L’innovazione tecnologica in sanità non aspetta. «E’ urgente per migliore la valorizzazione di farmaci e devices e la gestione del territorio»

innovazione tecnologica

14 Dicembre 2020 – Secondo l’analisi annuale sulla competenza digitale dei Paesi europei condotta dalla Commissione Europea, nel 2020 l’Italia si colloca al venticinquesimo posto su totali 28. La Commissione giudica gli italiani “immaturi, impreparati e incompetenti digitalmente”. L’aspetto più positivo e che queste incompetenze sono diffuse in modo equo tra tutte le categorie professionali compresa quella dei medici. L’innovazione tecnologica in sanità non aspetta. La pandemia ha dimostrato come essere tecnologicamente avanzati possa essere la chiave di volta per un sistema sanitario nazionale in grado di affrontare le sfide attuali, come l’emergenza sanitaria e del futuro. Tra queste sfide anche la valorizzazione dei farmaci e dei devices che ancora incontra difficoltà di ottenere un valore coerente sull’intero percorso di cure e sull’organizzazione assistenziale. Nella seconda puntata del webinar “Academy, il valore del farmaco e dei devices” organizzato da Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb e Teva, gli addetti ai lavori si appellano alla valorizzazione in un’ottica di investimento piuttosto che di costo.

La trasformazione digitale è un aspetto di cultura e di organizzazione, non di tecnologia. La tecnologia è semplicemente ciò che abilità questo cambiamento. Ne è convinto Giuseppe Recchia, Vice Presidente Fondazione Smith Kline di Verona. Siamo un paese arretrato, non utilizziamo la tecnologia che altri Paesi utilizzano da sempre e qualcuno ha anche messo in relazione l’indice di letalità per Covid in Italia con la disponibilità di tecnologie digitali usate in altri paesi. Non c’è nessun motivo per cui non si trasformi tecnologicamente anche l’area della salute e la sanità. Dobbiamo ricordare che l’attore protagonista non è il medico, è il paziente e il suo telefono. Purtroppo l’Italia è un paese che ha un sistema operativo del ’92 e che cerca di usare programmi applicativi del 2021. Spero che dei 40 miliardi dedicati alla digitalizzazione una gran parte sia dedicata alla digitalizzazione in sanità e che non si debba trovare all’interno dei 9 miliardi, perché altrimenti rimarremo un Paese con un sistema operativo ormai ampiamente obsoleto. Fino a quando non entriamo in modo molto più deciso nel mondo della medicina digitare avremo dei problemi sempre maggiori”.

La nuova normativa che regolerà l’introduzione dei medical devices in Europa e che entrerà in vigore posticipatamente rispetto alle aspettative a causa della pandemia, quindi a maggio 2021, risponde alla domanda di valore da attribuire ai medical devices, perché fa maggiore chiarezza nei confronti di quelli tecnologicamente avanzati, quelli che fanno uso esclusivamente di software e non soltanto di dispositivi tradizionale, fino ad arrivare in parte alle terapie digitali. “La nuova normativa richiede un approccio ancora più sistematico e rigoroso rispetto alla vecchia direttiva, richiedendo una maggiore evidenza scientifica portata a supporto dell’impiego e dell’utilizzo dei devices medici – spiega Eugenio Santoro, Responsabile Laboratorio di Informatica Medica, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS Milano -. L’obiettivo è creare valore in termini di salute delle persone, aumentare la sicurezza di questi strumenti e soprattutto aumentarne la loro la loro efficacia. Questo ha fatto sì che molte aziende che producono questi strumenti devono adeguarsi per creare valore e fare sperimentazione clinica. Da qui l’importanza della partnership fra fornitori e comunità scientifica che deve essere vista come un incentivo ad aumentare una partnership che fino ad oggi è stata molto limitata, a creare occasioni di ricerca e sinergie che fino ad ora non ci sono state e offrire maggiori garanzie che questi strumenti siano innanzitutto sicuri e successivamente che siano che siano efficaci”.  

Il valore dei farmaci in oncologia si misura in termini di sopravvivenza e qualità di vita dei pazienti. L’immunoterapia, per esempio, ha determinato un 20-30% di lungo sopravviventi anche in patologie molto difficili in cui non c’erano queste aspettative di vita (tumore del polmone, melanoma). Abbiamo dato anni di vita grazie alle terapie innovative e lo dimostrano anche i 3.600.000 lungo sopravviventi che i dati epidemiologici ci dimostrano annualmente in ambito oncologico italiano – spiega Rossana Berardi, Direttore Clinica Oncologica UNIVPM-AOU Ospedali Riuniti di Ancona -. Nuovi farmaci possono essere un’opportunità se si differenziano, per esempio, per profilo di tossicità e tollerabilità. In questo senso le società internazionali stanno da anni sottolineando quanto sia importante avere dei parametri standardizzati per valutare l’entità del beneficio e altri strumenti quali la tossicità, la qualità della vita, e guardare anche alla sostenibilità del sistema. Forse il Covid ci ha insegnato che dobbiamo muoverci verso un cambio di mentalità. Cambiare mentalità significa fare riferimento all’appropriatezza, come strumento per pianificare e ottimizzare i processi terapeutici, e all’organizzazione a rete”.

L’introduzione di sistemi digitali per migliorare le capacità diagnostiche o per migliorare l’aderenza dei pazienti ad assumere nuove terapie potrebbe essere estremamente importante se rimborsataAldo Pietro Maggioni, Direttore Centro studi ANMCO -. Forse sarebbe il caso di creare un nuovo silos di costi per le terapie digitali o in generale per l’uso di Digital Health o di Digital therapeutic specificamente, probabilmente è proprio il caso di continuare a fare queste riflessioni per arrivare veramente ad un rimborso per percorso per patologia e non per le singole voci. So che è difficile e complesso e che ne parliamo da tanti anni, ma fino ad oggi mi pare che non ci siano fatto molto in questo senso”.

Il Covid ha dimostrato che nuove tecnologie all’avanguardia possono essere uno strumento di monitoraggio strategico per contenere la pandemia e pe risollevare il territorio, che ancora fatica ad essere supportata dalle nuove tecnologie. Quella dei medici di medicina generale rappresenta una professione raramente e sporadicamente ben organizzata, con attrezzature, personale di studio, tecnologie sanitarie spesso inesistenti, risorse economiche inadeguate, una quantità di compiti, mansioni e prospettive di lavoro che hanno bisogno di anni per essere integrati adeguatamente in uno schema e in strutture professionale pensate a ribasso” spiega Claudio Cricelli, Presidente Nazionale SIMG.

Quello che manca al medico di medicina generale per poter rispondere ai bisogni dei propri assistiti pazienti è un’organizzazione dove anche la specialistica e la diagnostica sono tenute presenti – spiega Gabriella Levato, medico di medicina generale di Milano –. Si parla di microteam ma possiamo anche pensare a formule più evolute dove ci sono gli infermieri, il medico di medicina generale, lo specialista e chi fa diagnostica, perché diventa difficile con un carico di assistiti anche occuparsi di altro, compresa la formazione. E a proposito di questo, prima del Covid i corsi di formazione medicinale in Lombardia sono stati indirizzati per creare all’interno di ogni percorso formativo anche un’esperienza di tipo ecografico o di altro tipo, ma la pandemia ha fermato tutto”.

Regione Lombardia ha predisposto Micro-bio, una rete che interconnette “machine-to-machine” tutti i Lis dei laboratorio di analisi pubblici, oggi circa 25 e a cui questi inviano giornalmente gli esami di microbiologia svolti sugli assistiti in Lombardia sia in regime di ricovero sia in regime ambulatoriale. “Un esempio di applicazione riguarda la sorveglianza delle infezioni correlate all’assistenza negli ospedali attraverso l’invio di segnalazioni  complete da tutte le microbiologia accreditate in Lombardia – spiega Simone Schiatti, Responsabile Governo Farmaceutica, protesica e dispositivi ARIA Spa Lombardia –. La rilevazione delle antibiotico resistenze favorisce l’utilizzo delle informazioni a supporto dell’appropriatezza prescrittiva dei medici di medicina generale i quali possono acquisire i dati di resistenza antibiotica dei propri cittadini dal sistema micro-bio ed essere supportati alla corretta prescrizione degli antibiotici più efficaci. E’ noto che alcune infezioni antibiotico-resistenti possono rimanere addormentate e manifestarsi dopo un mese di incubazione in un assistito. Queste occorrenze costituiscono eventi gravi che minano sia la salute dei cittadini sia la disponibilità delle sale operatorie e reparti che possono essere nel tempo compromesse con diffusione dell’infezione e conseguenti costi sociali ed economici.”.

Bisogna essere efficaci e al passo con i tempi perché questa grande innovazione che si è avuta in questi ultimi  anni è ormai alle porte e potrebbe vederci impreparati – spiega Ugo Trama, Direttore Politica del Farmaco e Dispositivi, Regione Campania -. Se non c’è una cabina di regia nazionale che riveda anche l’interlocuzione tra le varie regioni, rischiamo di non rendere disponibili questi grandi progressi che si sono fatti. Penso ad una cabina di regia nazionale forte quando si parla di innovazione perché l’innovazione non è alla portata di tutti, non tutte le  regioni possono avere l’expertise per poterla gestire ed è giusto che si sia una condivisione nazionale per rendere in maniera pratica e applicativa quello che arriverà, affinché vengano affrontati in maniera equa le terapie a livello nazionale”.

La tecnologia deve avere una governance precisa – conclude Claudio Zanon, Direttore Scientifico Osservatorio  Motore Sanità – ma ricordiamoci sempre che formazione vuol dire competenza, ma la competenza non può essere la giustificazione per non continuare a fare formazione e la formazione non può essere la giustificazione per non  cercare la migliore competenza”.

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Farmaci equivalenti: l’uso in Italia è basso

Farmaci equivalenti

“Dopo anni, pur garantendo sostenibilità al SSN e risparmio ai cittadini, l’uso dei farmaci equivalenti in Italia è ancora a macchia di leopardo”

Padova 10 novembre 2020 – I farmaci equivalenti avendo stesso principio attivo, concentrazione, forma farmaceutica, via di somministrazione e indicazioni di un farmaco di marca non più coperto da brevetto (originator), sono dal punto di vista terapeutico, equivalenti al prodotto di marca ma molto più economici, con risparmi che vanno da un minimo del 20% ad oltre il 50%. Questo è fondamentale per mantenere sostenibile l’SSN, consentendo da un lato di liberare risorse indispensabili a garantire una sempre maggiore disponibilità di farmaci innovativi, dall’altro, al cittadino di risparmiare di propria tasca all’atto dell’acquisto dei medicinali. Ma l’uso del farmaco equivalente in Italia è ancora basso rispetto ai medicinali di marca, dall’analisi dei consumi per area geografica, nei primi nove mesi 2019 si è visto come il consumo degli equivalenti di classe A sia risultato maggiore al Nord (37,3% unità e 29,1% valori), rispetto al Centro (27,9%; 22,5%) e al Sud Italia (22,4%; 18,1%). Per fare il punto sulla situazione in Italia e sul perché di queste differenze MOTORE SANITÀ ha organizzato il Webinar ‘FOCUS I FARMACI EQUIVALENTI MOTORE DI SOSTENIBILITÀ PER IL SSN’, realizzato grazie al contributo incondizionato di TEVA.

Dal varo della legge n. 405/2001, introduttiva del concetto delle liste di riferimento e della sostituibilità del farmaco originale con uno equivalente, il settore di questi medicinali ha avuto un grande sviluppo e le farmacie hanno dato un contributo notevole alla conoscenza e alla diffusione degli equivalenti, dovendo tuttavia affrontare forti diffidenze. Il ricorso diversificato agli equivalenti ovvero ai farmaci branded che si registra ancora su territorio nazionale e regionale è determinato da una serie difattori, prevalentemente di natura culturale: la convinzione che il prodotto di marca sia più efficace e la diffidenza nei confronti della sostituzione proposta dal farmacista, che il paziente può ricondurre a ragioni di convenienza economica. È necessario allora che il paziente sia messo al centro di un percorso di crescita culturale e che nel processo di informazione e di promozione dell’equivalente siano coinvolti tutti gli operatori sanitari, che tutti ricevano informazioni indipendenti e autorevoli da parte delle Istituzioni sui farmaci equivalenti, che tutti parlino lo stesso linguaggio e diffondano gli stessi messaggi ai pazienti”, ha detto Andrea Bellon, Presidente Federfarma Veneto

“Purtroppo, dati OSMED alla mano, abbiamo anche quest’anno una spesa privata di oltre 1 miliardo di euro a carico delle famiglie, dovuta alla differenza di prezzo tra farmaco brand e equivalente. Tale spesa si deve comprimere, soprattutto in questo delicato periodo. Sarebbe importante ricevere un segnale da parte dei decisori nazionali al fine di ridurre le marcate disuguaglianze regionali rispetto all’uso dei farmaci equivalenti e mettere così fine ad una tassa occulta, frutto di disinformazione. Tali prodotti hanno la stessa qualità, efficacia e sicurezza del loro corrispettivo originator; costano meno perché una volta scaduto il brevetto, è possibile produrre un farmaco copia di uno di marca. Questo è quanto affermiamo da alcuni anni attraverso la nostra campagna IoEquivalgo’. In termini di sostenibilità del SSN gli equivalenti sono un asset strategico: permettono di risparmiare risorse da reinvestire poi in innovazione. E qui si apre una delle più grandi incompiute politiche degli ultimi anni: gli eventuali risparmi della farmaceutica devono restare all’interno del comparto e non essere utilizzati per altre cose che niente hanno a che fare con gli investimenti in salute pubblica e innovazione in sanità”, ha spiegato Antonio Gaudioso, Segretario Generale Cittadinanzattiva

“È stato un importante confronto che ha dimostrato la necessità che tutti gli stakeholder continuino a parlare del valore del farmaco equivalente.  La sfida è lavorare insieme per avere azioni concrete a livello locale, regionale per aumentare l’utilizzo di farmaci equivalenti”, ha aggiunto Umberto Comberiati, Business Unit Head Teva Pharmaceutical

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Farmaci equivalenti: “Dopo anni, pur garantendo sostenibilità all’SSN e risparmio ai cittadini, il loro uso in Italia è ancora a macchia di leopardo”

Farmaci equivalenti

25 settembre 2020 – I farmaci equivalenti avendo stesso principio attivo, concentrazione, forma farmaceutica, via di somministrazione e indicazioni di un farmaco di marca non più coperto da brevetto (originator), sono dal punto di vista terapeutico, equivalenti al prodotto di marca ma molto più economici, con risparmi che vanno da un minimo del 20% ad oltre il 50%.

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