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Schizofrenia, focus Veneto. La salute mentale chiede più investimenti, recovery più precoce, riduzione dello stigma e interventi più specifici e appropriati

In Italia sono 245mila i malati di schizofrenia. Secondo i dati solo il 70% dei pazienti risulta incluso in un ciclo di cura; il 47% dei pazienti affetti ha dovuto lasciare il lavoro e il 34% ha dovuto abbandonare gli studi.

Aumentare le risorse economiche destinate alla tutela della salute mentale, favorire il reinserimento dei pazienti nel mondo sociale, ridurre il ricorso alla residenzialità, stimolare gli approcci per percorsi integrati, preferire l’esito clinico al “prezzo” delle cure. Sono questi i principali nodi da sciogliere quando si parla di salute mentale, che nel nostro Paese presenta un quadro allarmante: aumentano le richieste di aiuto mentre le risorse per rendere efficace il percorso di cura e di assistenza del malato psichiatrico risultano essere sempre più scarse. Per quanto riguarda la schizofrenia, sono 245mila in Italia le persone che ne soffrono. È disturbo psichico che esordisce precocemente (tra i 15 e 35 anni), con sintomi complessi, difficilmente decodificabili per i non esperti quali i deliri e le allucinazioni le cui conseguenze possono avere importanti effetti sul progetto di vita della persona e sull’esistenza di chi le vive accanto. Dati di numerosi studi rilevano che il 47% dei pazienti affetti ha dovuto lasciare il lavoro e il 34% ha dovuto abbandonare gli studi.

Motore Sanità per fare il punto della situazione ha organizzato il “TAVOLO REGIONALE SCHIZOFRENIA: FOCUS VENETOcon il contributo incondizionato di ANGELINI PHARMA.

Su una popolazione residente in Italia di circa 61 milioni di persone la schizofrenia ha una prevalenza dello 0,5% e una incidenza, insieme alla psicosi, che va da 4 a 72 per 100mila persone annui. Le persone con schizofrenia sono 303.913 di cui solo il 70% dei pazienti risulta incluso in un ciclo di cura. Dai dati del 2015, risultavano trattati 175.382 pazienti (82,4%), non trattati 37.357 pari al 17,6%; sono trattati con antipsicotici 151.790 pazienti, pari a 86,5% di cui con una terapia 27.566 pazienti, pari al 40%, e con politerapia 60.716 pazienti, pari al 60%, gli altri farmaci rappresentano il 13,5% pari a 23.593 pazienti trattati. Oltre a questi pazienti, c’è un sommerso su cui ancora è importante lavorareI costi della schizofrenia in Italia, secondo i dati del Ministero della salute, sono pari a 2,7 miliardi di euro di cui 1,33 miliardi di euro sono i costi diretti (49,5%) e 1,37 miliardi di euro sono i costi indiretti 50,5%. Nei costi diretti il costo dei farmaci ha un impatto marginale, il più alto impatto è dato dalla residenzialità e dalla long term care; nei costi indiretti le pensioni di invalidità per malattie mentali rappresentano la seconda voce di spesa per l’INPS e la perdita di produttività del paziente è la parte prevalente dei costi della schizofrenia. 

La spesa per la salute mentale rappresenta il 3,49% del totale della spesa sanitaria, questo valore risulta nella prevalenza dei casi fortemente insufficiente, media nazionale che risulta ulteriormente essere stata messa in crisi dalla pandemia dalla mancanza di personale, sia medico che infermieristico, e anche dal fatto che sono state date alla Psichiatria altre competenze che in passato non aveva, come i disturbi dell’alimentazione che incidono in modo importante sulla gestione totale del paziente. Negli ultimi anni poi è aumentata la domanda di presa in carico della fascia giovanile e fino al pre-Covid c’era stato un raddoppiamento rispetto ai 4 anni precedenti del numero di ricoveri di adolescenti e minorenni in clinica psichiatrica. Nei primi mesi del 2020 si è inoltre registrato un aumento esponenziale della domanda di salute dai giovani

Mirella Ruggeri, Direttore UOC di Psichiatria Clinica presso l’AOUI di Verona e Professore Ordinario di Psichiatria presso l’Università di Verona, ha evidenziato che “oggi gli obiettivi prioritari sono diventati la recovery più ampia e precoce possibile delle persone con psicosi all’esordio o con alto rischio di psicosi; la riduzione dello stigma personale e sociale associato alla malattia, l’inclusione sociale di soggetti con psicosi all’esordio o ad alto rischio; garantire interventi specifici e appropriati, basati su evidenze scientifiche e implementati sviluppando una metodologia di lavoro, omogenea, mirata e coesa”.

Poi ha presentato i numeri della schizofrenia, le sue conseguenze e il problema del sommerso: “Pur non essendo il disturbo psichiatrico più frequente, i dati epidemiologici indicano che in Italia sono 245mila i malati di schizofrenia. Vivere con la schizofrenia può comportare la perdita dei ruoli sociali e delle aspirazioni dei pazienti e dei loro familiari. Dati di numerosi studi rilevano che il 47% dei pazienti affetti ha dovuto lasciare il lavoro e il 34% ha dovuto abbandonare gli studi. E se l’impatto sociale è così pesante sui malati, questo peso non potrà non traferirsi sui compiti di assistenza e i vissuti emotivi di quanti stanno loro intorno, i familiari in primis”.

“A dare speranza ai pazienti e ai familiari negli ultimi decenni – ha aggiunto Mirella Ruggeri – sono gli studi che si sono concentrati sulla individuazione precoce dell’esordio psicotico che è mirata ad ottimizzare il sistema di riconoscimento dei soggetti ad alto rischio e/o con esordio psicotico. Sempre più diffusa (anche se non sempre sufficiente) è diventata prassi la presa in carico integrata da parte dei servizi territoriali finalizzata ad una recovery clinica, personale e sociale più ampia possibile. Il Dipartimento di salute mentale, i distretti sanitari, i servizi sociali, il volontariato e il privato-sociale hanno contribuito a realizzare una rete di prossimità con i medici di medicina generale, centri adolescenza e scuole, per migliorare l’individuazione precoce e la presa in carico assistenziale”.

Giuseppe Imperadore, Responsabile della UOC di Psichiatria 1 dell’ULSS 9 Scaligera, ha evidenziato che “la psichiatria viene vista, anche dagli addetti ai lavori e dal mondo medico come una pratica molto aspecifica e quindi difficile da valutare: penso al tema della residenzialità o ai disturbi borderline di personalità, altro esempio di diagnosi specifica che richiede una organizzazione e una competenza che non può, anche qui, essere generalista. Quindi se aumentiamo la specificità dei nostri interventi e siamo in grado di spiegarla nei termini ovviamente corretti sia nell’ambito delle nostre sedi ma anche agli amministratori, penso che possiamo far capire meglio qual è la valenza di un’area come la psichiatria che è molto avanti rispetto ad altre aree della medicina (dal concetto di continuità ospedale-territorio alle dimissioni protette, alla individuazione dei pazienti sul territorio). Pertanto penso che dare più specificità alla psichiatria e renderla un’area più facilmente leggibile sia la strada che dobbiamo seguire”.

Il problema dello stigma è un problema enorme. “Riguarda non solo i pazienti ma anche l’area psichiatrica come viene vista all’interno degli ospedali generali o come viene vista anche all’interno delle situazioni sanitarie – ha aggiunto Giuseppe Imperadore -. Ancora adesso il paziente affetto da un disturbo psichiatrico può essere visto in maniera diversa anche da parte dei colleghi. Credo che lavorare sullo stigma vuol dire poter fare una reale psico-educazione a tutti, pazienti compresi, in maniera che si possa fin dall’inizio dare una immagine del nostro intervento che non è “farmaci sì” o “farmaci no” ma è una serie di interventi che, al pari di altre discipline della Medicina, si basano su evidenze disponibili in letteratura che vanno cambiate con il progredire delle conoscenze e che possono essere presentate con pari dignità rispetto a molti altri progetti di cura che fanno da molto tempo i nostri colleghi. Penso che su questo bisogna investire aspettando e sperando che l’investimento economico permetta di poter dare risorse e capillarità ai nostri interventi. Nonostante le difficoltà, nella regione Veneto si sono fatti dei passi in avanti soprattutto nel garantire una maggiore specificità degli interventi”.

Giorgio Pigato, Responsabile dell’UO del Servizio Psichiatrico presso la Clinica Psichiatrica dell’AOUP ha infine evidenziato: “Uno dei bisogni irrisolti che andrebbe gestito con maggior precisione è sicuramente l’assesment diagnostico, la possibilità di rivalutare la diagnosi e di ristadiare la malattia schizofrenica nel tempo, ma la specificità e la stadiazione può essere fatta anche quando i pazienti diventano resistenti per terapie inappropriate o perché semplicemente neurobiologicamente sono destinati a sviluppare resistenza. Queste sono due sotto-popolazioni di pazienti resistenti che andrebbero individuati più possibilmente in maniera precisa, con strumenti diagnostici che devono essere implementati nei servizi. Se il rilancio deve essere nell’immediato futuro anche sulla salute mentale visto i fondi che potranno arrivare, un modo per spendere bene queste risorse sarà quello di obbligarci, anche a livello formativo, a creare degli psichiatri che, fin dall’inizio, si pongano delle domande per come autovalutare anche l’esito degli interventi e l’esito delle loro diagnosi”.

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