Nelle CAR-T il farmacista ospedaliero è sempre di più una figura strategica all’interno dei team multidisciplinari e nel garantire requisiti di qualità e sicurezza del medicinale

La figura professionale del farmacista ospedaliero sta attraversando un cambiamento radicale che richiede, oltre a quelle scientifiche già acquisite durante il percorso di studi e di specializzazione, nuove competenze tecniche a 360° gradi. La spinta a questo forte cambiamento professionale arriva da un’innovazione che porta il sistema di cure a traguardi impensabili, fino a qualche anno fa. Quando si parla di CAR-T, non si tratta più di avere solo forti competenze su gestione e approvvigionamento di materiali e servizi, di pianificazione e gestione delle scorte, di farmacovigilanza, servono elementi di economia sanitaria, HTA, competenze su strumenti statistici, di data integrity ed informatici, competenze organizzative e di management nella cogestione e interazione di team multidisciplinari/multiprofessionali. Le CAR-T sono un esempio rappresentativo di questo nuovo scenario, prevedendo una solida rete di conoscenze tra i diversi professionisti.

Per fare il punto della situazione, Motore Sanità ha organizzato l’evento “CAR-T. QUALI NUOVE COMPETENZE PER IL FARMACISTA OSPEDALIERO?” con il contributo incondizionato di CELGENE | BRISTOL MYERS SQUIBB COMPANY e GILEAD. Obiettivo: guardare allo sviluppo futuro diffuso delle terapie CART, fare rete e condividere buone pratiche e soluzioni già adottate durante le prime esperienze di impiego nei pochi attuali centri di riferimento.

L’innovazione portata dalle CAR-T rappresenta uno dei traguardi medici più importanti del nuovo secolo nella battaglia contro i tumori. Ai loro successi e al loro sviluppo futuro sono stati dedicati centinaia di lavori ma tutti devono essere pronti. All’interno dei CAR-T team la figura del farmacista è senz’altro una figura centrale che deve portare valore aggiunto non solo in termini amministrativi o di farmacovigilanza, ma anche in termini organizzativi, di raccolta dati, di ricerca, di appropriatezza degli interventiVincenzo Lolli, Direttore dell’UOC Farmacia degli Ospedali Riuniti di Padova Sud, ha spiegato: “Come segreteria regionale della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei servizi farmaceutici delle aziende sanitarie (SIFO) del Veneto abbiamo ritenuto importante sviluppare questo argomento perché la nostra professione si sta sviluppando in ambiti sempre più tecnologici con competenze che fino a qualche anno fa non erano immaginabiliOltre alla gestione della radioterapia, infatti, le nostre competenze oggi si allargano anche ad altri orizzonti, verso cioè terapie innovative, come le Car-T, in cui il farmacista ospedaliero funge da ruolo “ponte” che gestisce il processo”.

Stefania Pretto, Farmacista presso l’Ospedale San Bortolo di Vicenza dell’ULSS 8 Berica, ha aggiunto: “Il ruolo del farmacista ospedaliero nella complessa gestione delle terapie CAR-T,  per quanto riguarda la nostra esperienza, attesta che oltre a forti competenze sulla logistica,  sulla  farmacovigilanza/dispositivovigilanza, il farmacista ospedaliero è in grado di apportare valore aggiunto anche in termini organizzativi,  di raccolta dati, di ricerca, di appropriatezza degli interventi, manifestando anche competenze di elementi di economia sanitaria, HTA, di management nella cogestione ed interazione di team multidisciplinari/multiprofessionali”.

Maria Chiara Tisi dell’Ematologia di Vicenza dell’ULSS 8 Berica, ha fatto invece il punto sulle nuove terapie CAR-T oggi in commercio, terapie che presso il centro hanno dato importanti risultati, comparabili a quelli degli studi registrativi, sottolineando che il numero di pazienti valutati e trattati è in crescita esponenziale nel tempo. “Le cellule CAR-T (“Chimeric antigen receptor T cell”) hanno portato ad un radicale miglioramento della sopravvivenza dei pazienti affetti da linfomi, con risultati a lungo termine che confermano un mantenimento della risposta a 5 anni di circa il 40%, in pazienti con sopravvivenza mediana di 6 mesi con le terapie precedentemente disponibili. Dall’agosto 2019, quando arrivava la prima approvazione in AIFA, abbiamo assistito a una progressiva ramificazione dei centri di trattamento (centri Hub). I farmaci CAR-T oggi in commercio sono 3, axicabtagene ciloleucel, tisagenlecleucel e brexucabtagene autoleucel, con indicazione nel linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) e linfoma primitivo del mediastino (Axi-Cel), DLBCL e leucemia linfoblastica acuta del bambino e giovane adulto (Tisa-Cel) e linfoma mantellare (Brexu-Cel). Nel corso del tempo le indicazioni AIFA sono state ampliate, per cui oggi possono accedere a questi farmaci pazienti fino a 75 anni di età”.

Che cosa sono le CAR-T e che tipo di gestione del paziente implicano? “Le CAR-T agiscono inducendo una risposta immunitaria contro il tumore nell’organismo, e questo fenomeno si associa ad effetti collaterali specifici, che implicano la gestione del paziente da parte di un team multidisciplinare esperto, che comprenda anche neurologo e rianimatore. Anche la fase organizzativa del processo, con il coinvolgimento di figure di settori diversi, dalla clinica al centro trasfusionale, al farmacista, oltre che l’azienda stessa che produce il farmaco, richiede un lavoro di team. L’impiego di risorse sarà sempre maggiore, in quanto in un prossimo futuro ci aspettiamo approvazione di nuovi farmaci per i linfomi, ma anche per il mieloma multiplo, oltre che l’indicazione in linee di trattamento sempre più precoci”.

Maria Gabelli del Dipartimento della Salute della Donna e del Bambino dell’Università degli Studi di Padova, ha spiegato perché è importante l’utilizzo delle CAR-T: “Rappresentano una nuova strategia terapeutica per ottenere la remissione nei casi refrattari alla chemioterapia convenzionale. Negli studi sulla leucemia linfoblastica acuta (ALL) recidivata o refrattaria, l’80% di pazienti ha ottenuto la remissione dopo CAR-T. Inoltre, sembra che queste cellule possano persistere a lungo e potrebbero garantire una remissione a lungo termine senza l’utilizzo del trapianto allogenico. Rispetto al trapianto o a chemioterapia prolungata, parliamo inoltre di una ridotta tossicità”.

Sulle nuove competenze del farmacista ospedaliero e quindi sul quadro della sua formazione specialistica è intervenuto Nicola Realdon, Professore della Scuola di Specializzazione della Farmacia Ospedaliera presso il Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università degli Studi di Padova. “Oggi i farmacisti ospedalieri sono sempre di più coinvolti in team multidisciplinari quindi il tema di discussione è se la formazione che stiamo dando avrà la possibilità di implementare sempre di più questi nuovi approcci e le nuove linee di indirizzo. È in gioco la nostra competenza in un ambito operativo di realizzazione del medicinale ma ancora di più nel garantire i requisiti di qualità, di sicurezza del medicinale. Oggi c’è sempre più necessità di una formazione multidisciplinare di avanzata ricerca scientifica e di terapie avanzate”.

E ancora, Nicola Realdon ha spiegato dove entra in campo il farmacista ospedaliero: “Oggi entriamo in campo nell’approvazione delle terapie prescritte, nell’allestimento secondo NBP delle terapie e nella loro erogazione, nella predisposizione dei trattamenti di supporto al paziente e nella gestione degli effetti avversi, nella validazione delle terapie e verifica della correttezza dei dosaggi, nel controllo della conformità del batch ricevuto, approvazione del prodotto all’azienda e rilascio del prodotto in condizioni ottimali, fino nella realizzazione dei percorsi definiti e codificati, dove il farmacista entra in maniera preponderante, e nella responsabilità farmaco-economica. Le nuove competenze del farmacista ospedaliero vengono trattate, le basi ci sono. Siamo pronti a tutto questo? Se le strutture ci saranno siamo pronti, se non ci saranno abbiamo le risorse, soprattutto con i giovani, per poterli mettere al lavoro e fornire loro un forte apporto per poter costruire risorse, percorsi ed ambiti strutturali. I giovani stanno crescendo come specializzandi e sono pronti ad affrontare le diverse sfide, ne sono convito”.

Talassemia, la Puglia punta sulle nuove terapie e sull’organizzazione della rete tra specialisti e medici di famiglia per una migliore qualità di vita del paziente

Le mielodisplasie e la beta-talassemia sono patologie che comportano anemie severe trasfusione-dipendenti che, oltre a condizionare pesantemente la qualità della vita dei pazienti che ne sono affetti, hanno purtroppo un impatto rilevante sulla loro aspettativa di vita. Tanti ammalati, tante famiglie oggi stanno vivendo un momento di transizione grazie alla recente introduzione di una innovazione: verificano nei fatti i risultati importanti dello studio internazionale BELIEVE che ha dimostrato come con l’impiego del farmaco luspatercept, si riducono sensibilmente il numero di trasfusioni, dal 33 al 50%, nel 70% dei pazienti beta-talassemici gravi, e potrebbero essere liberi da trasfusioni per circa due mesi il 47% dei pazienti con sindrome mielodisplastica. Tutto questo significa: miglioramento della qualità di vita, meno accessi ospedalieri, riduzione dell’accumulo di ferro dovuto alle trasfusioni e riduzione delle possibili complicanze legate agli effetti collaterali dei farmaci ferrochelanti. La rete della talassemia e delle emoglobinopatie non ha ancora avuto seguito con decreto attuativo, ma le risorse stanziate con il PNRR potrebbero essere un interessante punto di partenza. All’attenzione dunque l’esperienza dei centri di ferimento della Puglia, il percorso assistenziale dei pazienti e la riorganizzazione della rete.

Motore Sanità ha fatto il punto della situazione in Puglia, organizzando l’evento “PNRR ED INNOVAZIONE. FOCUS ON BETA-TALASSEMIA ED EMOGLOBINOPATIE” con il contributo incondizionato di CELGENE | BRISTOL MYERS SQUIBB COMPANY.

La talassemia, anche chiamata “anemia mediterranea”, fa parte di un gruppo di anemie ereditarie caratterizzate da un difetto di produzione delle catene proteiche (globine) che formano l’emoglobina. La forma di talassemia più diffusa in Italia è la β-talassemia, nella quale si ha un difetto della produzione delle catene beta, geneticamente trasmesso come carattere autosomico recessivo. In Italia, si stima che i pazienti talassemici siano circa 7.000, con concentrazione massima in alcune regioni del Centro-Sud: la regione più colpita è la Sicilia, in cui si contano 2.500 pazienti, seguita dalla Sardegna con 1.500i restanti 3.000 pazienti sono abbastanza uniformemente distribuiti in tutto il resto della penisola.

Le mielodisplasie, causate da un difetto della cellula staminale del midollo osseo che produce globuli rossi, bianchi e piastrine, ogni anno fanno segnare un’incidenza di 3.000 nuovi casi in Italia. I sintomi compaiono già nei primi mesi di vita e se non si interviene con adeguate terapie le conseguenze possono essere deformazioni ossee, ingrossamento di milza e fegato, problemi di crescita, complicazioni epatiche, endocrine e cardiovascolari. Fino a 50 anni fa l’aspettativa di vita era di 10-15 anni, ma grazie ai risultati della ricerca questa è nettamente migliorata.

In entrambe le patologie la sopravvivenza dei pazienti oggi prevede, oltre a regimi dietetici particolari, trasfusioni ogni 2-3 settimane e assunzione quotidiana di terapia ferrochelante, che eviti i danni da accumulo/intossicazione di ferro in organi vitali (cuore, fegato e pancreas).

La Asl di Brindisi, impegnata nello sviluppo di una rete ematologica che sta compiendo i primi importanti passi, ha accolto questo importante dibattito e Flavio Maria Roseto, Direttore Generale dell’ASL di Brindisi ha spiegato il perché: “Ben venga il focus dedicato a possibili innovazioni terapeutiche che possano migliorare la vita delle persone affette da talassemia e anche allungarne l’aspettativa di vita stessa. La finalità è sicuramente degna della massima attenzione”. Poi sulle nuove terapie oggi disponibili ha aggiunto: “Ci sono terapie farmacologiche nuove che riducono, al pari delle terapie geniche, la necessità di un numero elevato di trasfusioni riducendo così anche l’accumulo di ferro che genera altri tipi di problematiche connesse. Siamo in una fase di sperimentazione, ma se i risultati sono interessanti è bene andare veloci”.

Il nuovo farmaco sta cambiando la vita dei pazienti e per questo credo che vada implementato l’utilizzo su più pazienti, ci potrà dare infatti delle grosse soddisfazioni e soprattutto potrà migliorare la qualità di vita dei pazienti” ha spiegato Domenico Pastore, Direttore dell’Ematologia presso l’Ospedale “A. Perrino” di Brindisi. “Il mondo delle talassemie è cambiato. Fortunatamente l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da talassemia è quasi sovrapponibile a quella di una persona normale, questo è sicuramente un successo della ricerca. Questi ultimi anni rappresentano un momento storico molto importante per la medicina personalizzata, per le CART cell e per la terapia genica”.

Non solo l’aspettativa di vita dei pazienti è cambiatanegli ultimi anni anche l’approccio del clinico nella cura della talassemiaLo ha spiegato, prima di parlare di novità terapeutiche, Anna Maria Pasanisi, Dirigente Medico dell’UOC di Ematologia presso l’Ospedale “A. Perrino” di Brindisi. “Se prima si trattava quasi di sopravvivenza, di portare ad una certa età, la più lontana possibile, i pazienti, adesso si parla non solo di compenso clinico e prevenzione delle complicanze, che sono garantite sicuramente dalla terapia salvavita fondamentale trasfusionale e ferrochelante, ma le procedure trapiantologiche, che già esistevano e saranno implementate da tecniche di editing genomico, possono anche essere una promessa di guarigione, sicuramente di miglioramento della qualità di vita, insieme ai nuovi farmaci che già stiamo utilizzando, ancora in fase di sperimentazione. Questi nuovi farmaci ci fanno vedere la talassemia non più come una malattia incurabile, forse guaribile, ma se non guaribile è una malattia che può portare il nostro paziente ad un’età geriatrica”.

E l’esperienza presso il centro brindisino lo dimostra. Tra i nuovi farmaci oggi utilizzati, c’è luspatercept. “È stato recentemente messo in commercio e il centro di Brindisi lo segue già dai tempi dello studio BELIEVE e oggi siamo nella fase di follow up post trattamento – ha proseguito Anna Maria Pasanisi -. Abbiamo arruolato 7 pazienti in uso compassionevole da maggio 2021, attualmente 10 pazienti sono in terapia con follow up variabili, le tossicità sono ridotte e abbiamo avuto discontinuazione per desiderio di maternità in due pazienti. Il dato interessante è che cinque pazienti su 10, a 8 e a 12 mesi dal trattamento, hanno ridotto in maniera significativa la loro necessità trasfusionale. Questo per noi è fondamentale, lo è per i pazienti, per le complicanze, ma lo è anche per la gestione della loro cura perché la nostra regione, purtroppo, presenta spesso delle problematiche legate alla carenza di sangue. La questione aperta riguarda la necessità di inserire nel Pdta il farmaco nuovo, che potrebbe essere gestito dal territorio con il monitoraggio degli specialisti attraverso la telemedicina”.

Antonella Miccoli, Responsabile del Centro Trasfusionale dell’Ospedale “A. Perrino” di Brindisi ha sottolineato il nodo cruciale: la carenza di sangue, appunto. “Avere poco sangue significa dare poca possibilità ai pazienti cronici di svolgere una qualità di vita ottima. Quindi ben venga il farmaco, ben venga la diminuzione dell’apporto trasfusionale, ma questo non perché le scorte devono diminuire o devono aumentare, ma per la qualità di vita, per la diminuzione dell’apporto trasfusione che si dà al microcitemico con tutte le complicazioni che derivano dall’apporto trasfusionale stesso. Uno dei miei obiettivi da sempre è cercare di essere autosufficienti e di dare sempre di più un apporto trasfusionale qualitativamente migliore a chi ne ha bisogno”.

Sul fronte delle malattie rare è intervenuta, infine, Giuseppina Annicchiarico, Referente Malattie Rare Co.Re.Mar. “Il Coordinamento malattie rare, grazie al Sistema informativo malattie rare (SIMaRRP) monitora le esigenze della Rete regionale pugliese. I centri della ReMaR per la diagnosi e presa in carico dei pazienti affetti da talassemia sono stati identificati con DGR 329/2018 ed integrati con DGR 712/2018 (PDTA Talassemia). Il codice di esenzione RDG010 raccoglie tutte le “anemie ereditarie”, comprese le entità nosologiche riferite alla talassemia. Con il codice di esenzione RDG010 risultano sul sistema informativo malattie rare (SIMaRRP), al 1° luglio 2022 circa 1.200 certificati di diagnosi. I pazienti pugliesi con codice esenzione RDG010 ed entità nosologiche ricollegabili alla talassemia sono 781. Di questi 101 sono minori di 19 anni”.

Poi la professoressa Annicchiarico ha aggiunto un punto cruciale: “La complessità dell’assistenza ai bambini e alle persone con malattia rara richiede un grande ed impegnativo sforzo organizzativo. Tutto questo è possibile grazie a modelli di presa in carico che tengano conto dello stretto collegamento funzionale tra la Macrorete, reti regionali e nazionale malattie rare degli ospedali, centri malattie rare, e la Microrete di assistenza territoriale. In questo contesto, le aziende sanitarie locali svolgono un ruolo centrale nel perseguire il miglior livello di “qualità di vita” del malato e della famiglia, compatibile con le condizioni cliniche, sociali ed economiche. L’obiettivo è semplificare e armonizzare i percorsi di cura dei circa 26.000 malati rari pugliesi affetti da 2.000 diverse malattie rare e ultra-rare e rispondere al principio di equità sancito dalla Costituzione italiana”.

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Antimicrobico resistenza: servono più formazione e prevenzione negli ospedali e metodi di valutazione degli antibiotici che seguano la logica dell’HTA

Una terapia antibiotica appropriata, è ormai dimostrato in maniera incontrovertibile da numerosi studi, è associata a degenze ospedaliere più brevi, ad una minore mortalità nei pazienti, con un importante ritorno economico e sociale e un impatto fondamentale sui modelli organizzativi gestionali. L’antimicrobico resistenza (AMR) è un fenomeno globale da gestire attraverso strumenti come formazione, prevenzione, metodologie di valutazione degli antibiotici che seguano la logica dell’Health technology assessment (HTA), ragionare su nuovi criteri per il conferimento di status di farmaco-innovativo a nuovi antibiotici contro ceppi antibatterici resistenti e su modelli di rimborso ad hoc per i nuovi antibiotici attivi anche per le resistenze batteriche. Insomma, clinici ed economisti sono concordi nell’affermare che ci vuole un cambio di paradigma, perché altrimenti il rischio è che non si facciano più investimenti su nuovi antibiotici, con il rischio di non avere più alternative per trattare in maniera appropriata i pazienti che vengono colpiti da queste infezioni.  

Motore Sanità ha organizzato l’evento “NUOVI MODELLI DI GOVERNANCE OSPEDALIERA PER GLI ANTIBIOTICI INNOVATIVI: DA UN ACCESSO RAZIONATO A UN ACCESSO RAZIONALE E APPROPRIATO – PUGLIA” organizzato con il contributo non condizionante di MENARINI, per riportare al centro dell’attenzione il tema dell’AMR che in questi due anni è stato retrocesso dall’emergenza pandemica e che continua ad avere una rilevanza che non può essere ignorata e i grandi ospedali italiani devono affrontare. Motore Sanità, che il 10 febbraio 2020 presso il Policlinico di Bari dell’ospedale “Giovanni XXIII”, realizzò un importante convegno sull’AMR e per la prima volta venne lanciata la proposta di una stewardship antibiotica, ha organizzato il tavolo di lavoro con l’obiettivo di ricercare un corretto e condiviso place in therapy che rappresenti un uso ragionato e razionale degli antibiotici piuttosto che solamente razionato.

Annamaria Minicucci, Direttore Sanitario dell’AOU Policlinico di Bari Ospedale “Giovanni XXIII”, ha spiegato che bisogna riuscire a tenere insieme due aspetti, avere farmaci innovativi e considerare i costi, in quanto la sostenibilità del sistema sanitario deve andare di pari passo con la possibilità di avere farmaci innovativi. Tutto questo si concilia con sistemi di prevenzione per le infezioni nosocomiali e questo comporta la realizzazione di un sistema stabile. A tale proposito da un anno abbiamo individuato un gruppo multidisciplinare, con tre gruppi di controllo, formato da clinici, infettivologi, microbiologi, assistenti sanitari, farmacisti, medici igienisti, che sta dando importanti risultati, come per esempio la raccolta di dati che saranno oggetto di una presentazione. Per poter usare razionalmente i farmaci si deve partire dalla prevenzione delle infezioni nosocomiali”.

Prevenzione ma anche formazione: questi i temi portati da Alessandro Dell’Erba, Presidente della Scuola di Medicina e Professore Ordinario presso il Dipartimento Interdisciplinare di Medicina, presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”: “La prevenzione è importante ma determinate forme di prevenzione da sole non sono sufficienti. Da questo punto di vista un ruolo centrale lo deve fare la formazione che non può essere limitata ai soli corsi, ma deve cominciare all’interno del percorso di studi dello studente di Medicina, perché solo con una consapevolezza innata si può pensare di contenere un fenomeno di difficilissima eradicazione”.

Proprio in relazione alle infezioni correlate all’assistenza, agli antibiotici, ai nuovi modelli di governance, la Scuola di Medicina ha proposto alla Regione Puglia una azione PNRR correlata. “Si tratta di un piano di formazione che prevede una serie di circa 120 incontri al fine di creare una base condivisa di competenze e una rete regionale – ha aggiunto Dell’Erba -. Mi auguro che con il supporto della governance clinica della nostra direzione strategica e il supporto della Scuola di Medicina nella sua funzione formativa, si possa sviluppare un sistema aziendale e regionale che ci consenta di avere un cruscotto allargato che permetta di monitorare costantemente i flussi delle infezioni aiutandoci così ad utilizzare gli antibiotici innovativi che dobbiamo aspettarci”.  

Désirée Linda Isola Caselli, Direttore dell’UOC di Malattie Infettive presso l’Ospedale Pediatrico “Giovanni XXIII” AOU Policlinico di Bari, che ha ricordato che dal 2015 al 2021 sono stati approvati dall’FDA “soltanto” 16 nuovi antibiotici, ha messo in evidenza che “oltre alla sorveglianza delle infezioni, all’uso attento degli antibiotici, alla riduzione della diffusione da persona a persona attraverso lo screening, sono necessarie terapie, educazione e sensibilizzazione del personale sanitario e degli studenti”.

Se Lidia Dalfino, Dirigente Medico presso UO Anestesia Rianimazione dell’AOU Policlinico Bari Ospedale “Giovanni XXIII”, ha evidenziato quanto sia importante la rapidità di intervento in teamAnnalisa Cirulli, Dirigente Medico di I livello (Guido Baccelli) dell’AOU Policlinico di Bari, Ospedale “Giovanni XXIII”, ha spiegato che “le percentuali di infezioni in Medicina interna sono rilevanti, considerando anche che molte volte i pazienti sono immunodepressi e di difficile gestione. Ecco che la formazione è fondamentale per evitare le infezioni e per insegnare meglio le terapie antibiotiche, e la formazione non riguarda solo gli specializzandi ma anche i medici strutturati. E infine c’è il tema della prevenzione che deve riguardare tutto il personale sanitario”.

Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria, EEHTA CEIS e Presidente della Società Italiana di Health Tecnology Assessment – SIHTA, ha sottolineato che “i risultati delle analisi svolte sono fondamentali per informare i decisori in merito all’adozione dei protocolli di antimicrobico stewardship e la gestione delle infezioni, in maniera tale che si possa disegnare un percorso che permetta la valorizzazione a 360 gradi, dell’impatto in termini di risorse e costi, su tutto il percorso assistenziale proprio con  riferimento agli antibiotici di nuova generazione. Ovviamente bisogna superare la logica dei silos, perché l’impatto di un farmaco o l’impatto di una tecnologia non si esaurisce dal punto di vista anche economico nel micro-silos della spesa per farmaci o della spesa per dispositivi, ecc., ma fortunatamente l’impatto esprime tutti i suoi effetti su tutto il percorso del paziente (riduzione dei farmaci concomitanti, riduzione delle giornate di degenza, riduzione della perdita di produttività, riduzione delle visite, ecc.) e quindi si trasforma in una riduzione importante anche dei costi.

Infine, il professor Mennini ha sottolineato che “Bisogna: fare chiarezza sulla metodologia di valutazione degli antibiotici seguendo di più la logica dell’HTA, soprattutto nell’ottica del nuovo regolamento di HTA che è stato approvato a dicembre 2021 a  livello europeo e che dal 2025 tutti i paesi europei saranno obbligati a seguire; ragionare su nuovi criteri per il conferimento dello status di farmaco-innovativo a nuovi antibiotici contro ceppi antibatterici resistenti perché agevolerà l’accesso più rapido dei pazienti e garantirà loro cure più appropriate; ragionare su modelli di rimborso ad hoc per i nuovi antibiotici attivi anche per le resistenze batteriche. Insomma, ci vuole un cambio di paradigma, lo dimostrano i dati, perché altrimenti il rischio è che non si facciano più investimenti su nuovi antibiotici con il rischio di non avere più alternative per trattare in maniera appropriata i pazienti che vengono colpiti da queste infezioni”. 

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Schizofrenia, focus Veneto. La salute mentale chiede più investimenti, recovery più precoce, riduzione dello stigma e interventi più specifici e appropriati

In Italia sono 245mila i malati di schizofrenia. Secondo i dati solo il 70% dei pazienti risulta incluso in un ciclo di cura; il 47% dei pazienti affetti ha dovuto lasciare il lavoro e il 34% ha dovuto abbandonare gli studi.

Aumentare le risorse economiche destinate alla tutela della salute mentale, favorire il reinserimento dei pazienti nel mondo sociale, ridurre il ricorso alla residenzialità, stimolare gli approcci per percorsi integrati, preferire l’esito clinico al “prezzo” delle cure. Sono questi i principali nodi da sciogliere quando si parla di salute mentale, che nel nostro Paese presenta un quadro allarmante: aumentano le richieste di aiuto mentre le risorse per rendere efficace il percorso di cura e di assistenza del malato psichiatrico risultano essere sempre più scarse. Per quanto riguarda la schizofrenia, sono 245mila in Italia le persone che ne soffrono. È disturbo psichico che esordisce precocemente (tra i 15 e 35 anni), con sintomi complessi, difficilmente decodificabili per i non esperti quali i deliri e le allucinazioni le cui conseguenze possono avere importanti effetti sul progetto di vita della persona e sull’esistenza di chi le vive accanto. Dati di numerosi studi rilevano che il 47% dei pazienti affetti ha dovuto lasciare il lavoro e il 34% ha dovuto abbandonare gli studi.

Motore Sanità per fare il punto della situazione ha organizzato il “TAVOLO REGIONALE SCHIZOFRENIA: FOCUS VENETOcon il contributo incondizionato di ANGELINI PHARMA.

Su una popolazione residente in Italia di circa 61 milioni di persone la schizofrenia ha una prevalenza dello 0,5% e una incidenza, insieme alla psicosi, che va da 4 a 72 per 100mila persone annui. Le persone con schizofrenia sono 303.913 di cui solo il 70% dei pazienti risulta incluso in un ciclo di cura. Dai dati del 2015, risultavano trattati 175.382 pazienti (82,4%), non trattati 37.357 pari al 17,6%; sono trattati con antipsicotici 151.790 pazienti, pari a 86,5% di cui con una terapia 27.566 pazienti, pari al 40%, e con politerapia 60.716 pazienti, pari al 60%, gli altri farmaci rappresentano il 13,5% pari a 23.593 pazienti trattati. Oltre a questi pazienti, c’è un sommerso su cui ancora è importante lavorareI costi della schizofrenia in Italia, secondo i dati del Ministero della salute, sono pari a 2,7 miliardi di euro di cui 1,33 miliardi di euro sono i costi diretti (49,5%) e 1,37 miliardi di euro sono i costi indiretti 50,5%. Nei costi diretti il costo dei farmaci ha un impatto marginale, il più alto impatto è dato dalla residenzialità e dalla long term care; nei costi indiretti le pensioni di invalidità per malattie mentali rappresentano la seconda voce di spesa per l’INPS e la perdita di produttività del paziente è la parte prevalente dei costi della schizofrenia. 

La spesa per la salute mentale rappresenta il 3,49% del totale della spesa sanitaria, questo valore risulta nella prevalenza dei casi fortemente insufficiente, media nazionale che risulta ulteriormente essere stata messa in crisi dalla pandemia dalla mancanza di personale, sia medico che infermieristico, e anche dal fatto che sono state date alla Psichiatria altre competenze che in passato non aveva, come i disturbi dell’alimentazione che incidono in modo importante sulla gestione totale del paziente. Negli ultimi anni poi è aumentata la domanda di presa in carico della fascia giovanile e fino al pre-Covid c’era stato un raddoppiamento rispetto ai 4 anni precedenti del numero di ricoveri di adolescenti e minorenni in clinica psichiatrica. Nei primi mesi del 2020 si è inoltre registrato un aumento esponenziale della domanda di salute dai giovani

Mirella Ruggeri, Direttore UOC di Psichiatria Clinica presso l’AOUI di Verona e Professore Ordinario di Psichiatria presso l’Università di Verona, ha evidenziato che “oggi gli obiettivi prioritari sono diventati la recovery più ampia e precoce possibile delle persone con psicosi all’esordio o con alto rischio di psicosi; la riduzione dello stigma personale e sociale associato alla malattia, l’inclusione sociale di soggetti con psicosi all’esordio o ad alto rischio; garantire interventi specifici e appropriati, basati su evidenze scientifiche e implementati sviluppando una metodologia di lavoro, omogenea, mirata e coesa”.

Poi ha presentato i numeri della schizofrenia, le sue conseguenze e il problema del sommerso: “Pur non essendo il disturbo psichiatrico più frequente, i dati epidemiologici indicano che in Italia sono 245mila i malati di schizofrenia. Vivere con la schizofrenia può comportare la perdita dei ruoli sociali e delle aspirazioni dei pazienti e dei loro familiari. Dati di numerosi studi rilevano che il 47% dei pazienti affetti ha dovuto lasciare il lavoro e il 34% ha dovuto abbandonare gli studi. E se l’impatto sociale è così pesante sui malati, questo peso non potrà non traferirsi sui compiti di assistenza e i vissuti emotivi di quanti stanno loro intorno, i familiari in primis”.

“A dare speranza ai pazienti e ai familiari negli ultimi decenni – ha aggiunto Mirella Ruggeri – sono gli studi che si sono concentrati sulla individuazione precoce dell’esordio psicotico che è mirata ad ottimizzare il sistema di riconoscimento dei soggetti ad alto rischio e/o con esordio psicotico. Sempre più diffusa (anche se non sempre sufficiente) è diventata prassi la presa in carico integrata da parte dei servizi territoriali finalizzata ad una recovery clinica, personale e sociale più ampia possibile. Il Dipartimento di salute mentale, i distretti sanitari, i servizi sociali, il volontariato e il privato-sociale hanno contribuito a realizzare una rete di prossimità con i medici di medicina generale, centri adolescenza e scuole, per migliorare l’individuazione precoce e la presa in carico assistenziale”.

Giuseppe Imperadore, Responsabile della UOC di Psichiatria 1 dell’ULSS 9 Scaligera, ha evidenziato che “la psichiatria viene vista, anche dagli addetti ai lavori e dal mondo medico come una pratica molto aspecifica e quindi difficile da valutare: penso al tema della residenzialità o ai disturbi borderline di personalità, altro esempio di diagnosi specifica che richiede una organizzazione e una competenza che non può, anche qui, essere generalista. Quindi se aumentiamo la specificità dei nostri interventi e siamo in grado di spiegarla nei termini ovviamente corretti sia nell’ambito delle nostre sedi ma anche agli amministratori, penso che possiamo far capire meglio qual è la valenza di un’area come la psichiatria che è molto avanti rispetto ad altre aree della medicina (dal concetto di continuità ospedale-territorio alle dimissioni protette, alla individuazione dei pazienti sul territorio). Pertanto penso che dare più specificità alla psichiatria e renderla un’area più facilmente leggibile sia la strada che dobbiamo seguire”.

Il problema dello stigma è un problema enorme. “Riguarda non solo i pazienti ma anche l’area psichiatrica come viene vista all’interno degli ospedali generali o come viene vista anche all’interno delle situazioni sanitarie – ha aggiunto Giuseppe Imperadore -. Ancora adesso il paziente affetto da un disturbo psichiatrico può essere visto in maniera diversa anche da parte dei colleghi. Credo che lavorare sullo stigma vuol dire poter fare una reale psico-educazione a tutti, pazienti compresi, in maniera che si possa fin dall’inizio dare una immagine del nostro intervento che non è “farmaci sì” o “farmaci no” ma è una serie di interventi che, al pari di altre discipline della Medicina, si basano su evidenze disponibili in letteratura che vanno cambiate con il progredire delle conoscenze e che possono essere presentate con pari dignità rispetto a molti altri progetti di cura che fanno da molto tempo i nostri colleghi. Penso che su questo bisogna investire aspettando e sperando che l’investimento economico permetta di poter dare risorse e capillarità ai nostri interventi. Nonostante le difficoltà, nella regione Veneto si sono fatti dei passi in avanti soprattutto nel garantire una maggiore specificità degli interventi”.

Giorgio Pigato, Responsabile dell’UO del Servizio Psichiatrico presso la Clinica Psichiatrica dell’AOUP ha infine evidenziato: “Uno dei bisogni irrisolti che andrebbe gestito con maggior precisione è sicuramente l’assesment diagnostico, la possibilità di rivalutare la diagnosi e di ristadiare la malattia schizofrenica nel tempo, ma la specificità e la stadiazione può essere fatta anche quando i pazienti diventano resistenti per terapie inappropriate o perché semplicemente neurobiologicamente sono destinati a sviluppare resistenza. Queste sono due sotto-popolazioni di pazienti resistenti che andrebbero individuati più possibilmente in maniera precisa, con strumenti diagnostici che devono essere implementati nei servizi. Se il rilancio deve essere nell’immediato futuro anche sulla salute mentale visto i fondi che potranno arrivare, un modo per spendere bene queste risorse sarà quello di obbligarci, anche a livello formativo, a creare degli psichiatri che, fin dall’inizio, si pongano delle domande per come autovalutare anche l’esito degli interventi e l’esito delle loro diagnosi”.

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Trapianto di fegato, la terapia salvavita che passa dalla generosità.
I clinici e la politica: “Serve fare cultura sulla donazione e un referral precoce sul territorio”.

Le malattie croniche del fegato sono un’emergenza clinica e assistenziale sia a livello mondiale che nazionale. Nel caso di insufficienza epatica irreversibile il trapianto di fegato rappresenta l’opzione fondamentale salvavita. Nel percorso di cura di questi pazienti molte sono le fasi critiche: dal pre-trapianto, con attenta valutazione dell’idoneità a ricevere l’organo e inserimento in lista d’attesa; al trapianto stesso con il percorso di preparazione; alla fase post trapianto e follow-up, nella quale si monitora l’esito dell’intervento e lo stato di salute del paziente. Quest’ultima fase, che dura per tutta la vita per il paziente trapiantato, è importante perché richiede un approccio integrato ed un attento e continuo monitoraggio per la prevenzione del rischio. I nodi cruciali da affrontare sono pertanto: la necessità di sensibilizzare sulla donazione degli organi (un famigliare su tre dice no), di una rete più strutturata tra clinici e associazioni di pazienti, una rete del referral oncologico più solida e il riconoscimento dell’epatopatia nei confronti del quale anche il medico di medicina generale deve fare la sua parte.
Le cause della insufficienza epatica che porta al trapianto di fegato possono essere varie, come ad esempio le infezioni virali (Hcv/Hbu), abuso di alcol, Nash, malattie autoimmuni e malattie oncologiche. Nel 2019 i trapianti di fegato in Italia sono stati 1.302, con un aumento del 42% rispetto al 1999. I dati sulla sopravvivenza post-trapianto, che pongono l’Italia tra i primi posti in Europa, dimostrano che la rete trapianti sviluppata in Italia è molto efficace. Motore Sanità, in occasione dell’evento “Il percorso ad ostacoli del malato di fegato. Focus on Trapianto di fegato”, organizzato con la sponsorizzazione non condizionante di Alfasigma ed Intercept Pharmaceuticals, ha voluto proporre un confronto sulla riorganizzazione della rete trapianti di fegato, che possa consentire un accesso uniforme a tutti i cittadini e una successiva presa in carico efficace nella gestione delle fasi più critiche del percorso.
Ad aprire i lavori è stata Paola Binetti, Componente della XII Commissione Permanente (Igiene e Sanità) del Senato della Repubblica portando all’attenzione due temi cruciali: aumentare la cultura della donazione degli organi e potenziare la formazione del medico di medicina generale in funzione di una diagnosi precoce della malattia epatica.
“La cultura della donazione degli organi – ha spiegato la senatrice Binetti – è necessario cominciarla nelle scuole e dobbiamo anche trovare il linguaggio adatto per fare questo nel modo migliore. Quanto al medico di medicina generale l’obiettivo è continuare a sottolineare che spesso ancora oggi non è in grado di sospettare la presenza di una malattia epatica cronica. Per questo il tema della formazione del medico di medicina generale è fondamentale anche in funzione di una diagnosi precoce e per questo chiediamo al mondo sanitario di alzare il livello della sensibilizzazione alla formazione. A tale proposito, vorremmo che una parte dei fondi del PNRR vada alla medicina territoriale ma di pari passo con una positiva, concreta ed esigente elevazione della sua competenza professionale. Mi auguro che ci possa essere maggiore attenzione al territorio ma che questo non
comporti una distrazione da quello che è il sistema ospedaliero di alta specialità e che tutto questo contribuisca a migliorare davvero la qualità della sanità italiana”.
Ivan Gardini, Presidente EpaC, ex paziente sottoposto a trapianto di fegato per due volte, ha ammesso di aver usufruito di una sanità eccellente prima, durante e dopo il trapianto di fegato. Ha voluto sottolineare nel suo intervento il grande lavoro delle associazioni dei pazienti trapiantati che deve essere evidenziato di più e l’esigenza di un referral precoce. “Nel corso del tempo sono nate molte micro associazioni di pazienti trapiantati che si sono affiancate alla rete trapiantologica facendo un lavoro straordinario di accoglienza, di aiuto pratico per i pazienti e per le loro famiglie. Questa rete di associazioni rappresenta una grande risorsa divulgativa ma non viene utilizzata al 100% delle possibilità. Troppo spesso, infatti, vengono coinvolte solo in occasioni circoscritte. Si tratta, invece, di una materia che ha bisogno di una informazione continuativa, per questo sarebbe opportuno parlare di donazione di organi nei percorsi scolastici, nei canali televisivi attraverso momenti educativi ad hoc, proprio per fare cultura della donazione e per recuperare le file dei donatori con l’aiuto di testimonial. Infine, è importante utilizzare una comunicazione più efficace sul tema utilizzando parole idonee”.
Circa l’esigenza di un referral precoce, Ivan Gardini ha spiegato: “Ai nostri centralini giungono storie di persone che vengono bloccate all’interno di un ospedale o di un pronto soccorso o di una medicina interna e non vengono inviati in tempo alla valutazione di un centro trapianti, questo non solo rischia di far perdere tempo ma di fare perdere la vita stessa al paziente, in special modo i pazienti con tumore del fegato”.
La parola è poi passata ai clinici che hanno evidenziato l’attuale fase in cui ci si trova a lavorare: della qualità della vita e, soprattutto, dell’ottimizzazione dell’accesso, al quale si aggiunge un cambio epidemiologico rilevante.
“Le consolidate indicazioni al trapianto si stanno riducendo e stanno crescendo due categorie di pazienti molto complesse, gli oncologici ma anche i pazienti metabolici che possono interessare fino al 20%-25% della popolazione, quindi se si parla di prevenzione i nostri paradigmi devono cambiare assolutamente perché tutto questo avrà un impatto sull’accesso alle cure e di conseguenza sull’accesso alle ipotesi di trapianto, un impatto sui criteri di selezione che stiamo già cambiando e dovremo continuare a rendere dinamici – ha spiegato Stefano Fagiuoli, Responsabile della Gastroenterologia e del Centro Trapianti dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo “e poi avrà un impatto clamoroso sulla gestione e la sorveglianza: avremo farmaci sia oncologici che per le malattie metaboliche certamente molto più efficaci, ma non abbiano ancora dei principi e dei corretti modelli di sorveglianza in popolazioni diverse da quelle che abbiamo seguito negli ultimi anni e dobbiamo chiederci se tutto questo può avere un impatto sul decorso. C’è poi un altro aspetto cruciale: l’accesso ai centri, la rete dei centri e il percorso di follow up. Ci dimentichiamo che le reti sono faticosissime da costruire, devono avere precise regole di comunicazione anche dal punto di vista contrattuale e questo non è quasi mai esistente; parliamo di PDTA in maniera estesissima ma dimentichiamo sempre l’aspetto più critico: che devono concludersi con precisi indicatori di processo e di outcome. Il PNRR ci dà un’opportunità clamorosa ma c’è una grande problema di informatizzazione, nessuno dei nostri ospedali è in grado di dialogare reciprocamente, ma sappiamo bene che tutto parte proprio dalla capacità di comunicare”.
Francesca Romana Ponziani, Ricercatore in Medicina Interna presso il Dipartimento di Medicina e Chirurgia Traslazionale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha messo in evidenza l’importanza di usare una comunicazione efficace sulla donazione degli organi e la necessità di un refferal strutturato ed efficace sul territorio.
“E’ importante fare emergere le diverse necessità dei pazienti con malattie ed età diverse, quindi con storie differenti, spesso lunghe altre volte brevi, e questo si associa a vissuti familiari che condizionano la disponibilità alla donazione (in un caso su tre i famigliari dicono no), quindi tanti sforzi in più devono essere fatti soprattutto sull’informazione divulgata attraverso i media e i social e l’informazione che viene fatta tra i medici stessi, in quanto le conoscenze in questo ambito si sviluppano molto velocemente quindi è essenziale l’aggiornamento. I nostri centri dovrebbero essere migliorati dal punto della capacità di ricettività ma anche i colleghi sul territorio dovrebbero essere messi nelle condizioni di poter fare un referral tempestivo in modo che il paziente possa essere seguito in maniera efficace”.


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La carica delle start up: sono il futuro dell’impresa italiana, serve investire di più per farle crescere

Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e sanità digitale, aziende multinazionali e start up, un connubio strategico in un momento storico come quello attuale e al centro della sanità italiana. Il tema è stato portato al tavolo di confronto dai massimi esperti presenti alla “MIDSUMMER SCHOOL 2022 – Disruptive technology e medicina di precisione”, organizzata da Motore Sanità con il contributo incondizionato di Technogenetics, Abbott, Becton Dickinson, Siemens Healthineers e Stago Italia.
Prima di presentare le diverse esperienze di startup e di giovanissime imprese, Andrea Bairati, Presidente AIRI – Associazione Italiana per la Ricerca Industriale, ha aperto i lavori fornendo il punto della situazione sull’attività delle startup in Italia. “In Italia sono state censite e registrate circa 15mila start up innovative, 170 incubatori, il 77% si occupano di servizi, il 18% nell’area manifatturiera, il 4% nel commercio e circa l’1% nella chimica/pharma. Nelle startup lavorano circa 60mila dipendenti. C’è molto fermento, energia competenza, ma si cresce poco e troppo lentamente. Queste imprese sono il futuro della demografia d’impresa, quindi dobbiamo farle crescere anche mettendole in contatto con le imprese di maggiori dimensioni, oltre che con la finanza. Sono limiti superabili: ridurre una politica troppo frammentata, stimolare competenze dei team manager non sempre adeguate, far crescere servizi professionali qualificati, investire risorse nella fase iniziale ad alto rischio e agire sulla comunicazione tra grandi e piccoli”.
Marco Knaflitz, Responsabile dell’Ingegneria Clinica presso il Politecnico di Torino, ha parlato di start up come “imprese giovani ad alto contenuto tecnologico ed innovativo, con forti potenzialità di crescita, però devono possedere delle caratteristiche ben precise per decollare e portare alla società il loro progetto per il quale si sono costituite, altrimenti rischiano di fallire nel loro intento”.
Questo il commento di Antonella Levante, Vice President di IQVIA, azienda globale di big data, clinici e sanitari: “Nel futuro le giovani generazioni faranno fatica a lavorare nelle grandi aziende e nelle pubbliche amministrazioni, quindi se non si trova un modello paese Italia che sfrutti le migliori energie che sono quelle che spesso dal Politecnico finiscono nelle startup, sarà una gravissima perdita. Questo significa però lavorare in patti chiari, trasparenti di partecipazione che non sono semplicemente punteggi nei consorzi che spesso sono difficili da portare a termine, pertanto bisogna guardare ad un modello che vada oltre il PNRR. La spinta vera verrà dalla capacità delle start up di trovare dei grandi partner che assicurino la solidità finanziaria e operativa per portare l’innovazione sul mercato”.
Ettore Simonelli, Senior Digital Health Direzione Prodotti Sanità Engineering ha aggiunto: “Se dobbiamo garantire una medicina e una gestione del percorso di cura diversa per i nostri figli è necessario che ci sia una sinergia tra tutti i componenti”.
Alessandra Poggiani, Director of Administration Human Technopole, ha approfondito il tema dell’intelligenza artificiale. “Nell’ultimo decennio, il numero di dati sanitari e omici generati e archiviati è cresciuto in modo esponenziale e l’intelligenza artificiale sta diventando fondamentale per estrarre informazioni da questa enorme mole di dati, trovare schemi, costruire modelli predittivi ed eseguire simulazioni. L’intelligenza artificiale fornisce infatti una serie di potenti strumenti per gestire la complessità dei sistemi biologici, identificando regolarità nascoste e segnali predittivi. Modelli di deep learning sono già applicati per l’elaborazione di sequenze di Dna, immagini di microscopia e strutture 3D delle proteine, ma nel prossimo futuro saremo in grado di costruire modelli di sistemi biologici ancora più complessi e su larga scala, basandosi sui dati di cellule e tessuti dei singoli pazienti. In prospettiva, grazie alla capacità di “simulare” in-silico gli esperimenti, sarà possibile consentire una validazione delle ipotesi molto più rapida: l’intelligenza artificiale guiderà la progettazione sperimentale, ma soprattutto consentirà di tarare sempre più le cure mediche sulle specifiche esigenze del singolo paziente”.
Giuseppe Anzelmo ha portato l’esperienza di Grifo Multimedia, piccola/media impresa, che si occupa da sempre di digital learning e da una decina di anni è approdata al gioco digitale per la salute in generale con alcune applicazioni particolarmente interessanti sulla riabilitazione. “Forti della nostra esperienza, abbiamo generato la piattaforma Game4Health che, grazie alla filosofia del serius game, tende a motivare e coinvolgere in maniera molto più pro-attiva le persone con malattie croniche sottoposte a riabilitazione. L’approccio è basato sul gioco, quindi è intuitivo e universale. L’obiettivo è quello di migliorare le performance delle terapie utilizzando giochi seri per incrementare l’engagement della persona, supportare l’erogazione di esercizi personalizzati e aiutare le famiglie e i professionisti della salute nella gestione dell’assistenza”.
La piattaforma Game4Health è dotata di sessioni di gioco che si possono fare in clinica o presso le strutture sanitarie e sessioni che si possono scaricare a casa. E in più ha tre app: Tako Doyo, nata per consentire ai piccoli pazienti di gestire il diabete; IamHero per aiutare giovani pazienti con deficit di attenzione e apprendimento (Adhd) a migliorare le proprie skill cognitivo-comportamentali; Motoria, l’app sulla tele-riabilitazione di pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico, Bpco e parkinson (ogni patologia ha esercizi specifici di potenziamento, rispettivamente forza fisica, potenziamento dei muscoli che sostengono la respirazione, processi fisici e cognitivi tramite il ballo).
Presente anche Human Technopole, il nuovo istituto italiano di ricerca per le scienze della vita che contribuisce a stimolare e incrementare gli investimenti pubblici e privati nella ricerca. La ricerca dell’istituto è basata su cinque centri di ricerca interdisciplinari: genomica, neurogenomica, biologia strutturale, biologia computazionale e Health data science.
Anche Pharmaprime era presente: la startup italiana nata nel 2016 per facilitare e supportare la vita quotidiana di pazienti di ogni tipologia e fascia d’età, ovunque si trovino. Gli obiettivi: reperire e consegnare nel più breve tempo possibile medicinali e prodotti farmaceutici, sostenere ed assicurare l’accesso alle cure e l’aderenza al piano terapeutico, garantire ed implementare il benessere e la salute di chiunque, ovunque si trovi.
M2TEST è invece una startup nata con l’obiettivo di migliorare la vita delle persone attraverso la prevenzione dell’osteoporosi, mettendo a punto Bes Test, un test per la valutazione della qualità della struttura ossea utile non solo al momento della diagnosi ma anche nel monitoraggio della malattia.
Eureka InfoMed è un’azienda altamente specializzata nei servizi informativi per le aziende farmaceutiche: medical information e farmacovigilanza. La sua missione è quella di garantire una sicurezza nell’uso dei farmaci e assicurare una comunicazione scientifica puntale e precisa tra le aziende e gli utilizzatori. Collabora con l’Università di Studi di Genova.
L’Associazione Chimica Farmaceutica Lombarda tra titolari di Farmacia, 163 anni di storia, ha evidenziato che i progetti di piccole/medie aziende e start up possono tenere conto delle farmacie per essere sviluppati. “Siamo sopravvissuti, abbiamo sorpassato le pandemia che ci hanno reso più forti, ci siamo adeguati alla tecnologia, pertanto credo che nello spirito di collaborazione che è stato presentato nei precedenti interventi, penso che le farmacie debbano e possano esserci, che i progetti di piccole/medie aziende e start up possono tenere conto delle farmacie per essere messe a terra” ha detto Dario Castelli, Vicepresidente rurale Associazione Chimica Farmaceutica Lombarda tra titolari di Farmacia
Ha chiuso la tavola di confronto Alessandro Ferri, Presidente Advice Pharma, nata come start up all’interno dell’incubatore impresa del Politecnico di Milano per sviluppare software per la ricerca clinica e oggi società di sviluppo software che si è specializzata nella gestione dei trial clinici e di sviluppo di terapie digitali. “Attraverso le competenze si possono ottimizzare le risorse dedicate all’innovazione, spero che il Pnrr oltre a premiare le idee premi anche le competenze”.


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La diagnostica cardiovascolare al centro della disruptive innovation: nuovi biomarcatori scoprono malattie del cuore e non solo

La diagnostica cardiovascolare è sicuramente uno dei campi che negli ultimi anni hanno avuto un incremento tecnologico molto importante. Oggi la diagnostica cardiovascolare si basa su due principali attività: le metodiche di imaging e le metodiche di laboratorio. Le metodiche di imaging hanno permesso di ottenere grandi risultati, basti pensare alla ricostruzione tridimensionale di una valvola mitrale che permette di fornire informazioni precise su dove e come meglio intervenire, o alle metodiche di TC e RM cardiaca, fino ad arrivare alla PET cardiaca che può essere applicata anche alle malattie cardiovascolari, non solo in campo oncologico: essa permette di individuare esattamente l’area infartuata del cuore. Ma la vera rivoluzione nella diagnostica cardiovascolare è sicuramente la diagnostica di laboratorio rappresentata dai cosiddetti biomarcatori e l’utilizzo della troponina cardiaca, biomarcatore cardiospecifico nonché marcatore gold standard per la diagnosi di infarto cardiaco e non solo. Infatti, oggi la troponina cardiaca, misurata con metodiche ad alta sensibilità, è utilizzata anche per la diagnosi di altre patologie cardiovascolari o di complicanze cardiache da parte di altre malattie extra cardiache.  

Marco Perrone, Cardiologo presso l’Università degli Studi di Tor Vergata, nella seconda giornata della “MIDSUMMER SCHOOL 2022 – Disruptive technology e medicina di precisione” di Motore Sanità, organizzata con il contributo incondizionato di Abbott, ha fatto il punto sulla rivoluzione in corso che travolge la diagnostica cardiovascolare. 

A cosa stiamo assistendo Dottor Perrone? 

“La troponina cardiaca misurata con metodiche ad alta sensibilità ci ha permesso di studiare, oltre al già citato infarto, quadri fisiopatologici di interessamento cardiaco prima meno noti. Penso per esempio al suo grande contributo nella cardiologia dello sport: abbiamo scoperto grazie a queste metodiche ad alta sensibilità le differenze nel rilascio di questo biomarcatore tra i pazienti cardiopatici e gli atleti professionisti nello sport. La troponina è inoltre fondamentale anche per la diagnosi di complicanze cardiache collegate al Covid-19 facendoci comprendere che questo virus può colpire anche il cuore. Ma non solo nei pazienti con Covid-19 è stata utile la troponina cardiaca”. 

In quale altro ambito? 

“Abbiamo visto che la troponina cardiaca è importante anche nei quadri di pazienti oncologici che sono sottoposti a radio o chemioterapia. È stato evidenziato che quando questi pazienti subiscono dei trattamenti appunto chemio o radioterapici (ad esempio per tumori ematologici, della mammella, del polmone) può esserci un aumento patologico della troponina cardiaca che ci guida verso una nuova frontiera, la cardio-oncologia. Ma c’è di più”.

Cos’altro? 

“I pazienti ad alto rischio cardiovascolare sottoposti a chirurgia non cardiaca possono incorrere a complicanze fino alla morte duranti questi interventi maggiori. Recenti studi hanno dimostrato che una misurazione combinata di troponina cardiaca e dei peptidi natriuretici (altro biomarcatore cardiospecifico) può aiutarci a stimare il rischio cardiovascolare pre-intervento e permettere ai medici di applicare le dovute precauzioni per portare a termine l’intervento chirurgico in assoluta sicurezza per il paziente. Insomma, oggi abbiamo a disposizione una serie di biomarcatori molecolari che ci permettono di studiare sempre meglio le patologie cardiovascolari, di mettere in campo la più adeguata prevenzione per il trattamento della patologia e di avere una guida adeguata alle terapie per il paziente”. 

Infine, quali novità ci sono nell’ambito della genomica cardiovascolare? 

“Grazie al genoma umano e alla genomica cardiovascolare, negli ultimi 5-10 anni siamo riusciti a caratterizzare malattie che fino a qualche anno fa venivano considerate malattie rare o malattie misconosciute, oggi siamo riusciti a dare un target preciso, un gene o più geni che sono correlati alla malattia e questo è molto importante per la diagnosi precoce e anche per stimare adeguatamente la familiarità. Concludo dicendo che c’è bisogno di una grande integrazione tra i cardiologi e la diagnostica cardiovascolare di laboratorio, ma non bisogna mai dimenticare che i biomarcatori ci aiutano nella nostra attività clinica ma il paziente deve essere sempre al centro della nostra attenzione, quindi si inizia sempre da una adeguata ed attenta visita clinica a cui poi accompagniamo l’utilizzo dei biomarcatori”. 

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Rivoluzione oncologica: analisi del genoma per terapie sempre più precise, efficaci e meno tossiche

Tivoli, 18 luglio 2022 La rivoluzione in Oncologia porta nomi come molecolar tumor board, tecnologia next generation sequencing, intelligenza artificiale con un obiettivo importante: garantire agli ammalati oncologici l’accesso appropriato all’innovazione terapeutica dirompente. Però, se da una parte l’Oncologia è protagonista di una situazione in rapida evoluzione, dall’altra questo richiede un altrettanto rapido adeguamento organizzativo per garantire l’equità, l’accesso all’innovazione e la sostenibilità. La MIDSUMMER SCHOOL 2022 – Disruptive technology e medicina di precisione”, organizzata da Motore Sanità con il contributo incondizionato di Technogenetics, Abbott, Becton Dickinson, Siemens Healthineers e Stago Italia ha dedicato al tema una intera sessione coinvolgendo i massimi esperti italiani in Oncologia. 

Una vera rivoluzione è in atto per quanto riguarda la terapia delle neoplasie ed essa è legata al binomio caratterizzazione molecolare/nuove opportunità di cura” secondo Paolo Pronzato, Direttore dell’Oncologia Medica dell’IRCCS San Martino di Genova e Coordinatore DIAR dell’Oncoematologia di Regione Liguria. “Già da ora l’individuazione delle alterazioni geniche rilevanti per la crescita neoplastica, permette che queste diventino bersagli di farmaci specifici (actionability e druggability).  Approcci estremamente innovativi hanno guardato alla possibilità di ottenere la caratterizzazione genomica di ogni singolo tumore per applicare in ogni singolo caso la molecola corrispondente alla alterazione riscontrata: questo approccio è oggi fattibile grazie alla implementazione di metodiche di indagine genomiche più largamente disponibili (next generation sequencing, ecc); anche l’analisi estesa di molte alterazioni geniche può essere effettuata (sino all’intero patrimonio genico). Quel che può derivare da questo approccio è la disponibilità di numerose nuove informazioni sulle alterazioni geniche di ogni singolo caso. Queste informazioni debbono essere gestite da un team di esperti (molecular tumor board) che possa valutarne l’utilità clinica ed indirizzare i pazienti verso le sedi dove farmaci a bersaglio molecolare sono utilizzati in fase sperimentale, ovvero impiegare i farmaci già disponibili nel rispetto di criteri fondati sull’appropriatezza clinica e sull’attenzione alla sostenibilità. Analogamente ai gruppi multidisciplinari di patologia, ogni Regione si sta dotando di molecolar tumor board in carico alle Reti oncologiche regionali e la Liguria è stata la prima Regione ad adottare questo modello”.

Filippo De Braud, Professore Ordinario di Oncologia Medica e Direttore della Scuola di Specialità in Oncologia Medica dell’Università di Milano e Direttore presso il Dipartimento di Oncologia e Ematoncologia dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano, si è soffermato sui farmaci agnostici e sulle loro caratteristiche. “Le terapie a bersaglio molecolare definiscono una classe di agenti antitumorali capaci di interferire e inibire segnali specifici ed identificabili coinvolti nella crescita e progressione tumorale. Questi farmaci sono quindi caratterizzati da una intrinseca selettività nella loro azione che li rende mediamente più efficaci rispetto ai chemioterapici, ma solo quando si è in presenza del loro bersaglio molecolare specifico. Come conseguenza, in alcune neoplasie la diagnostica dei tumori ha associato alla morfologia e all’immunoistochimica anche l’identificazione dei target molecolari per i quali siano disponibili farmaci. Grazie alla possibilità di studiare contemporaneamente lo stato di centinaia di geni sullo stesso campione, si sono identificati target molecolari presenti e attivi trasversalmente in più tipi di tumore. Da qui è stato possibile dimostrare che neoplasie diverse possono essere trattate con lo stesso farmaco indipendentemente dalla classificazione istologica e questi farmaci sono quindi stati definiti “agnostici”.  Il primo target “agnostico” riconosciuto dalle agenzie regolatorie è stata la presenza di elevata instabilità dei microsatelliti (MSI-H) a cui si associa una maggior sensibilità ai nuovi immunoterapici anche in patologie in cui la immunoterapia non si è dimostrata attiva e successivamente il target NTRK è stato il primo per cui sono stati approvati farmaci con indicazione agnostica. Altri probabili target agnostici sono RET, BRAF, HER2, KRAS etc”. 

Paolo Marchetti, Direttore Scientifico presso l’IRCCS Istituto Dermopatico dell’Immacolata di Roma, ha aggiunto: “Troppo spesso sulla stampa non specialistica il tema della oncologia di precisione ha subito una profonda modificazione che non è chiarissimo il contesto clinico nel quale ci troviamo ad operare. È chiaro che i farmaci agnostici rappresentano un nuovo modello in oncologia. Per applicare la medicina di precisione il primo passo è l’identificazione di fattori predittivi di risposta alla terapia nel singolo paziente, ma non tutti i pazienti hanno accesso agli strumenti istologici più avanzati, proprio per la difficoltà di creare modelli organizzativi in grado di integrare questa innovazione”.

Sulla oncologia di precisione è intervenuto Carmine Pinto, Direttore dell’Oncologia Medica presso il Comprehensive Cancer Centre, IRCCS di Reggio Emilia. L’Oncologia di precisione, che rappresenta uno dei processi innovativi tra i più rilevanti nella storia della moderna Oncologia, si sta sviluppando nel nostro Paese senza averne definito le regole ed i criteri di appropriatezza, e con disuguaglianze nell’accesso dei pazienti ai test molecolari e alle possibili terapie target. Risulta quindi indispensabile un unico programma e una governance nazionale con una condivisione strategica tra tutti gli stakeholders, che ne definiscano regole, organizzazione e risorse in tutti ambiti dall’accesso ai test e ai farmaci fino alle tecnologie, laboratori e percorsi richiesti nell’ambito delle reti oncologiche regionali”.

Secondo il dottor Pinto “questa evoluzione dell’Oncologia di precisione richiede una attenta scelta delle tecnologie di analisi per garantire che esse vengano eseguite secondo criteri di appropriatezza, in tempi adeguati alle necessità cliniche e con le quantità spesso limitate di materiale biologico a disposizione”. “A tale riguardo, l’introduzione nella diagnostica molecolare di tecnologie di sequenziamento parallelo massivo, meglio conosciute come next generation sequencing (NGS), rappresenta un importante contributo tecnologico per far fronte a queste nuove esigenze cliniche. Le tecniche di NGS nella pratica clinica devono essere applicate in neoplasie selezionate in fase avanzata, in funzione del numero di target molecolari da rilevare, della loro complessità e della percentuale di pazienti con biomarcatori approvati dagli enti regolatori e da linee guida nazionali ed internazionali e richiesti sulla base di farmaci disponibili per la pratica clinica. Pertanto un test NGS effettuato per la identificazione di biomarcatori approvati nella pratica clinica rientra nelle normali procedure diagnostiche quando appropriati e validati per scelta terapeutica”.

Sulla base dell’importante impatto epidemiologico ed in considerazione dei livelli di evidenza clinica dei target molecolari secondo l’European Society of Medical Oncology (ESMO) Scale for Clinical Actionability of Molecular Targets  (ESCAT) (Mateo et al, Ann Oncol 2018)  e delle Raccomandazioni dell’ESMO per l’impiego della NGS per pazienti con tumori metastatici (Mosele et al, Ann Oncol 2020),  l’adenocarcinoma del polmone può essere identificato come la principale neoplasia che richiede  analisi NGS. “Questo criterio – ha aggiunto Carmine Pinto – è stato peraltro condiviso dalla comunità scientifica italiana (Pinto et al, Future Oncol 2021). In questa neoplasia, l’impiego di tecnologie di NGS consente la ottimizzazione di utilizzo del campione di tessuto e/o la individuazione di alterazioni recentemente caratterizzate che non potrebbero essere rilevate con altre metodiche di analisi. Per questa neoplasia i pannelli NGS per la pratica clinica potrebbero rivelare la presenza di mutazioni actionable per le quali esistono farmaci già rimborsati dal SSN o comunque già accessibili con diversi programmi”.

La crescita della medicina digitale comporta un aumento esponenziale dei dati clinici e sanitari provenienti da diverse tipologie di fonti. Il clinico si trova così un’enorme mole di dati su cui fare valutazioni, con il rischio di perdersi le informazioni più rilevanti e decisive. Sull’Oncologia predittiva è intervenuta Valeria Sandei, Amministratore Delegato Almawave, sottolineando che “l’intelligenza artificiale in oncologia introduce strumenti di sintesi e predizione abbattendo la struttura a silos dei dati tra tutti i professionisti impattando su esiti e personalizzazione della clinica, mantenendo la centralità decisionale e valutativa dei clinici”. “L’intelligenza artificiale – ha aggiunto – è un vero game changer in questo scenario: parte da numerose informazioni di tipologia e provenienza differente per fare sintesi e stratificare. Il clinico e la sua capacità decisionale torna centrale, con uno strumento che lo supporti e guidi facendo sintesi tra tutti i dati con una visione complessiva e predittiva. L’oncologia ha da sempre grande attenzione ai dati. Questo ne fa uno scenario perfetto per le applicazioni di intelligenza artificiale. Le possibilità offerte dalla digitalizzazione delle informazioni e dall’utilizzo dei Big Data con tecnologie di IA/ML consentono di connettere tra loro le diverse fasi di gestione del paziente. Da tempo, infatti, si vuole fornire ai pazienti terapie specifiche ed un piano dei trattamenti che tengano conto delle esigenze individuali dei pazienti, nel continuo tentativo di conciliare gli aspetti clinici con la qualità della vita lungo tutto il percorso di cura”. 

Infine, Angelo Dei Tos, Professore Ordinario Anatomia Patologica Università Degli Studi di Padova e Direttore UOC Anatomia Patologica AOU Padova ha aggiunto: “In quale contesto vogliamo parlare di profilazioni? Il tema non è tanto l’identificazione dei numerosi target molecolari ma quelle situazioni in cui per diverse ragioni riteniamo che una profilazione estesa del genoma abbia una qualche forma di utilità. Ma ciò che otteniamo da quelle informazioni giustifica l’attenzione protesa verso questo tipo di profilazioni? Analizzando i paper in materia non è ancora stata dimostrata una verà utilità clinica, infatti molti lavori si concludono con l’idea che queste profilazioni non devono essere utilizzate nella pratica routinaria. Possiamo prendere atto che in una prospettiva di ricerca queste attività hanno piena dignità e spazio ma dire che la profilazione estesa ha attualmente un utilizzo per i pazienti oncologici vuol dire qualcosa di non esatto”.

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Robot “postini salvavita”, oncologia di precisione, cure personalizzate: la medicina del futuro è già qui

Luci e ombre di un panorama sanitario futuristico che si mischia con il presente. 

Ecco quanto emerso dalla tre giorni della MIDSUMMER SCHOOL 2022 di Motore Sanità.

Tivoli, 15 luglio 2022 – Ha registrato una grande partecipazione la prima edizione della MIDSUMMER SCHOOL 2022 di Motore Sanità, conclusasi oggi a Tivoli. Tanti i temi trattati durante questa tre giorni di lavori: da “La diagnostica integrata al servizio del paziente”, a “Disruptive technology e medicina di precisione”, fino a “PNRR: disegniamo la sanità del futuro”. Realizzata con il contributo incondizionato di Technogenetics, Abbott, Becton Dickinson, Siemens Healthineers, Stago Italia, Medical Systems e Mindray, ha chiamato a raccolta i massimi esperti nazionali – istituzioni, clinici, stakeholder – con l’obiettivo comune di disegnare la sanità del futuro. Ecco i 10 principali punti emersi:

  • Il laboratorio deve fare da tramite tra ospedale e territorio integrandosi nel team di professionisti coordinato dal Medico di Medicina Generale (MMG e Medici Specialisti) per l’assistenza al paziente cronico utilizzando la Tele-cooperazione, la Telemedicina e la Teleconsulenza; sorvegliando con adeguati indicatori (individuali e collettivi) la compliance del paziente alle tecnologie e all’innovazione.
  • I droni medicali sono sempre più utilizzati: consegne veloci ed economiche di sangue, emoderivati, farmaci salvavita, analisi di test POCT o nel processo di PDTA, potendo raggiungere posti anche territorialmente difficili. Veri e propri “postini-salvavita”. 
  • Anche in Italia si sta costituendo una vera e propria Rete per i pazienti con Tumore Raro e in questo senso stanno lavorando il Ministero e AGENAS, insieme a un gruppo di esperti. L’intento è quello di garantire il percorso del paziente dal sospetto diagnostico sino al luogo di cura ottimale, sfruttando anche la Telemedicina che permette di mettere in collegamento i Centri nazionali di Riferimento con i Centri che hanno in carica i pazienti. 
  • La lotta al tumore ha un nuovo alleato: la radioterapia guidata dalla biologia, con la possibilità di utilizzare marcatori omici (dalla genomica alla proteomica, dalla epigenomica alla radiomica) per caratterizzare sotto questo aspetto il singolo tumore e poter applicare schemi, dosi e modalità di radioterapia personalizzati.
  • L’intelligenza artificiale applicata alla radiologia può affiancare il radiologo durante la refertazione di diversi esami quali radiografie, mammografie, tomografie computerizzate e risonanze magnetiche. Inoltre, l’intelligenza artificiale può supportare il radiologo estraendo dalle immagini informazioni clinicamente rilevanti, ma difficili da valutare per l’occhio umano.
  • Urge riorganizzare l’assistenza territoriale, oggetto di riforma con il PNRR. Come evidenziato dalla pandemia, la carenza di servizi, la distanza dai luoghi di cura e la complessità delle aree urbane e metropolitane, impongono un’innovazione dei modelli organizzativi sanitari territoriali. Per far questo, occorre puntare anche sull’innovazione tecnologica e sulla medicina personalizzata. 
  • L’innovazione farmacologica e tecnologica ha determinato un radicale cambiamento nella cura del Diabete. Da un lato ha migliorato il compenso glicemico e la qualità della vita dei pazienti affetti da DM1 dall’altro, grazie a farmaci in grado di contrastare lo sviluppo delle temibili complicanze cardiovascolari e renali, ha migliorato il trattamento delle persone con DM2. 
  • Nel prossimo futuro l’intelligenza artificiale consentirà di tarare sempre più le cure mediche, personalizzate sulle specifiche esigenze del singolo paziente.
  • L’uso della radiochirurgia per la terapia della fibrillazione ventricolare, una grave forma di aritmia, nella quale è possibile, in casi selezionati e resistenti ai farmaci specifici, praticare una radioablazione del nodo atrio-ventricolare in maniera non invasiva e mirata, in una singola seduta, e consentire il ritorno al normale ritmo cardiaco.    
  • L’Oncologia di precisione si sta sviluppando nel nostro Paese senza averne definito le regole e i criteri di appropriatezza, e con disuguaglianze nell’accesso dei pazienti ai test molecolari e alle possibili terapie target. Risulta quindi indispensabile un unico programma e una governance nazionale con una condivisione strategica tra tutti gli stakeholders, che ne definiscano regole, organizzazione e risorse in tutti gli ambiti: accesso ai test e ai farmaci, tecnologie, laboratori e percorsi richiesti nell’ambito delle reti oncologiche regionali.

Senza l’ausilio e l’utilizzo intensivo della tecnologia non si sarebbe in alcun modo riusciti a gestire l’enorme carico di informazioni che l’emergenza Covid ha comportato”, ha dichiarato il Dottor Claudio Zanon, Direttore Scientifico di Motore Sanità. “La tecnologia dirompente è il collante di una nuova medicina per un Servizio Sanitario Nazionale migliore, integrato e più equo, solo però se a un’evoluzione tecnologica si riesce ad addivenire ad un’evoluzione culturale, con la creazione di nuovi modelli che superino quelli non più rispondenti alle necessità dei cittadini e alla tumultuosa innovazione medica”. 

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Le grandi sfide della sanità: fare rete, investire in personale sanitario, combattere la resistenza all’innovazione tecnologica e al cambiamento

Tivoli, 15 luglio 2022 – Alla “MIDSUMMER SCHOOL 2022 – Disruptive technology e medicina di precisione” di Motore Sanità, organizzata con il contributo incondizionato di Technogenetics, Abbott, Becton Dickinson, Siemens Healthineers e Stago Italia la sessione “Disegniamo la sanità del futuro” ha voluto tracciare quali potranno essere i prossimi passi della sanità italiana con il contributo determinante dei Direttori delle aziende pubbliche e private, per concorrere efficacemente alla realizzazione degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), analizzando tutte le implicazioni ed in particolare la formazione, le competenze e la partecipazione attiva dei vari operatori sanitari.

Il PNRR stanzia circa 20 miliardi di euro per l’implementazione della medicina territoriale e la ristrutturazione dei Dea e dei pronto soccorso negli ospedali nonché per l’aggiornamento e sostituzione della tecnologia ospedaliera obsoleta. Collante del tutto dovrebbe essere rappresentato dalla sanità digitale: fascicolo sanitario, cyber security e telemedicina in primis.

Ha aperto i lavori Fabiola Bologna, Segretario della XII Commissione Affari Sociali Camera Deputati: “In Parlamento abbiamo lavorato molto sul PNRR, strumento che ci dà l’opportunità di trattare le cronicità e non solo. Dobbiamo ridurre gli accessi in pronto soccorso, investire in personale sanitario, combattere la resistenza all’innovazione tecnologica e al cambiamento. Sono tante le sfide che ci aspettano”.

Secondo Luciano Flor, Direttore Generale dell’Area Sanità e Sociale della Regione del Veneto il PNRR è una grandissima occasione di cambiamento strutturale e strumentale. “Non ho alcun timore della tecnologia. Quello che sta succedendo è l’omogeneità dello sviluppo tecnologico. Dobbiamo cominciare a ragionare in termini di diritti dei malati, dobbiamo essere in grado di fare rete, di far chiarezza fra noi professionisti e i cittadini”.

Giuseppe Quintavalle, Direttore Generale del Policlinico Tor Vergata di Roma, ha domandato: “le terapie predittive e personalizzate con che cosa le sosteremo? Il PNRR parla di costruzioni meravigliose e noi siamo i primi ad avere la possibilità di attivare un ospedale di comunità, delle centrali operative territoriali condivise e cogestite con il territorio, ma non si è parlato mai di personale che è un altro punto importante. Altro aspetto da considerare è poi la formazione sui nuovi device e sui nuovi farmaci”. E ancora: “Riusciremo con le case e gli ospedali di comunità a superare il gap famoso di inappropriatezza che abbiamo? Dovremmo lavorare sulla inappropriatezza in maniera importante attraverso la prevenzione, la comunicazione e dei percorsi diagnostici”. 

Stefano Taraglio, Direttore Sanitario dell’ASL Città di Torino ha portato l’esperienza piemontese della telemedicina, stato dell’arte e prospettive. In Piemonte, e a Torino in particolare, la pandemia ha evidenziato, sin dall’inizio, la necessità di attivare strumenti informatici in grado di prendere in carico le segnalazioni di contagio, gestire il contact tracing, monitorare i pazienti Covid- positivi, nonché prenotare ed effettuare tamponi.  A questi si sono aggiunti l’utilizzo di una App in grado di monitorare costantemente i parametri clinici, strumentali e laboratoristici dei pazienti e, a seguito della creazione, nel luglio 2020, del Dipartimento interaziendale regionale per le malattie e le emergenze infettive (Dirmei), è stato anche attivato un call center regionale con funzioni di servizio e di supporto per problematiche Covid (green pass e vaccini). Senza l’ausilio e l’utilizzo intensivo della tecnologia non si sarebbe in alcun modo riusciti a gestire l’enorme carico di informazioni che l’emergenza Covid ha comportato. Contestualmente sono, via via, apparse innovative modalità di presa in carico di pazienti in vari ambiti specialistici (Pneumologia, Oncologia, Cardiologia, Endocrino-diabetologia, Oculistica, Psicologia) che si stanno consolidando e integrando sempre di più con le tradizionali modalità di gestione dei pazienti. Per conferire maggiore operatività la Giunta Regionale ha assegnato alla neoistituita Azienda Zero, anche il compito relativo alla “gestione e sviluppo del sistema informativo di telemedicina e di progetti ICT e della gestione e organizzazione dei centri di prenotazione”. In conclusione: “il percorso verso la telemedicina del sistema sanitario del Piemonte procede secondo step ravvicinati ed è prevista già per l’inizio del 2023 l’integrazione dei progetti regionali “maturi” con la piattaforma nazionale di telemedicina” ha concluso Stefano Taraglio.

Francesca Tosolini, Direttore Generale CRO di Aviano si è soffermato sul ruolo dei dati e delle informazioni: “Ci sono tutta una serie di limiti che fanno sì che il flusso di dati non sia omogeno e una riflessione deve essere fatta proprio su questo tema, perché non riguarda solo le informazioni, ma è cercare di farle girare in maniera trasparente senza dover introdurre accrocchi per poter rispettare le disposizioni normative con il poter dare delle risposte. Inoltre ci stiamo focalizzando sui sistemi informativi ma è nell’insieme ancora un sistema carente per quanto riguarda il personale e la formazione”. 

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