnologico degli strumenti fondamentali per la diagnosi e terapie delle suddette patologie. Per le patologie oncologiche la diagnosi precoce è fondamentale per impostare una terapia adeguata al fine di giungere ad una prognosi fausta e ad una qualità di vita ottimale. Va considerato anche che, essendo l’Istituto Pascale un IRCCS, avere mezzi diagnostici di ultimissima generazione risulta importantissimo anche ai fini della ricerca, e l’Istituto Pascale, ad oggi, è considerato tra gli Istituti di ricerca più importanti al mondo”.

“La pandemia da Covid-19 ha evidenziato la necessità di una profonda riconversione dell’offerta assistenziale sia ospedaliera che territoriale, accentuando problemi non affrontati negli ultimi decenni quali la carenza di personale, l’innovazione tecnologica, la medicina territoriale, la formazione del personale” spiega Maria Triassi, Presidente della Scuola di Medicina Ateneo Federico II, di Napoli. “L’ospedale e il territorio devono essere visti in futuro realtà profondamente integrate, superando la settorializzazione che ha caratterizzato il loro rapporto finora, realizzando il percorso del paziente, reinterpretando il modello dell’intensità di cure non a favore dell’organizzazione (ospedale appunto per intensità di cure) ma a favore dell’utente, realizzando una assistenza integrata per gradualità delle cure. Per realizzare tale obiettivo è necessario innanzitutto una analisi epidemiologica attenta e realistica dei bisogni di salute dei bacini di utenza e delle realtà locali. Il PNRR prevede ingenti investimenti (circa 8 miliardi) per le reti di prossimità, in gran parte utilizzabili per la realizzazione degli ospedali di comunità, Hub&Spoke, che dovrebbero realizzare dal punto di vista preventivo e terapeutico, lo zoccolo duro della medicina di prossimità, integrandosi con le cure domiciliari e con l’ospedale. La scommessa del futuro sarà misurabile con la effettiva realizzazione della rete preventiva ed assistenziale al servizio dell’utente”.

Secondo Maria Triassi ci sono importanti elementi di criticità che andranno monitorati: la formazione del personale, in quanto il PNRR finanzia e le strutture ma non le risorse umane e la loro formazione; l’ammodernamento tecnologico: come si valuterà l’obsolescenza di una tecnologia e come si smaltiranno le tecnologie obsolete? Da non dimenticare, infine, che la tecnologia deve essere al servizio del medico e del professionista sanitario e non sostitutiva degli stessi.

Dagli Stati generali dell’oncologia del Sud l’appello: le reti oncologiche devono essere un punto di partenza

La rete oncologica rappresenta il miglior modello organizzativo e gestionale, non tutte le regioni però, come ad esempio le Marche, ancora non ne hanno strutturata una. Creare e mettere a regime una rete però non è un punto di arrivo poiché ogni struttura a rete deve essere accompagnato da PDTA di patologia e da un sistema territoriale di cure in grado di garantire una corretta gestione del paziente durante e dopo la fase di diagnosi e terapia.

Napoli, 28 novembre 2022 – L’oncologia sta cambiando, è in pieno sviluppo sul piano della cura e tecnologico e questo comporta un radicale cambiamento di visione e di tipo organizzativo. Le grandi sfide che il Sud ha di fronte vanno dall’innovazione digitale a garantire in maniera duratura l’accesso alle terapie innovative, dal coinvolgimento del territorio al potenziamento delle attività di prevenzione e dei servizi di psiconcologia ospedalieri e territoriali e dei team nutrizionali, nonché il potenziamento della promozione di rapporti con i pazienti e le loro associazioni. Se

n’è parlato a “ONCOnnection Stati generali dell’Oncologia SUD: CAMPANIA, MARCHE, PUGLIA, SICILIA” nella tavola rotonda “A che punto siamo, cosa c’è, cosa serve: tra carenza di personale, hub&Spoke e capillarità dell’assistenza”. L’evento è organizzato da Motore Sanità, con la sponsorizzazione non condizionante di Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, GSK, Bristol Myers Squibb, Takeda, AstraZeneca e Daiichi-Sankyo.

In Campania la Rete oncologica campana (ROC) ha fatto passi da gigante nonostante il Covid. È partita nel 2016 con 4 Pdta e una manciata di gruppi multidisciplinari (Gom), ad oggi i cittadini campani possono contare su 37 Pdta, annualmente aggiornati e revisionati, e 343 gruppi multidisciplinari che possono, mediante la piattaforma Roc offrire ai pazienti una significativa riduzione del “burden burocratico” e la valutazione dei pazienti per arruolamento in trial clinici; sul Molecular tumor board; sulla cooperazione con le organizzazioni non-profit di pazienti.

Secondo la voce della Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO) la priorità assoluta in Campania è consentire alla Rete oncologica campana di raggiungere l’obiettivo fondante: ridurre la mortalità e garantire ai cittadini campani le stesse chances di sopravvivenza e qualità della vita, adesso posseduti dalla media dei cittadini italiani” spiega Fabrizio Capuano, Delegato regionale FAVO Campania, “Esistono altre criticità di carattere “operativo-pragmatico” e culturale “di indirizzo”: per le prime le reti oncologiche, la digitalizzazione, il Pnrr, precludono a figure professionali che sicuramente non sono al momento nelle piante organiche dei nostri enti sanitari; probabilmente neanche fuori. Sono professionalità strategiche all’interno del viaggio della persona nel percorso diagnostico terapeutico assistenziale. Dove le recuperiamo e come? Come le formiamo? Di quanto tempo e quanti soldi abbiamo bisogno? Per le seconde, diffuse un po’ dovunque, ma più ostinate nel sud Italia, a nostro avviso i temi principali sono due: la capacità di “delegare”, la capacità di “comunicare” tra il soggetto superiore e quelli che si trovano ai livelli sottostanti, ma tutti stakeholders”.

Da Cittadinanzattiva Campania arriva un dato allarmante. “Ad oggi il 30% dei nuovi pazienti oncologici entra direttamente all’interno del percorso e la maggior parte sono concentrati nella città metropolitana o nei grandi agglomerati urbani. Le aree interne e disagiate non sono pienamente comprese all’interno dei percorsi di tutela. È qui che si deve concentrare maggiormente lo sforzo di tutti noi e, in particolare dei medici di medicina generale. Dei 4.000 medici di medicina generale presenti in Campania solo 500 hanno acquisito le credenziali per l’accesso alla piattaforma Roc e solo 100 di loro le utilizzano regolarmente”. Ma la Rete oncologica campana non si ferma. “La Roc è ormai una realtà consolidata e in grado di organizzare percorsi di

cura che vanno dal sospetto diagnostico fino alla gestione del follow up del paziente. Un punto di orgoglio della nostra regione, impensabile fino a pochi anni fa – prosegue Lorenzo Latella -. La gestione multidisciplinare del paziente attraverso i Gom garantisce tempi di accesso ottimali e una valutazione integrata del percorso di cura da affrontare, garantendo efficacia ed efficienza del sistema, oltre che ad una effettiva presa in carico del paziente che garantisce l’organizzazione dell’intero iter. Stiamo lavorando per migliorare ancora di più il sistema individuando luoghi e tempi di accesso alle prestazioni diagnostiche e specialistiche personalizzate per ogni singolo paziente e il dialogo tra istituzioni, associazioni e direzione scientifica è costante e costruttivo”.

Dalla Sicilia ecco le risposte ai nuovi bisogni dei pazienti oncologici. La Regione Siciliana è in piena revisione della Rete oncologica, istituita per la prima volta nel 2014 ma attuata a macchia di leopardo – spiega Stefano Campo, Dirigente del servizio 4 programmazione ospedaliera di Regione Siciliana, assessorato alla Sanità -. Oggi, con la ormai consolidata Rete delle Breast Unit, costituita nel gennaio 2020, si associano quelle create per il trattamento dei tumori del colon-retto, polmone, prostata e ovaio e quelle della tiroide e mesotelioma in corso. Abbiamo realizzato e approvato percorsi diagnostici terapeutici per i tumori di mammella, colon-retto, prostata, ovaio, polmone, tiroide e mesotelioma. Abbiamo istituito il Molecular Tumor Board regionale per supportare l’assessorato nella nuova frontiera della medicina di precisione. È chiaro che c’è ancora tanto da fare: innovazione digitale, garanzia fissa e duratura dell’accesso alle terapie innovative, coinvolgimento del territorio (oggi molti pazienti oncologici, grazie alle cure innovative, diventano “cronici”), potenziamento delle attività di prevenzione, potenziamento servizi di psiconcologia ospedalieri e territoriali e dei team nutrizionali, potenziamento della promozione di rapporti con i pazienti e le loro associazioni. Queste rappresentano le nuove sfide che ci aspettano per garantire un’assistenza adeguata ai nostri pazienti oncologi”.

Massimiliano Spada, Coordinatore regionale AIOM Sicilia, ha sottolineato che l’adeguata disponibilità di professionisti sanitari è indispensabile per soddisfare i bisogni di salute della popolazione.
Secondo i dati OECD del 2020 in Italia il numero di infermieri è 6,2 ogni 1.000 abitanti contro la media europea di 8,8. In Sicilia nel 2020 il personale del servizio sanitario nazionale era di 8.844 medici e 17.221 infermieri; nel 2019 i medici di medicina generale erano 4.000 e i pediatri di libera scelta 721 contro i 3.871 e 656, rispettivamente, del 2021. “Nell’ambito del personale medico risultano carenti alcuni specialisti e i medici di medicina generale rispetto alle medie EU e non omogeneamente distribuiti sul territorio nazionale – spiega il professore Massimiliano Spada –. I provvedimenti emergenziali adottati durante la pandemia non hanno prodotto significative correzioni delle consistenze di personale infermieri/medici di medicina generale. A fronte della carenza di specialisti il numero di borse di specializzazione per il biennio 2021/22 è stato ridotto di 4.000 unità rispetto al precedente; consola il dato siciliano del 2021 con 322 borse per la formazione dei medici di medicina generale verso le 89 del 2020. Si stima, a livello nazionale, la messa in servizio di 61.760 infermieri dal 2027, tenendo conto della capacità formativa e un tasso di successo del 75%. Gli effetti dell’offerta formativa delle scuole di specializzazione saranno apprezzabili dal 2023. In assenza di aggiustamenti nella pianificazione dei fabbisogni delle risorse, senza una fattiva integrazione ospedale/territorio, in assenza del coinvolgimento delle strutture private accreditate anche i fondi del Pnrr verranno usati per costruire “contenitori” vuoti.

Se Alfredo Budillon, Direttore scientifico INT Pascale di Napoli, ha fatto una panoramica delle opportunità che la rete oncologica può dare e fare rete può garantire, nonché le difficoltà da superare, Renato Bisonni, Direttore dell’Oncologia dell’ospedale di Fermo, Coordinatore CIPOMO Marche e Co-coordinatore network associazioni di volontariato Marcangola, ha spiegato che la rete oncologica rappresenta il miglior modello organizzativo e gestionale, ma non tutte le regioni però, come ad esempio le Marche, ne hanno una strutturata. “In Regione Marche ancora non abbiamo una rete oncologica strutturata e formale, abbiamo però una rete di professionisti che si riunisce e lavora per garantire omogeneità e qualità di cure su tutto il territorio regionale”. Inoltre, Bisonni aggiunge: “Sono sempre più importanti le richieste dei pazienti oncologici e lo spiega il fenomeno dello sviluppo di sempre più associazioni, almeno una al mese”.

Aumentano i bisogni dei malati oncologici. Dal Centro Sud: garantire le migliori cure e accesso ai test il più vicino possibile al domicilio del paziente

Nuove conoscenze scientifiche e quindi nuove terapie dai risultati promettenti: il volto dell’oncologia sta cambiando in maniera dirompente. E cambia anche dal punto di vista dell’epidemiologia, dal punto di vista dei bisogni del malato oncologico e delle difficoltà che incontra lungo il percorso. Tutto questo richiede un cambiamento organizzativo e tecnologico con attenzione al territorio.

Napoli, 29 novembre 2022 – Ogni giorno in Italia oltre 1.000 persone ricevono una diagnosi di tumore maligno; oltre 3 milioni e 600mila persone vivono con una pregressa diagnosi di tumore. Si tratta di persone con bisogni molto diversi e con unico punto di riferimento l’oncologia dell’ospedale. L’incidenza dei tumori aumenta con l’età ma dopo i 60 anni c’è anche un aumento di copatologie con aumento di fragilità e aumento di farmaci che si assumono. Come può rispondere il territorio di fronte a tutto questo? Perché l’accesso ai test diagnostici, in particolare a quelli a target molecolare, è tutt’altro che equo? Se n’è parlato al convegno ONCOnnection Stati generali dell’Oncologia SUD: CAMPANIA, MARCHE, PUGLIA, SICILIA”, organizzato da Motore Sanità con la sponsorizzazione non condizionante di Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, GSK, Bristol Myers Squibb, Takeda, AstraZeneca e Daiichi-Sankyo.

La medicina territoriale, in un’ottica di prossimità e di assistenza domiciliare e di telemedicina è un tema cruciale in campo oncologico – ha spiegato Rossana Berardi, Presidente Associazione Women for Oncology Italy, Professore Ordinario di Oncologia Università Politecnica delle Marche e Direttore della Clinica Oncologica AOU Ospedali Riuniti di Ancona -. Su questo le Marche sicuramente hanno lavorato tanto, anche soprattutto in questo periodo di pandemia che ha messo a dura a prova tutti i sistemi

sanitari ma che ha premiato la possibilità di lavorare più vicino del territorio dei pazienti, del domicilio dei pazienti”. La professoressa Rossana Berardi ha inoltre sottolineato come il PNRR possa rappresentare una opportunità importante di sostegno sia per la sanità sia per il mondo universitario, “tuttavia ci sono delle criticità legate alla parcellizzazione dei finanziamenti, al fatto che i finanziamenti sono principalmente destinati a beni, apparecchiature, a edilizia, piuttosto che a personale che possa stabilmente poi nel tempo dare continuità alle progettualità”.

“La Sicilia è in rete – ha spiegato Livio Blasi, Direttore UOC Oncologia Medica ARNAS Civico Palermo -. sappiamo dove sono gli studi clinici ma ancora oggi difettiamo sulla logistica, per questo dobbiamo rendere più accoglienti più accoglienti i nostri ospedali. Inoltre è un momento anche di migrazione e dobbiamo lavorare anche su questo aspetto. Stiamo cercando di creare dei percorsi virtuosi per avere una risposta omogenea su tutto il territorio. Se le reti oncologiche e i Pdta non trovano una piattaforma di dialogo siamo al punto di partenza. Una piattaforma di questo tipo è essenziale per dare risposte unitarie e omogenee ai bisogni dei malati oncologici e di accesso alle cure che non devono essere diverse”.

“I numeri sono considerevolmente in aumento e per quanto riguarda la patologia mammaria i numeri sono altissimi, 55mila donne in Italia si ammalano di tumore al seno – ha spiegato Alessandra Ena, Europa Donna Italia -. L’età di insorgenza di questa patologia, inoltre, si è abbassata notevolmente e allora entra in gioco l’innovazione tecnologica che può aiutare la donna a gestire al meglio le sue terapie e soprattutto a coinvolgere un territorio che si sta adeguando a questa innovazione farmacologica in oncologia”. Cosa succede in Puglia? “Sono presenti numerose Brest Unit e le donne vengono accolte in strutture in grado di poter gestire la patologia del tumore della mammella all’interno di gruppi multidisciplinari, diminuendo così la migrazione fuori regione. La Regione Puglia è avanti attraverso l’organizzazione di una rete oncologica pugliese che sta portando avanti il Pdta per la mammella e per tutte le patologie come il tumore del polmone, del colon retto, dell’ovaio e dell’utero. Perché è stato dimostrato che il modello di Pdta del seno è un modello vincente”.

Se le reti oncologiche hanno la finalità di garantire equità nell’accesso dei pazienti a cure appropriate e di qualità, è necessario altresì garantire uguali opportunità di accesso ai test diagnostici, in particolare a quelli a target molecolare.

Purtroppo in Italia, ma anche in gran parte delle nazioni europee, l’accesso ai test con target molecolari è tutt’altro che equo – ha affermato Alfredo Zito, Direttore di Anatomia patologica dell’Istituto Tumori Giovanni Paolo II di Bari -. Le motivazioni vanno ricondotte essenzialmente all’assenza di criteri di rimborsabilità e ad una carente organizzazione sul territorio che individui i centri di patologia molecolare dotati di idonea strumentazione, ma soprattutto di adeguate competenze. Come possiamo immaginare una rete oncologica che non ha a disposizione per tutti i pazienti i test necessari per la miglior terapia al momento possibile? Quante volte si è mandato in giro il paziente o i suoi familiari per recuperare nelle Anatomie patologiche il campione tumorale per queste indagini con notevole perdita di tempo prima di iniziare la terapia più idonea? Perché l’AIFA nel momento in cui approva un farmaco a target molecolare, non si attiva nel segnalare a chi compete che è necessario anche rimborsare il test? Occorre una revisione organizzativa che individui su tutto il territorio nazionale i centri in grado di erogare i suddetti test con criteri di appropriatezza, qualità, equità e omogeneità nelle procedure su tutto il territorio nazionale, evitando non solo la mobilità passiva dei pazienti, ma anche dei loro campioni tumorali”.

Manuela Bignami, Direttrice operativa Associazione Pazienti Loto Onlus, ha sottolineato che “È necessario garantire alle pazienti l’accesso a test che permettano di individuare le mutazioni, così da selezionare chi può beneficiare di trattamenti mirati. Anche i Molecular tumor board, team multidisciplinari che esaminano e interpretano la profilazione genomica, non sono ancora capillari in tutto il territorio nazionale. L’obiettivo è garantire l’accesso a questi strumenti e la loro presenza perché è un diritto dei malati ricevere le migliori cure il più vicino possibile alla propria residenza. In questo modo si garantisce la terapia giusta al paziente giusto e la sostenibilità del sistema sanitario nazionale”.

Infine, sul ruolo del patologo molecolare è intervenuto Umberto Malapelle, Patologo, ricercatore in Anatomia patologica presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. “Negli ultimi venti anni si è assistito ad una rivoluzione nella gestione e nel trattamento di pazienti affetti da neoplasia maligna in stadio avanzato e l’identificazione di un numero sempre maggiore di biomarcatori che possono fungere da bersaglio per terapie personalizzate ha aumentato significativamente il numero di paziente che riesce, oggi, a ricevere un trattamento alternativo al classico schema chemioterapia e/o radioterapia, aumentando il beneficio clinico in termini di sopravvivenza libera da progressione e sopravvivenza globale al prezzo di un minor numero ed intensità degli effetti collaterali. Questa evoluzione si riflette nello sviluppo di una figura in ambito sanitario che ha il compito di creare un ponte tra il mondo del laboratorio e quello della clinica, rappresentato dal patologo molecolare”.

Oncologia: il Sud in bilico tra necessità di nuovi investimenti e sostenibilità della spesa

28-29 novembre: parte da Napoli la terza tappa del progetto ONCOnnection – Stati generali dell’oncologia del Sud

C’è bisogno di lavorare molto sulla prevenzione, sulla formazione delle risorse umane e sulla comunicazione, quando c’è in ballo una patologia importante come il tumore. I massimi esperti dell’Oncologia del Sud si confrontano a Napoli. L’appello delle istituzioni: “Dobbiamo riuscire a dare ascolto alle necessità degli esperti di sanità. Dobbiamo lottare per far sì che il diritto alla sanità venga sempre garantito”.

Napoli, 28 novembre 2022 – Parte dalla città di Napoli la terza tappa del progetto ONCOnnection Stati generali dell’Oncologia SUD: CAMPANIA, MARCHE, PUGLIA, SICILIA – organizzati da Motore Sanità, la due giorni, il 28-29 novembre 2022, interamente dedicati alle novità che ruotano attorno all’oncologia del Sud – Campania, Marche, Puglia Sicilia. L’evento è organizzato presso l’Holiday Inn, Centro Direzionale Isola E6 di Napoli, con la sponsorizzazione non condizionante di Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, GSK, Bristol Myers Squibb, Takeda, AstraZeneca e Daiichi-Sankyo.

Questa è la terza tappa del grande percorso “ONCOnnection” realizzato negli ultimi due anni e che fino ad oggi ha riunito le esperienze in campo oncologico di tutte le regioni di Italia. L’obiettivo di questi due giorni è fare il punto sullo stato dell’arte dell’oncologia nel Sud e per questo sono stati chiamati i massimi esperti con il coinvolgimento delle associazioni dei pazienti e delle istituzioni.

Sul ruolo della prevenzione interviene Francesco Emilio Borrelli, Componente V Commissione Sanità e Sicurezza Sociale Consiglio Regionale Campania. “La parola prevenzione, che sembra banale e quasi scontata non lo è. Gli elementi preventivi, come uno stile di vita sano e una buona alimentazione sono davvero importanti, noi istituzioni dobbiamo lavorare anche nel portare il concetto di prevenzione su tutti gli aspetti della vita. Il lavoro di divulgazione è fondamentale per portare alla luce grandi problemi che però sono “nascosti” al grande pubblico, ne sono ignari. La politica deve capire che ascoltare il lavoro di divulgazione che viene fatto, anche nei convegni come quello di oggi, potrebbe evitare moltissimi dei problemi che invece ci troviamo ad affrontare”.

Secondo Simona Lupini, Vice Presidente IV Commissione consiliare permanente, Regione Marche, sul tema dell’oncologia va fatta una strategia, una strategia che metta insieme le risorse attuali e quelle future. “Bisogna inoltre riflettere sugli errori commessi così da imparare. Credo moltissimo nell’integrazione socio-sanitaria, è quindi importantissima una presa in carico di questo tipo che dia spazio anche al supporto psico-sociale del paziente e della famiglia che lo deve seguire e supportare”.

Ismaele La Vardera, Deputato Assemblea Regionale Siciliana, spiega: “I cosiddetti eroi del Covid, cioè tutti gli operatori sanitari utilizzati durante l’emergenza, si stanno trovando ad affrontare un vero e proprio ben-servito. Noi forze istituzionali dobbiamo riuscire a dare ascolto le necessità degli esperti di sanità. Dobbiamo lottare per far sì che il diritto alla sanità venga sempre garantito”.

Elita Schillaci, Professore Ordinario Principi di Management; Fondatore ILHM- Centro Studi Avanzati Innovazione e Leadership in Health Management ha aperto il tema dell’organizzazione e la capacità manageriale: “Nel campo oncologico abbiamo visto enormi sviluppi dal punto di vista terapeutico e diagnostico, inoltre tutto questo si è accelerato nel periodo del Covid. Inoltre in tutti gli ambiti si è sviluppata la consapevolezza dell’importanza di un approccio multidisciplinare. In questo paese tutto quello che è capacità manageriale non viene riconosciuta, ma gli aspetti organizzativi sono fondamentali”.

Sulla sostenibilità del sistema sanitario è intervenuto Roberto Bordonaro, Direttore UOC Oncologia Medica ARNAS Garibaldi, Catania, che spiega “Un sistema sanitario è tanto sostenibile tanto quanto chi governa decide che deve essere tale. È ovvio che se si continua a considerare il sistema sanitario italiano soltanto una voce di spesa è difficile continuare a richiedere ulteriori sostegni in termini di finanziamento. Io credo – spiega Bordonaro – il servizio sanitario nazionale sia un importantissimo volano di sviluppo economico, lavorativo e culturale. Ci sono dati importanti che indicano che per ogni dollaro investito in sanità c’è un ritorno di 1,4 dollari, bisogna quindi sviluppare una sempre maggiore partnership tra pubblico e privato a tutti i livelli”.

Secondo Roberto Bordonaro bisogna, infine, che il sistema si organizzi per garantire l’equità di accesso alle nuove tecnologie diagnostiche innovative. “Non basterà però acquistare i macchinari, ma bisognerà garantire la formazione di tutte le risorse umane necessarie per il funzionamento di queste tecnologie. Implementare, sostenere, e diffondere progressivamente gli screening per le tre patologie principali deve essere una priorità assoluta di chi si occupa di salute pubblica. Il miglior modo di governare il costo del sistema è ridurre il numero di patologie tumorali avanzate al momento della diagnosi ma io andrei anche oltre non dimenticandoci quello che è il periodo del fine vita del paziente”.

Malattie reumatologiche: la Lombardia rappresenta un caso di eccellenza nazionale in termini di centri di riferimento, ma rimangono ancora diversi nodi da risolvere

Franco Lucente, Componente III Commissione Permanente – Sanità e Politiche Sociali Regione Lombardia: “C’è una carenza di infermieri e di 1.500 medici di medicina generale in Lombardia, e la Regione si dovrà attivare insieme al Governo nazionale per far pronte a questo problema”.

29 novembre 2022 – Promuovere un momento di scambio e dialogo tra stakeholder regionali per continuare insieme a dare voce alle malattie reumatologiche, per le quali Regione Lombardia rappresenta un’eccellenza a livello nazionale in termini di centri di riferimento. Si è tenuto con questo fine il TALK WEBINAR – DIAMO VOCE ALLE MALATTIE REUMATOLOGICHE IN LOMBARDIApromosso da Motore Sanità in collaborazione con Alomar ODV Associazione Lombarda Malati Reumatici, con il contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb e Pfizer.

Le Associazioni di pazienti, i clinici e la medicina territoriale condividono la necessità di una riorganizzazione dei percorsi assistenziali a tutela di chi affronta una diagnosi di malattia reumatologica attraverso l’istituzione di una rete.

Così Carlomaurizio Montecucco, Direttore Struttura complessa di Reumatologia – Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia: “I problemi della reumatologia sono sempre gli stessi e riguardano il fatto che, a fronte di una estrema frequenza di dolori muscoloscheletrici, esistono forme molto gravi che per fortuna riguardano solo una minima parte di persone, ma che vanno presi assolutamente per tempo (si paga un dazio altissimo di disabilità e di sopravvivenza, in caso contrario). La questione rimane sempre quella di riuscire ad avere un approccio territoriale all’invio dei pazienti ai centri che sono in grado di fare la diagnosi precoce. Penso e spero che le Case di comunità, gli ospedali di prossimità e una logica di distretti possano in qualche modo riuscire a operare quel filtro che è l’unico modo per arrivare a una diagnosi tempestiva e corretta”.

Siamo ancora in alto mare”, chiosa Maria Grazia Pisu, Presidente Associazione Lombarda Malati Reumatici ALOMAR ODV. “Sono da oltre 20 anni in Associazione e le nostre richieste sono sempre le stesse, non hanno mai trovato risposte. Qualcosa a onor del vero è migliorato, ma siamo ancora indietro per quello che riguarda la riabilitazione e il mantenimento della conservazione delle articolazioni. Aspetti fondamentali per poter avere una buona qualità di vita. Assieme al Professor Mastaglio abbiamo fatto corsi ECM per fisioterapisti per imparare a trattare pazienti reumatologici. Vorremmo che le istituzioni capissero bene la nostra realtà e che ci “premiassero” per tutto quello che riusciamo a fare a favore di tutti i pazienti”.

Su quali sono le opportunità che Regione Lombardia può offrire alle domande delle Associazioni si è espresso Franco Lucente, Componente III Commissione Permanente – Sanità e Politiche Sociali Regione Lombardia. “Ci dobbiamo mettere al lavoro. Noi come Regione Lombardia lasciamo una legge di riforma (la 22 del 14 dicembre 2021) che offre con le Case di comunità un servizio importante – soprattutto servizi diagnostici finalizzati al monitoraggio della cronicità. Se, come auspichiamo, dovesse andare bene, offrirebbe un servizio enorme ai cittadini e ai lombardi. C’è però una carenza di infermieri e di 1.500 medici di medicina generale in Lombardia, e la Regione si dovrà attivare insieme al Governo nazionale per far pronte a questo problema (a livello nazionale questo dato sale a 15mila). Bisognerà rivedere anche i contratti, da questo punto di vista”.

Speriamo che le cose cambino un pochino e di avere nuovi medici”, replica Paola Maria Faggioli, Responsabile UOS Gestione Terapie Innovative Paziente Cronico ASST Ovest Milanese Legnano. “Noi che siamo reumatologi in ospedale Hub viviamo tutti i giorni la problematica della cronicità e delle liste di attesa. Dall’altra parte devo dire anche che abbiamo colleghi che si licenziano e la grossa emergenza del pronto soccorso che internisti e reumatologi devono coprire. Tradotto: la coperta è corta, se devo fare pronto soccorso non posso fare ambulatorio. Questo è un problema importante. I concorsi che vengono fatti non hanno appeal, perché l’ambulatorio periferico è più allettante. Con la casa della comunità siamo partiti in sordina, ma la possibilità di andarci è limitata. O stai in ospedale, o stai nella casa della comunità. Per quanto riguarda invece la rete, da tempo eravamo partiti con la ScleroNet in Lombardia. La rete in reumatologia è importante perché consente di creare un livello culturale alto in tutti i presidi e poi, visto che abbiamo un centro di eccellenza, lo mettiamo a disposizione degli altri. Questo è possibile solo qualora ospedali e medici

siano in rete. Spero che il fatto di fare una rete porti anche a una razionalizzazione delle risorse”.

Ha portato la sua testimonianza anche Claudio Mastaglio, già Responsabile UOS Reumatologia Ospedale Moriggia-Pelascini Gravedona (CO), che si è detto preoccupato a fronte delle problematiche illustrate.

Di contro, Pierluigi Tos, Direttore Unità Operativa Complessa di Chirurgia della mano e Microchirurgia Ricostruttiva dell’ASST Pini – CTO di Milano si è detto fiducioso: “Devo dire che l’incontro con la Presidente Pisu è stato molto importante” – ha detto a fine lavori. “Lei è stata così attenta ai malati reumatici che, con Alomar, ha aiutato a lanciare una borsa di studio che ha permesso a una fisioterapista di affiancare una fisioterapista in ospedale per fare un percorso riabilitativo sia per i malati già operati, sia per quelli ancora da operare”.

Epilessia: bene la formazione epilettologica in Puglia, ma c’è bisogno del supporto dei decisori delle aziende e di quelli regionali.

A chiederlo, nel corso dell’evento organizzato da Motore Sanità, Angela La Neve, Dirigente Medico Neurologia presso l’Unità di Emergenza Neurologica-clinica “Amaducci”, Policlinico di Bari.

29 novembre 2022 – L’epilessia ha fatto tappa in Puglia e Basilicata. Stiamo parlando della serie di eventi dal titolo PERSONE CON EPILESSIA, PRESA IN CARICO ASSISTENZIALE promossi da Motore Sanità – con il contributo incondizionato di Angelini Pharma – nelle varie regioni d’Italia, per capire qual è la situazione delle persone con questa malattia e qual è la loro presa in carico assistenziale nelle varie realtà del nostro Paese.

Prima di tutto dobbiamo parlare al plurale di epilessie, visto che ne esistono di diversi tipi, che interessano l’1% circa della popolazione Italiana. Percentuale in ulteriore aumento, così come indicano studi americani, con l’aumento della vita media”, chiosa Laura Tassi, Presidente Nazionale LICE (Lega Italiana Contro l’Epilessia). “Dopo i 60 anni esiste infatti un picco che triplica quasi quello infantile e che aumenta ulteriormente dopo i 75 anni d’età. Questo fa dell’epilessia la seconda malattia neurologica nel mondo, ma soprattutto fa di questa malattia una patologia cronica. Significa che la sua risoluzione è estremamente rara. In Italia su 60milioni di abitanti abbiamo a che fare con almeno 720mila pazienti con epilessia. Di questi 432mila hanno l’epilessia focale e 170mila hanno epilessia focale farmaco-resistente. Tra questi migliaia di pazienti potrebbero essere candidati alla terapia chirurgica della loro epilessia. La diagnosi e la terapia devono essere accurate e adattate all’età e al genere. Le fasce più delicate sono quelle che riguardano il neonato, il bambino, l’adolescente, la donna e l’anziano. Non dobbiamo dimenticare l’importanza di utilizzare la terapia corretta nella donna, per lo sviluppo sessuale corretto e per la possibilità di condurre una gravidanza con la maggior sicurezza possibile. I medici che si occupano dell’epilessia sono numerosi, in genere fanno parte della branca neurologica e, teoricamente, dovrebbe essere l’epilettologo a occuparsene. In Lombardia meno del 10% dei pazienti con epilessia viene trattato nei centri specializzati per le diagnosi dell’epilessia. La terapia di questa malattia non è solo farmacologica e neurochirurgica, ma dovrebbe prevedere l’utilizzo di percorsi di cura precoci e condivisi tra i vari specialisti e garantire protezione e sicurezza, una qualità di cura che sia la stessa in tutta Italia e dovrebbe prevedere la maggior integrazione possibile (a scuola, nella famiglia, nella società)”.

Oriano Mecarelli, Past President LICE (Lega Italiana Contro l’Epilessia), ha parlato dell’importanza dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) per la presa in carico dell’epilessia, ricordando che proprio i PDTA sono ritenuti indispensabili dai Piani Nazionali per il Governo delle liste d’attesa, dal Sistema Nazionale di Garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e dal Piano Nazionale delle Cronicità. “Nel Piano Nazionale della Cronicità, scritto nel 2016, l’epilessia non c’era, ma attualmente è stata avviata una sua revisione che prevede l’inclusione della malattia, che speriamo venga pubblicata entro il 2023 – ha continuato Mecarelli. Il PDTA è uno strumento di governo clinico per la definizione del migliore processo assistenziale, finalizzato a rispondere a specifici bisogni di salute, sulla base delle evidenze scientifiche disponibili sull’argomento, adattato al contesto locale. Il PDTA prevede una presa in carico multidisciplinare della persona che ha una specifica patologia e questo è importantissimo. Purtroppo, però, il rispetto dei PDTA risulta diversificato tra le varie regioni italiane”.

Per lo sviluppo del PDTA e la presa in carico dell’epilessia, molto importanti sono le figure dei decisori delle aziende e dei decisori regionali, come ha sottolineato Angela La Neve, Dirigente Medico Neurologia presso l’Unità di Emergenza Neurologica-clinica “Amaducci”, Policlinico di Bari. “Sono loro che devono capire quanto sia strategico individuare l’epilessia come una patologia per la sua complessità e per il suo onere economico e sociale e quindi capire le necessità delle risorse (umane, strumentali, per la formazione dei medici, etc). La regione Puglia negli ultimi anni è molto cresciuta nella formazione epilettologica, ma abbiamo bisogno del supporto dei decisori. Il PDTA non c’è in Puglia, perché a noi non interessa un documento di indirizzo. Vogliamo un documento dove ci siano delle ricadute pratiche. Per quasi tutta la nostra regione abbiamo una copertura di centri formatisi sia per l’adulto sia per il bambino, questo significa però che le aziende devono prendere atto della necessità del personale formato ed essere in grado di fare una programmazione del personale formato nel breve e lungo termine”.

Psoriasi: le terapie innovative hanno abbattuto non solo i costi di riduzione dei ricoveri, ma anche i rischi di complicanze

Tanto è vero che il sistemico tradizionale costa molto di più dei biosimilari”, ha aggiunto Francesco Loconsole, Dirigente Medico Responsabile Centro Diagnosi e Cura della Psoriasi Clinica Dermatologica Universitaria Policlinico Bari.

25 novembre 2022 – Continua il percorso lungo lo Stivale di “PSORIASI – IO LA VIVO SULLA MIA PELLE, MA TU SAI COSA VUOL DIRE?” – promosso da Motore Sanità con il contributo incondizionato di UCB Pharma – che questa volta ha fatto tappa in Puglia.

Obiettivo condividere le best practice di questa malattia infiammatoria della pelle, non contagiosa, autoimmune, genetica e recidiva. Solo in Italia – secondo le più recenti stime del CliCon Economics & Outcomes Research ne soffrono 1,4 milioni di pazienti, dei quali circa 56mila in cura con farmaci biologici (il 4%), ai quali si somma un numero lievemente inferiore di pazienti potenzialmente eleggibili alla terapia biologica (54mila).

Per Caterina Foti, Direttore Clinica Dermatologica Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia umana, Università degli studi di Bari, bisogna fare di più, nonostante la situazione riferita alla Puglia abbia avuto notevoli miglioramenti. “Abbiamo farmaci efficacissimi che permettono di risolvere questa patologia, eppure sussistono ancora problematiche legate al loro accesso che possono demotivare il paziente a portare a termine il suo percorso. Abbiamo la problematica che questi farmaci utilizzati per la psoriasi sono costosi. Occorre però sottolineare che questi farmaci hanno abbattuto i ricoveri ospedalieri che costavano molto. Bisognerebbe quindi fare un discorso di farmaco economia”.

Le terapie innovative hanno abbattuto non solo i costi di riduzione dei ricoveri, ma anche i rischi di complicanze, puntualizza Francesco Loconsole, Dirigente Medico Responsabile Centro Diagnosi e Cura della Psoriasi Clinica Dermatologica Universitaria Policlinico Bari. “Tanto è vero che il sistemico tradizionale costa molto di più dei biosimilari”, ha aggiunto Loconsole.

Francesco Colasuonno, Responsabile PO Registri di Monitoraggio AIFA e Centri Prescrittori Sezione Farmaci, Dispositivi Medici e Assistenza Integrativa, Regione Puglia, ha parlato dell’importanza dell’innovatività: “Pochi giorni fa, il 16 novembre, è stato pubblicato l’aggiornamento dei farmaci biologici per psoriasi. Credo che stiamo risalendo la china in maniera positiva. Il paziente deve essere al centro di questo percorso”.

E del paziente ha parlato Ludovica Donati, Rappresentante APIAFCO, sottolineando il fatto che chi soffre di questa malattia invalidante, ha ricadute negative anche nella sfera sociale e lavorativa: “Per questo la nostra Associazione dà supporto ai pazienti per tutelare i loro diritti. Da tempo, inoltre, stiamo lavorando per fare entrare la psoriasi nel Piano Nazionale Cronicità. In più stiamo facendo richiesta per l’aggiornamento dei LEA e stiamo cercando di portare il nostro contributo ai tavoli decisionali”.

A fianco del paziente (da oltre 30 anni) anche ADIPSO, rappresentata da Grazia Carbone, Componente ADIPSO Regione Puglia: “La vita di un paziente psoriasi è fatta di sofferenza, anche psicologica, e di dolore, soprattutto in questa società dell’apparire. Per noi innovazione significa avere un PASI 100, che significa la guarigione completa per raggiungere il meglio della qualità di vita e delle cure”.

Ha sottolineato l’aspetto dei costi Luca Degli Esposti, Presidente CliCon S.r.l Health, Economics & Outcomes Research: “Quando parliamo di spesa, di costi e di economia è bene ricordare che il nostro Servizio Sanitario Nazionale è impegnato su qualità e assistenza del singolo e universalità di accesso della collettività. Questo si traduce con il fatto che da un lato devo cercare di dare il controllo della malattia al paziente, ma dall’altro non devo privare delle cure un altro assistito. Dal punto di vista economico le tematiche sono due: appropriatezza prescrittiva e tetti di spesa inferiori rispetto alla capienza. È necessario che gli amministratori ascoltino i clinici e viceversa. Abbiamo situazioni di sotto uso del biologico: il punto non è ridurre per ridurre, ma cercare di capire se per alcuni pazienti va bene anche una terapia che costa meno, per riuscire a trattare tutti i pazienti”.

Noi ci aspettiamo che dove ci siano controindicazioni comprensibili, il medico motivi la prescrizione”, ha aggiunto Roberta Ricciardelli, Dirigente Farmacista Area Servizio Farmaceutico ASL Bari.

Ogni scelta deve essere adeguatamente documentata e motivata”, precisa Angela Giuliani, Collaboratrice Dermatologia Casa Sollievo della Sofferenza Giovanni Rotondo (FG). “Il paziente con epatite C, per esempio, non può assumere i biosimilari. Di contro esistono forme difficili di psoriasi per le quali i farmaci tradizionali spesso non rispondono. La ricerca si è evoluta molto in questo campo, tuttavia i Centri prescrittori non sono molti in Italia e i tempi di attesa sono piuttosto lunghi”.

Serve ritornare al ritmo della natura per avere un mondo più sostenibile e vivibile

A Padova ultima giornata de “La musica incontra la medicina. Ritmo, suoni e salute”. Stasera si esibisce l’Orchestra Asclepio al Teatro Verdi.

Padova, 25 novembre 2022 – “Ciò che altera i ritmi in maniera più profonda sono i cambiamenti climatici, i rumori, l’inquinamento luminoso, gli aspetti della sindemia, quelli epidemici: tutto questo ha bisogno di avere una risposta per riportarci al ritmo della natura, che abbiamo dentro di noi. Per questo serve una maggiore attenzione ai piani urbanistici, ai piani di sviluppo, ad una economia sostenibile, a impedire che il clima dia le conseguenze che tutti ormai ci immaginiamo e proviamo tutti i giorni”. Queste le parole del Professor Roberto Vettor, Direttore del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova nella terza giornata del simposio “La musica incontra la medicina. Ritmo, suoni e salute” che si è aperto il 23 novembre negli spazi incantevoli di Palazzo Liviano, presso la Sala dei Giganti con lo scopo di aumentare la consapevolezza del binomio musica-medicina in ambito medico, e non solo, e per sottolineare l’importanza dell’apporto musicoterapico, purtroppo non ancora stabilmente adottato nella pratica clinica delle realtà italiane. L’evento è stato ideato dal Professor Roberto Vettor, Direttore del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova, e dal Dottor Alois Saller, cardiologo, geriatra e internista della Clinica medica I dell’Azienda ospedaliera di Padova e Direttore dell’Orchestra Asclepio.

La musica è ritmo e il ritmo e la medicina sono profondamente legate insieme. Basti pensare al ritmo fisiologico dell’organismo nell’alternarsi di giorno e notte a cui sono legati i principali fenomeni vitali (sonno, attività elettrica del cervello, secrezioni ormonali, temperatura corporea). Il ritmo di questi orologi naturali (orologi circadiani) possono essere modificati dall’ambiente esterno mettendo l’uomo a rischio di alcune malattie; ecco perché la regolarità nell’orario dei pasti, nel sonno, nell’esercizio fisico sono i primi passi da fare per assicurarci una vita in salute e “armonica” con il mondo esterno. Basti pensare alla musica dal vivo che è entrata in punta di piedi in alcuni ospedali italiani per portare i suoi benefici: in una camera del reparto di terapia intensiva, dimostrando di abbassare i livelli di ansia del paziente, o nelle stanze dove aspettano la terapia i piccoli pazienti oncologici, smorzando l’attesa e le paure.

La musica ha delle proprietà importanti dal punto di vista cerebrale: gli studi lo dimostrano: ascoltare musica fa aumentare le connessioni sinaptiche del cervello, in sostanza fa crescere il cervello. L’invito è quindi di ascoltare tanta musica, provare ad ascoltarla con curiosità, ascoltare musica di tutti i generi e gli ambiti possibili, perché fa aumentare il cervello, e in gergo scientifico.

Non è un caso se dei quattro elementi chiave della musica (ritmo, melodia, armonia, timbro) è stato scelto proprio il ritmo come filo conduttore del simposio.

Non poteva mancare la musica dal vico. La musica jazz della Big Band Unipd, l’orchestra di jazz del Concentus Musicus Patavinus dell’Università di Padova, è stata protagonista indiscussa ieri sera (24 novembre) nella Sala dei Giganti di Palazzo Liviano portando tanta adrenalina e gioia.

Questa sera, alle 21, presso il Teatro Verdi sarà la volta dell’Orchestra Asclepio che porterà sul palco un programma tutto beethoveniano. Il ricavato del concerto sarà devoluto a Medici con l’Africa – CUAMM.

L’Orchestra Asclepio è composta da medici e operatori della sanità che coltivano la musica accanto alla professione e proseguono un lavoro di squadra rivolto ai pazienti, organizzando formazioni cameristiche nei reparti e concerti di beneficenza in diverse città italiane (anche accompagnati da musicisti di fama internazionale, come Enrico Bronzi, Leonora Armellini, i Solisti Veneti).

Abbiamo creato un network alcuni anni fa con medici musicisti che oltre alla professione medica sono musicisti in quanto diplomati nei conservatori italiani, quindi non è solo una passione che ci accomuna ma è una professionalità; ci lega l’esperienza di voler aprire il mondo dell’arte medica all’esperienza umanistica. L’arte medica è un’arte che nasce tanti anni fa e si è sviluppata soprattutto sul piano scientifico. Vogliamo riportare in questo ambito anche l’aspetto umanistico in senso olistico, ci sembra importante fare questo passo per definire il concetto di salute”.

La musica incontra la medicina” si conclude questa sera; ha chiamato a raccolta clinici e musicisti per spiegare come il ritmo abbia un importante ruolo nella vita dell’uomo, fin dall’antichità, quando è in buona salute e quando incontra la malattia. Si è voluto approfondire il ruolo della musica, in particolare del ritmo, e alcuni degli effetti che essa induce su un piano organico e psichico in vari ambiti patologici. L’evento è organizzato da Motore Sanità, in collaborazione con il Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova, in occasione della celebrazione degli 800 anni dell’Università.

Scompenso cardiaco: le novità farmacologiche hanno un impatto fortissimo e cambiano la storia naturale della malattia.

22 novembre 2022 – Lo scompenso cardiaco, patologia cronica con esito fatale nel 50% dei pazienti entro cinque anni dalla diagnosi, colpisce circa 15 milioni di persone in Europa. Di queste, oltre il 10% ha un’età superiore ai 70 anni.

In Italia è la causa principale di ospedalizzazione nelle persone di età superiore ai 65 anni con un impatto non solo clinico, ma anche sociale ed economico molto rilevante. Lo scompenso cardiaco è spesso associato ad altre malattie del sistema cardio-nefro- metabolico, come il diabete di tipo 2 e le malattie renali. A causa della natura interconnessa di questi sistemi, il miglioramento di uno può portare effetti positivi in tutti gli altri. Per questi motivi si sono studiati gli effetti della classe degli inibitori selettivi del co-trasportatore renale di sodio e glucosio (SGLT2i), già indicati sia come monoterapia, sia in terapia di combinazione in pazienti con diabete di tipo 2 e che hanno dimostrato attraverso numerosi studi RCT di garantire benefici aggiuntivi come la riduzione della pressione arteriosa e dei ricoveri per scompenso (-35%), il rallentamento del declino della funzionalità renale (-39%), la mortalità per tutte le cause (-32%).

Sulla base di queste evidenze sono stati impostati numerosi nuovi studi, con l’obiettivo di valutarne l’impatto in ambito cardiovascolare, indipendentemente dal diabete. Così si è aperta la strada ad una nuova indicazione che rappresenta una svolta epocale nel trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco cronico sintomatico. Sulla base di queste evidenze Motore Sanità ha promosso il primo di una serie di tavoli di confronto nelle diverse regioni italiane dal titolo “L’INNOVAZIONE CHE CAMBIA E SALVA LA VITA DEI MALATI CRONICI – SCOMPENSO CARDIACO – Focus on SGLT2i PIEMONTE”, con il contributo incondizionato di Boehringer Ingelheim e Lilly. Obiettivo favorire una condivisione di idee sulla revisione del disease management per questa importante cronicità, che interessa una ampia fetta di cittadini.

Così Claudia Raineri, Responsabile Cardiologia AOU Città della Salute e della Scienza TO: “L’ospedalizzazione è una finestra fondamentale su cui il cardiologo deve lavorare per dare una corretta cura farmacologica al paziente. Il 30% dei nostri pazienti non assume almeno un farmaco di quelli che dovrebbe secondo le linee guida e solo il 15% utilizza a dosaggio ottimale quelli indicati. Quello che stiamo cercando di fare è un percorso a partire dal pronto soccorso e identificare le diverse tipologie dei pazienti suddivisi per rischio. L’implementazione della terapia ha un ruolo importantissimo e la telemedicina può essere uno strumento di grande ausilio. Dobbiamo fare formazione sul territorio per ottimizzare il trattamento e un grosso investimento andrebbe fatto anche sulla formazione diagnostica. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza può dare accesso alle nuove strumentazioni di diagnostica che attualmente non sono di facile accesso”.

Siamo in una fase di lavoro attiva molto importante. Lo scompenso è anche la vittoria del nostro operato, gli scompensati crescono perché si è ridotta la mortalità”, ha detto Alessandra Chinaglia, Direttore SC Cardiologia, AOU San Luigi Orbassano TO. “Questo è un dato molto importante, ma bisogna lavorare per passare il lavoro sul territorio per gestire la cronicizzazione della malattia. Per anni la cronicità è stata gestita dagli ospedali, ma non si deve continuare così. Noi dobbiamo lavorare per ridurre l’ospedalizzazione e la mortalità a trenta giorni. Le novità farmacologiche hanno un impatto fortissimo cambiando la storia naturale della malattia. Tutti i Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) si sforzano di creare una rete e dei punti di osservazione del paziente, il PDTA però poi lo fanno le persone e le persone necessitano di essere formate adeguatamente sullo scompenso cardiaco. Quindi il PDTA deve essere sostenuto da una potente informazione e formazione. Servono dei meccanismi per continuare a seguire il paziente nel tempo per garantire l’adeguatezza e l’aderenza delle cure, inserendo quando necessario le novità farmacologiche nel loro percorso di cure. Il PDTA deve inoltre garantire l’accesso alle cure raccomandate anche ai pazienti che non entrano in contatto con l’ospedale, ma solo con il territorio”.

Ha parlato di PDTA anche Franco Ripa, Responsabile Programmazione Sanitaria e Socio- sanitaria, Vicario Direzione Sanità e Welfare Regione Piemonte: “Il vero problema è che il PDTA è ormai vecchio, perché purtroppo sono strumenti molto utili davanti a pazienti con monopatologia, situazione che allo stato attuale è poco riscontrabile visto che la popolazione è sempre più multicronica. Bisogna passare alla logica dei piani assistenziali individuali, un passaggio però molto complesso da realizzare. Chiaro che tutto questo non è indolore, diventa a questo punto fondamentale creare equilibri e sinergie tra chi si occupa di management e chi si occupa di approccio clinico/assistenziale. È chiaro che l’innovazione va introdotta, ma abbiamo anche un problema di sostenibilità”.

Psoriasi Toscana: permangono grosse criticità nonostante la disponibilità di terapie efficaci e innovative che hanno come obiettivo la guarigione completa

Due i punti da attenzionare: in primis l’accesso non equo alle cure sullo stesso territorio nazionale – imputabile alla forte eterogeneità tra le Regioni – e il sotto trattamento.

23 novembre 2022 – “Lottare, lottare, lottare. La prima cosa che dobbiamo fare è cominciare a ritenere la psoriasi alla stregua delle altre malattie; poi è necessario fare più informazione e, nelle regioni, potere sedere ai tavoli decisionali per portare la voce delle persone con psoriasi. Infine, fare in modo che la psoriasi entri nel piano di cronicità al secondo livello”.

Un appello, l’ennesimo, quello di Valeria Corazza, Presidente APIAFCO (Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza), all’evento PSORIASI – IO LA VIVO SULLA MIA PELLE, MA TU SAI COSA VUOL DIRE? Focus Toscana, promosso da Motore Sanità, con il contributo incondizionato di UCB.

Nella nuova tappa del road map dedicata alla psoriasi, la Toscana, si sono espressi gli esperti – clinici, farmacisti, associazioni, politici – portando il loro punto di vista su una malattia che porta con sé un peso sociale, psicologico ed economico non indifferente, la psoriasi. Una malattia infiammatoria cronica della pelle che si manifesta con aree ispessite (placche eritematose) ricoperte da squame di colorito grigio-argenteo che, in alcuni casi, possono dare prurito (pruriginose). In genere, le placche sono localizzate a livello dei gomiti, delle ginocchia, del cuoio capelluto, del viso, delle mani e dei piedi, ma possono essere presenti anche in altre parti del corpo.

La psoriasi può insorgere a qualsiasi età, senza differenza tra uomini e donne, ma in genere compare per la prima volta tra i 15 ed i 35 anni. Su 1milione e 400mila italiani che ne soffrono – secondo le più recenti stime del CliCon Economics & Outcomes Research – circa 56mila sono in cura con farmaci biologici (il 4%), ai quali si somma un numero lievemente inferiore di pazienti potenzialmente eleggibili alla terapia biologica (34mila).

Valeria Corazza, Presidente APIAFCO (Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza), ha portato la sua testimonianza da paziente: “In quanto malattia cronica, la psoriasi richiede un’assistenza continua e permanente, una condizione che evidentemente deteriora la qualità della vita di chi ne soffre; in quanto malattia multifattoriale è spesso accompagnata da comorbidità, ossia dalla presenza contemporanea di altre patologie, e segnatamente: 1 nel 33% dei pazienti psoriasici, 2 nel 19%, 3 nell’8%. È chiaro che il paziente deve avere, da subito, una presa in carico multidisciplinare. Curare, prontamente, le comorbidità significa potere avere una buona qualità di vita e risparmiare sui costi a lungo termine. Eppure, è proprio su questa opportunità che si registrano le maggiori criticità, in primis l’accesso non equo alle cure sullo stesso territorio nazionale – imputabile alla forte eterogeneità tra le Regioni – e il sotto trattamento nonostante la disponibilità di terapie efficaci e innovative che hanno come obiettivo il PASI 100, ovvero la guarigione completa”.

Di PASI 100 ha parlato anche Francesca Prignano, Professore Associato Malattie Cutanee e Veneree Dipartimento della Scienza e della Salute Università degli Studi di Firenze: “Si punta sul PASI 100 per ottenere una completa clearance cutanea. Una perfetta pulizia della pelle correla in maniera significativa con una migliore qualità della vita. Questo preciso obiettivo, che si può raggiungere solo con biologici innovativi, impatta sul costo diretto del farmaco ma riduce i costi indiretti: terapie topiche e/o sistemiche per sinergizzare gli anti-TNF-alpha, gli accessi ospedalieri non programmati, follow-up più ravvicinati ed eventuali switch. Per il clinico non è importante solo il PASI 100 o 90, ma è fondamentale la tenuta nel tempo del farmaco e il profilo di sicurezza”.

Sulla sottodiagnosi della psoriasi, si è spesa Elisabetta Alti, FIMMG Firenze e Direttore Dipartimento Medicina Generale AUSL Toscana Centro: “Presso lo studio di un medico di medicina generale si contano circa 50 pazienti che potrebbero avere questa diagnosi e di questi almeno 10 hanno una psoriasi severa. È vero che esiste la sottodiagnosi ma dobbiamo anche, oltre ad una diagnosi rapida e strutturata, stadiare la malattia e inviare allo specialista solo le forme che richiedono un secondo livello o una diagnosi non chiara in modo da risparmiare le risorse disponibili. Il mancato invio è anche a volte un problema di deficit di avvio allo specialista, per liste di attesa, per scarsa conoscenza, non conoscenza di liste di attesa, di scarsa conoscenza di percorsi strutturati”.

Francesco Attanasio, Politiche del Farmaco e dispositivi, Direzione diritti di cittadinanza e coesione sociale Regione Toscana ha messo in evidenza i passi che sta facendo la Regione Toscana per affrontare la malattia. “In questi anni abbiamo cercato di trattare i pazienti investendo sui farmaci biosimilari e questo ci ha permesso di avere una spesa farmaceutica appropriata. Inoltre, in Toscana abbiamo creato un sistema di prescrizione digitale per gestire tutte le prescrizioni specialistiche in regione. Le funzioni digitalizzate rendono il tutto più efficiente. Inoltre attraverso ptweb tutte le prescrizioni specialistiche, su tutti i farmaci e specialità, vengono automaticamente inviate anche sulla cartella elettronica del paziente rendendole visibili sia agli specialisti che ai medici di medicina generale che hanno in carico il paziente”.

Sul piano più strettamente economico è intervenuto Giuseppe Turchetti, Professore Ordinario Management Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa. “Il sistema purtroppo è disegnato in un modo che divide le diverse voci di spesa che atterrano su diversi capitoli di spesa che hanno un tetto – ha concluso Giuseppe Turchetti – Questo rischia di farci concentrare sul rimanere all’interno dei tetti e non di gestire in maniera complessiva la spesa per la gestione del paziente. Bisogna però evitare la conflittualità nel ragionamento attraverso uno stretto dialogo tra tutti i diversi attori del sistema; in secondo luogo è necessario introdurre dei meccanismi di incentivo per tutti gli operatori che vadano a premiare le azioni che portano ad una maggiore appropriatezza di cure. Dobbiamo quindi provare ad immaginare dei meccanismi che premino le unità operative che applicano comportamenti virtuosi. Dovremmo sfruttare l’occasione del PNRR per modificare i meccanismi di remunerazione da un sistema a capitoli di spesa ad uno integrativo di tutto il percorso di cura del paziente”.

Luca Degli Esposti, Amministratore CliCon S.r.l Società Benefit – Health, Economics & Outcomes Research ha, infine, sottolineato che la psoriasi non è solamente farmaci e spesa farmaceutica ma, soprattutto, controllo della patologia e degli esiti ad essa associata. Tuttavia, mentre il rispetto di precisi vincoli di spesa sui farmaci è formalmente richiamato dalla normativa nazionale, la gestione della patologia non trova un riscontro nel sistema di garanzia e nei livelli assistenziali. Rischiamo, in sostanza, uno sbilanciamento dell’attenzione verso la spesa farmaceutica piuttosto che verso la patologia nel suo complesso. “La psoriasi conta circa 1.5 milioni di pazienti a livello nazionale di cui circa 55mila in trattamento con farmaci biologici. Se ne stimano altrettanti con i criteri di eleggibilità al biologico (sotto-trattamento) ma, d’altro lato, circa i tre quarti di quelli che iniziato un biologico non hanno precedentemente ottimizzato la terapia con farmaci sistemici come raccomandato dalle raccomandazioni terapeutiche (sovra-trattamento). Serve, quindi, una rifocalizzazione della metrica di valutazione dell’appropriatezza prescrittiva dall’analisi dei semplici consumi, che quasi niente ci dice rispetto al corretto uso dei farmaci, all’analisi dell’aderenza alle raccomandazioni terapeutica che, per definizione, rappresenta la condizione per migliorare la gestione della malattia“.