L’OSSERVATORIO INNOVAZIONE DI MOTORE SANITÀ PRESENTA LE PROPOSTE PER I PRIMI 100 GIORNI DELLA NUOVA LEGISLATURA

Oncologia, ambiente, tumori rari e personale infermieristico tra i temi dibattuti per riformare la sanità pubblica.

17 novembre 2022 – Crisi economica e pandemia hanno messo alle strette il Servizio Sanitario Nazionale e ora non c’è più tempo da perdere. Partendo proprio da qui, dall’esigenza di riformare la sanità, L’OSSERVATORIO INNOVAZIONE DI MOTORE SANITÀ ha presentato oggi le proposte per i primi 100 giorni della nuova legislatura, costruendo un ponte di idee tra il Governo passato e presente.

 “L’iniziativa dell’Osservatorio Innovazione di Motore Sanità è quanto mai opportuna in questi momenti di grande cambiamento, che riguardano il mondo della sanità e l’inizio degli impegni della nuova legislatura: obiettivo mettere in evidenza le proposte che il lavoro di professionisti, esperti, rappresentanti dei pazienti, del mondo della ricerca, dell’industria, della scienza e dei decisori politici hanno formulato nel corso degli approfondimenti organizzati da Motore Sanità”, precisa Walter Locatelli, Presidente “Io Raro”. “In quest’ottica è risultato centrale il ruolo dei professionisti della sanità, perché nessuna proposta o ipotesi di lavoro può essere concretamente perseguita senza un apporto e un’attiva partecipazione di chi concretamente opera a favore della salute e del benessere di tutti i cittadini”.

Tre i tavoli di lavoro dell’Osservatorio Innovazione di Motore Sanità: oncologia e farmaci innovativi, malattie croniche e cure territoriali, malattie rare. Dieci i punti discussi:

  1. Evitare il sottofinanziamento del SSNNel 2025 il fabbisogno del SSN sarà di ben 200 miliardi di €. Una cifra “enorme”, che si potrà recuperare solo con l’incremento della quota di spesa privata intermediata da fondi integrativi, un piano di disinvestimento dagli sprechi e un’adeguata ripresa del finanziamento pubblico.
  • Programmare adeguatamente il fabbisogno futuro degli operatori sanitari – Eliminare il tetto -1,4% del budget 2014
    per il personale sanitario. Fare una programmazione regionale in rapporto alle carenze mediche e infermieristiche e altri operatori sanitari. Motivare e pagare meglio gli operatori sanitari. Attuare nuovi modelli organizzativi che valorizzino capacità e nuove competenze infermieristiche e nuovi modelli organizzativi con l’evoluzione della tecnologia e sanità digitale (innovazione tecnologica organizzativa, IA, etc..).
  • Revisione della governance sul rapporto di convenzione coi medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta – Formare la medicina generale con il coinvolgimento delle Università,istituendo una vera e propria specialità in medicina generale.
  • Assicurare l’accesso all’innovazione economica e omogeneamente in tutte le regioni – Ridurre la burocrazia e le prassi valutative di duplicazione a livello regionale (es°: eliminare prontuari terapeutici regionali e commissioni di valutazione regionale per un accesso immediato al farmaco innovativo). Riorganizzare AIFA per allargarne le competenze e velocizzare l’accesso all’innovazione.
  • Integrare le farmacie dei servizi all’interno dei piani regionali come attori chiave del sistema – Autorizzare la libera professione degli infermieri del SSN perché possano svolgere anche attività nelle farmacie di servizio. Incentivare il ruolo della farmacia dei servizi nel monitoraggio dell’aderenza e dell’appropriatezza soprattutto nella gestione della cronicità.
  • Ridurre i tempi di attesa – Studiare nuovi modelli per l’acceso (open access, terzo ospedale per gli interventi chirurgici minori, nuovi modelli vaccinali, etc..).
  • Studiare nuovi modelli organizzativi al di là delle indispensabili necessità di personale e fondi – Rivedere e valutare: carenze, modelli, programmi, innovazione organizzativa.
  • Maggior attenzione verso le istituzioni sanitarie no profit e/o le cattoliche – Sono l’8,5% delle strutture di ricovero accreditate e rappresentano il 23% dei posti letto totali. 78.000 professionisti che vi lavorano. Per le Strutture cattoliche in profonda crisi economica il Papa ha istituito nel 2021 la Fondazione per la Sanità Cattolica. Necessaria una soluzione che le equipari alle strutture pubbliche con un accordo equilibrato.
  • Applicare il Piano Nazionale Prevenzione con azioni anche verso le malattie correlate all’ambiente
  1. Pubblicare l’ultimo decreto attuativo della legge Gelli-Bianco e depenalizzare l’atto medico – Sburocratizzare e snellire: ogni anno in Italia 35.600 nuove azioni legali e ne giacciono 300.000 nei tribunali contro medici e strutture sanitarie → 95% nel penale e 70% nel civile si conclude con il proscioglimento.

A proposito della necessità di tracciare una mappa delle urgenze che la nuova legislatura dovrà affrontare, Francesco Schittulli, Presidente nazionale LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori), ha dichiarato: “Questa giornata è un’importante occasione di confronto per riflettere sui punti deboli dell’attuale SSN e delinearne quindi un nuovo corso. Un corso nuovo che abbia tra le sue priorità la formazione dei professionisti sanitari e degli operatori sanitari, affinché possano rispondere in modo efficace alle crescenti esigenze della comunità, e una particolare attenzione alla “trascurata” pandemia cancro, con la speranza che il nuovo Governo possa maggiormente investire nella corretta informazione e nella cultura della prevenzione, prendendosi così cura della persona”.

Anche la FNOPI (Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche) ha fatto sentire la sua voce, nella persona di Barbara Mangiacavalli, Presidente FNOPI Nazionale: “La FNOPI è certa che con la competenza e sensibilità dimostrate dal nuovo Ministro, il Governo possa dare attenzione alle proposte avanzate già nel corso della passata legislatura nell’interesse degli assistiti. Tra le priorità: l’inserimento all’interno dei nuovi LEA (livelli essenziali di assistenza) della branca specialistica assistenziale per dare uniformità di prestazioni a livello regionale e nazionale, con l’istituzione delle competenze specialistiche. La formazione infermieristica deve essere poi meglio valorizzata in tutti gli atenei, con l’istituzione di lauree magistrali a indirizzo clinico e scuole di specializzazione, al fine di rendere la professione sempre più linea con le complessità dei sistemi sanitari globali. Il nuovo Governo è chiamato inoltre a impegnarsi per risolvere l’annoso problema dell’attrattività, a partire dalla valorizzazione economica della professione infermieristica italiana, oggi agli ultimi posti per le retribuzioni in Europa. Situazione che, unita alle scarse possibilità di carriera, rende poco attrattiva la professione, con il rischio di sempre meno iscrizioni all’università. Per poter studiare ed elaborare assieme i percorsi migliori per raggiungere questi obiettivi, il dialogo dovrà essere da subito ampio e partecipato, con tutti i Dicasteri”.

E poi c’è il tema dell’ambiente, discusso da Alessandro Miani, Presidente SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale): “Nonostante i livelli essenziali di assistenza (LEA) prevedano espressamente che il Sistema Sanitario debba interessarsi della “Tutela della salute dai fattori di rischio ambientali” attraverso la “promozione di progetti/programmi di miglioramento dell’ambiente e di riduzione dell’impatto sulla salute” – ha detto Miani –, dobbiamo ammettere che poco o nulla si muove nel concreto sui territori in questa direzione e in genere le ASL (Azienda Sanitaria Locale) e le ARPA (Azienda Regionale per la Protezione dell’Ambiente) non riescono a integrarsi operativamente. ln attesa di capire se avrà l’impatto auspicato il neonato Sistema Nazionale di Prevenzione “Salute, Ambiente e Clima” (SNPS) – finanziato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) senza tuttavia prevedere un’agenzia nazionale analoga a quel che è ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nel settore ambientale -, SIMA è qui come società scientifica per stimolare il nuovo Governo a integrare la Missione 6 del PNRR con un programma di verifica e rilettura sanitaria dei dati ambientali, rivolgendo il proprio appello ai neo-Ministri Onorevole Fitto e Professor Schillaci”.

Per visionare le interviste, clicca ai seguenti link:

Intervista Beux

Intervista Bianchi

Intervista Corti

Intervista Lo Russo

Intervista Mazzoleni

Intervista Miani

Intervista Milanese

Intervista Murelli

Intervista Osnato

Intervista Romano

Intervista Zanon

Epilessia: insieme per migliorare il percorso di cura, rendere disponibili le nuove terapie e sconfiggere lo stigma

“Ci sarà una fine di questa malattia?” è la prima domanda che fa la persona con epilessia al medico che gli ha diagnosticato la patologia. Paure, vergogna e molti punti interrogativi ruotano attorno alla persona con epilessia, che vorrebbe mettere un punto alla sua malattia. Si torna a parlare di epilessia e l’occasione è l’evento “PERSONE CON EPILESSIA – PRESA IN CARICO ASSISTENZIALE (FOCUS PIEMONTE, LIGURIA, VALLE D’AOSTA)” finalizzato a verificare lo stato dell’arte in alcune Regioni promosso da Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Angelini Pharma.

L’epilessia, che è stata definita dall’Organizzazione mondiale della sanità una “malattia sociale”, è una patologia del sistema nervoso centrale dovuta a una ipereccitabilità dei neuroni corticali per cause diverse tra loro (strutturali, genetiche, metaboliche, infettive, disimmuni o sconosciute). Si manifesta clinicamente attraverso crisi che possono avere un esordio focale o generalizzato, con sintomi motori o non motori e associarsi o no a perdita della consapevolezza e/o della coscienza.

Nell’insieme le epilessie rappresentano una patologia complessa e molto impattante a livello individuale e sociale, in termini di complessità della diagnosi e del percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale, comorbidità, stigma, impatto e difficoltà delle terapie (ad oggi circa il 30% delle persone in terapia – 180mila – risultano essere farmacoresistenti, ovvero non rispondono soddisfacentemente ai farmaci anti-crisi utilizzati e in questi casi risulterebbe essenziale poter contare sui nuovi farmaci disponibili). Nel mondo le persone con epilessia sono oltre 50 milioni, in Europa sono circa 6 milioni, in Italia si contano più di 500mila persone con epilessia.

I costi economici dell’epilessia in Italia variano in funzione della gravità della malattia, della risposta ai trattamenti e del tempo intercorso prima della diagnosi. Una valutazione del costo medio annuale dell’epilessia è di circa 1.764 euro per paziente, il che permette di stimare una spesa sanitaria annuale per l’epilessia di 882 milioni di euro. La media dei costi diretti per paziente è stimata attorno a 500-800 euro l’anno per le forme in remissione, 2.200-4.700 euro l’anno per le forme farmacoresistenti, 3.700-3.900 euro l’anno per i pazienti candidati alla chirurgia.

Ci sono altre questioni aperte attorno all’epilessia, criticità, punti di forza e di debolezza, sui quali si sono confrontati gli esperti.

Cosa succede in Piemonte? “Siamo di fronte ad una patologia cronica, neurologica, frequentissima anche nel mondo pediatrico” ha spiegato Irene Bagnasco, coordinatore LICE Macroarea Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta -. Il Piemonte per quanto riguarda il Pdta è rimasto fermo pur avendo prodotto un documento anche molto corposo e sul quale ci stiamo rimettendo mano perché l’implementazione è lo scopo di questo Pdta. Per quanto riguarda i centri riconosciuti da LICE, il livello copre tutte e tre le categorie (I, II, III livello) ma non ci sono i centri dedicati alla chirurgia; l’obiettivo che ci stiamo ponendo è mappare, indipendente dai centri riconosciuti, chi è che si occupa di epilettologia nella nostra macro area, perché dobbiamo uscire da quelle percentuali di quei pazienti che spesso vengono gestiti in realtà che possono non fornire tutti i corretti strumenti diagnostici e terapeutici specifici e magari con epilessie rare ed epilessia complessa”.

Altre criticità riguardano la transizione dall’età pediatrica all’età adulta. “Dove arriva il bambino con epilessia in pronto soccorso: in alcune realtà fino ai 14 anni, in altre può arrivare fino ai 18 anni perché c’è un neuropsichiatra che magari offre la sua consulenza” aggiunge Irene Bagnasco. “Altro obiettivo è lavorare sulla transizione come occasione per far emergere i bisogni: il processo di transition dovrebbe iniziare idealmente nella fase precoce dell’adolescenza e proseguire dopo il transfer (13-19 anni di età)”.

Carlo Picco, Direttore Generale dell’Asl Città di Torino e Commissario di Azienda Zero, sul Pdta piemontese si è così espresso: “Tra le attività che dobbiamo attenzionare e che ci sono state affidate dalla Giunta regionale c’è sicuramente quella delle reti di patologia, a sostegno di queste si richiede una rinnovata commissione HTA. Un altro aspetto importante è la redazione di piani di ottimizzazione rispetto alla farmaceutica e al fatto che l’accesso alle cure farmacologiche sia garantito a tutti, ovviamente in un contesto di sostenibilità e di attenzione alla compliance prescrizionale e quindi alla appropriatezza che dobbiamo avere come massima attenzione; c’è in questo la possibilità di fare un monitoraggio stretto delle attività di prescrizione e la possibilità di liberare risorse laddove questa accessibilità di farmaci sia meno consentita. Abbiamo gli strumenti e anche i professionisti per operare in questo senso, la nostra intenzione è di organizzare bene le cose a vantaggio dei pazienti e di chi opera nel nostro sistema sanitario”.

Secondo Oriano Mecarelli, Past Presidente LICE (Lega Italiana Contro l’Epilessia) ecco cosa occorre fare a livello regionale per le persone con epilessia:“Migliorare la qualità del percorso di cura assicurando accuratezza della diagnosi, accesso alle terapie innovative, presa in carico integrata multidisciplinare, creare all’interno della regione una rete di centri di vario livello evitando concentrazioni territoriali, gestire al meglio le urgenze epilettologiche ed evitare spreco di risorse, come i ricoveri incongrui, accessi a varie strutture.Mentre per il futuro sarà necessario comprendere meglio le cause e i meccanismi alla base dell’epilettogenesi, conoscere biomarkers utili per la prevenzione dell’epilettogenesi, implementare la medicina di precisione, sviluppare la terapia chirurgica e la neuromodulazione, migliorare la rete assistenziale e la telemedicina e migliorare la comunicazione medico-paziente per una vera alleanza terapeutica”.

Lo stesso Mecarelli ha affrontato il tema dello stigma e della cura: “L’epilessia è spesso causa di disabilità e di stigma con conseguenti problematiche aggiuntive psicologiche e relazionali che si traducono in una riduzione della qualità della vita delle persone affette. Gli strumenti per combattere lo stigma e migliorare la cura sono lo stimolo all’autogestione, migliorare la comunicazione medico-paziente e creare campagne educative, promozionali rivolte alla popolazione generale, insegnanti, operatori sanitari”.

Laura Tassi, Presidente Nazionale LICE (Lega Italiana Contro l’Epilessia) ha sottolineato l’importanza della diagnosi precoce e della terapia farmacologica “Ma il percorso di cura della persona con epilessia deve prevedere anche la sua integrazione a livello scolastico, sociale lavorativo e famigliare. Per questo che LICE e fondazione LICE, insieme con le associazioni per l’epilessia, hanno creato e presentato in Senato, a luglio scorso, il decalogo legislativo ideale per le persone con epilessia, un disegno di legge che: tenga conto dei diritti e delle soddisfazioni dei bisogni delle persone con epilessia; che implementi o crei in ogni regione un Pdta; che inserisca le epilessie nel piano nazionale delle cronicità; che assicuri a tutti, su tutto il territorio nazionale, l’accesso omogeneo alle cure, anche a quelle innovative; che potenzi le risorse economiche per lo sviluppo della ricerca; che organizzi campagne informative idonee e percorsi formativi nelle scuole; che crei presidi atti ad agevolare le persone con epilessia in cui viene dichiarata la farmacoresistenza; che vengano messe in atto delle azioni contro lo stigma e la discriminazione in ambito sociale; che si istituisca l’osservatorio nazionale permanente per le epilessie”.

Epilessia, un problema assistenziale e sociale

15 novembre 2022 – L’epilessia, definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) una malattia sociale, è una patologia del sistema nervoso centrale dovuta a una ipereccitabilità dei neuroni corticali per cause diverse tra loro (strutturali, genetiche, metaboliche, infettive, disimmuni o sconosciute). Si manifesta clinicamente attraverso crisi che possono avere un esordio focale o generalizzato, con sintomi motori o non motori e associarsi o no a perdita della consapevolezza e/o della coscienza.

Ad oggi circa il 30% delle persone in terapia risultano essere farmacoresistenti, ovvero non rispondono soddisfacentemente ai farmaci anti-crisi utilizzati. In questi casi risulterebbe essenziale poter contare sui nuovi farmaci disponibili. Si è parlato di questo e di tanto altro nel corso dell’evento “PERSONE CON EPILESSIA: PRESA IN CARICO ASSISTENZIALE – EMILIA-ROMAGNA”

finalizzato a verificare lo stato dell’arte in alcune Regioni – promosso da Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Angelini Pharma.

Così Laura Tassi, Presidente Nazionale LICE (Lega Italiana Contro l’Epilessia): “Le epilessie riguardano almeno l’1-1,2% dell’intera popolazione (sono numeri degli stati Uniti), dove il costo delle epilessie che grava sui conti pubblici è intorno ai 15miliardi di dollari per anno. Le epilessie sono la seconda patologia neurologica nel mondo; patologia cronica, in quanto la risoluzione delle patologie è possibile ma estremamente rara. Significa che la diagnosi è a vita e ciò richiede un approccio sanitario, ma anche sociale, familiare, scolastico e lavorativo diverso da quello rappresentato ad oggi. Esistono due picchi di incidenza: in età scolare e prescolare (30 casi ogni 100mila abitanti per anno) e dopo i 65 anni (70 casi per 100mila abitanti per anno). Dopo gli 80 arriviamo ai 120 casi per anno. In Italia la malattia interessa 720mila pazienti, dei quali 432mila hanno epilessia focale (che riguarda una sola parte della corteccia cerebrale), tra questi 170mila hanno un’epilessia focale farmacoresistente e migliaia di pazienti, in teoria, potrebbero essere candidabili a un intervento chirurgico”.

Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia 211 persone su mille soffrono di malattie croniche. Numeri che interesseranno sempre di più il Mezzogiorno e che arriveranno, nel 2028 a 25milioni”, spiega Oriano Mecarelli, Past President LICE (Lega Italiana Contro l’Epilessia). “Un problema dovuto anche all’invecchiamento della popolazione. Il Piano Nazionale per la Cronicità stabilisce che ogni Regione si doti di un PDTA che serve per realizzare la diagnosi e la terapia più adeguata per una specifica situazione patologica, soprattutto cronica. È fondamentale poi che sia adattato al contesto territoriale e che il PDTA, quando scritto, venga implementato. L’implementazione dovrebbe essere fondamentale per lo sviluppo della telemedicina. Purtroppo l’epilessia non è ancora nel Piano Nazionale delle Cronicità, ma entrerà a breve. Spingeremo su questo e sul fatto che tutte le Regioni abbiano un PDTA nell’ambito dell’epilettologia”.

Cosa può fare il farmacista ospedaliero per garantire innovazione e sostenibilità in questo ambito terapeutico?

Su questo punto si è espresso Marcello Pani, Segretario Nazionale SIFO, Direttore UOC Farmacia Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS Roma, con queste parole: “Per parlare di innovazione e di sostenibilità nell’ambito di cure di trattamento farmacologico, dobbiamo considerare quello che è il percorso di accesso di un farmaco al paziente. Ebbene, il farmacista ospedaliero opera in tutto questo percorso. Credo che si debba anche ricordare tutto quello che il farmacista fa nella fase in cui il farmaco ancora non è stato sottoposto a questi percorsi, per poter essere di accesso al paziente. Il farmacista ospedaliero è uno snodo importante di tanti processi che debbono essere svolti in maniera multidisciplinare con clinici in primis, in maniera integrata, molto spesso anche sincronizzata con fornitori e aziende. Credo infine che sia importante sottolineare come, molto spesso, la garanzia di innovazione e sostenibilità possa essere fatta con la concertazione e la diffusione anche di percorsi formativi con necessarie risorse e con una gestione del percorso che accompagna queste cure che, quasi sempre nei centri specializzati, inizia prima dell’arrivo di queste terapie durante di trial clinici (le sperimentazioni), che consentono alla struttura e alle sue professionalità, già da questa fase, di rendere la struttura e la professionalità idonea e poi pronta quando questi trattamenti arrivano al paziente con la rimborsabilità e, auspicabilmente, la sostenibilità del sistema”.

Il ruolo sociale del farmaco equivalente per garantire a milioni di pazienti la continuità terapeutica

In questa fase storica, tra post Covid-19 e guerra, saràfondamentale che la sua reperibilitàin filiera sia garantita.

10 novembre 2022 – I farmaci equivalenti (chiamati anche generici) hanno lo stesso principio attivo – nelle medesime quantità – dei medicinali di marca, la stessa forma farmaceutica (compresse, pillole, polveri, etc.), ma costano circa il 20% in meno. Ciò che cambia, quindi, è il nome della medicina e il prezzo, come diretta conseguenza della scadenza del brevetto del principio attivo del medicinale innovativo. Il brevetto di un farmaco, infatti, dura in genere dieci anni, allo scadere dei quali può essere prodotto anche da altre case farmaceutiche e immesso in commercio dopo essere stato autorizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), o dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA).

Purtroppo, però, ad oggi esistono ancora grosse sacche di resistenza tra operatori del settore e soprattutto pazienti e nei diversi territori vi è ancora una proporzione inversa tra la spesa per farmaci di marca e reddito pro capite. Risorse queste che potrebbero essere impiegate dai cittadini per acquistare migliori e più utili servizi. Si è parlato di questo nel corso dell’evento IL RUOLO SOCIALE DEL FARMACO EQUIVALENTE – CALL TO ACTION” promosso da Motore Sanità.

Ad aprire il tavolo di lavoro Marzia Mensurati,Direttore Farmacia Territoriale ASL Roma 3 che, dati alla mano, ha confermato questa fotografia generale: “La percentuale di preferenza del cittadino dell’equivalente è il 17%, a dimostrazione di una certa resistenza nel prescrivere molecole equivalenti, per le quali il cittadino paga la differenza di prezzo. Possiamo e dobbiamo fare di più – ha continuato Mensurati -, cominciando a fare campagne di informazione dirette al cittadino. Anche medici e farmacisti devono fare la loro parte, così come l’industria farmaceutica nel migliorare la grafica delle scatolette dei farmaci e uniformando il packaging”. 

Su quest’ultimo punto Alberto Giovanzana di Teva Italia ha spiegato che proprio l’anno scorso Teva ha cambiato le proprie confezioni, con l’obiettivo di rendere il codice colore di facile lettura da parte del paziente. In riferimento al periodo storico che stiamo vivendo, Giovanzana ha poi sottolineato due aspetti peculiari. Uno in riferimento al mercato farmaceutico, ripartito dopo due anni di pandemia da Covid-19, dove l’ex originator (il brand) corre più veloce rispetto all’equivalente. L’altro aspetto riguarda il monitoraggio futuro per ridurre la compartecipazione.“Occorre fare sistema tutti insieme, investendo sul farmaco equivalente – ha detto Giovanzana. Come Teva stiamo lavorando a campagne informative, affinché ci sia una presa di posizione ulteriore rispetto alla presa di coscienza dei cittadini, ma molto possono e devono fare medici e farmacisti”.

Lo scenario che i farmacisti territoriali, ma anche ospedalieri, in questo momento osservano rispetto al farmaco equivalente è differente ed è dettato più che altro dalla contingenza che si è creata, a partire dal 2020, in seguito alla pandemia Covid-19 ed allo scoppio della guerra in Ucraina”,ha replicato Guido Torelli, Componente FOFI Roma. “Questi due fattori hanno prodotto stress di filiera notevoli e pongono questioni profonde circa la struttura delle filiere produttive e distributive come le abbiamo conosciute fino al 2019, nonché della sostenibilità degli standard di qualità di cui, soprattutto in Unione Europea, ci siamo dotati. In questo senso un evento prodromico è stata la sospensione da parte di EMA, di tutte le formulazioni a base di ranitidina per contaminazione da nitrosammine. Un’allarmante presa di coscienza è stata recentemente espressa dall’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, il 10 ottobre scorso davanti agli ambasciatori presso l’UE (“Pensiamo troppo internamente e poi proviamo ad esportare il nostro modello, ma non pensiamo abbastanza a come gli altri percepiranno questa esportazione di modelli. Sì, abbiamo “l’effetto Bruxelles” e continuiamo a fissare degli standard, ma credo che, sempre di più, il resto del mondo non lo sia pronto a seguire la nostra esportazione di modello. “Questo è un modello, è il migliore, quindi devi seguirlo”. Per ragioni culturali, storiche ed economiche, questo non è più accettato”). Il problema è anche l’opposto, ovvero quanto noi in UE saremo in grado di sostenere standard elevati, senza impattare in filiere che sono sempre più stressate. Porto con me l’elenco dei farmaci mancanti presso la mia farmacia al 31 ottobre. È evidente in questo scenario e nel breve termine come il farmaco equivalente sia un presidio fondamentale nel garantire la reperibilità di farmaci ad ampissimo uso (Amoxicillina – Acido Clavulanico orale, Furosemide orale, Amlodipina orale per citarne alcuni) che cominciano ad essere di difficile o nulla reperibilità. È altrettanto evidente come sia fondamentale avere più fonti produttive di principio attivo e farmaco confezionato, per garantire la produzione da eventuali strozzature nelle filiere. Questo però non è un tema di breve periodo, andando ad impattare sulla necessità di riconversione industriale che è ormai palese a tutti i decisori pubblici statali ed europei. Per concludere, in questa fase storica, il farmaco equivalente gioca un ruolo centrale per garantire a milioni di pazienti la continuità terapeutica e sarà fondamentale che la sua reperibilità in filiera sia garantita”.

Questo progetto è stato realizzato grazie al contributo incondizionato di Teva Italia S.r.l.

Riduzione del rischio come strategia di salute pubblica nell’eliminazione del fumo di sigaretta

17 novembre 2022 – Il fumo nuoce gravemente alla salute, eppure i fumatori in Italia sono 12,4 milioni: il 24,2% della popolazione (Campania, Umbria e Abruzzo sono le regioni dove si fuma di più).

Gli uomini fumano di più tra i 25 e i 44 anni, le donne fumano maggiormente tra i 45 ed i 64 anni. Tra i maschi il 25,6% di chi fuma supera le 20 sigarette al giorno, mentre le grandi fumatrici donne sono circa 13,4%. Inoltre, nell’ultimo anno si è registrato un aumento di 800 mila unità rispetto al dato del 2019, che trova spiegazione anche nell’effetto pandemia Covid, visto che rispetto al 2021, nel 2022 si osserva una diminuzione di due punti percentuali della prevalenza del fumo di sigaretta. Il Ministero della Salute stima in 93 mila all’anno i decessi dipendenti dal fumo in Italia e questi dati hanno riportato all’attenzione degli studiosi e dei media la questione del fumo di sigaretta. Si è dibattuto di questo durante l’evento: “RIDUZIONE DEL RISCHIO COME STRATEGIA DI SALUTE PUBBLICA NELL’ELIMINAZIONE DEL FUMO DI SIGARETTA”, realizzato da Motore Sanità con il contributo liberale di PMI Science.

Così Umberto Tirelli, Direttore Sanitario e Scientifico Clinica TIRELLI MEDICAL Group, Past Primario Oncologo Istituto Nazionale Tumori di Aviano: “Il fattore di rischio più importante per i tumori è il fumo delle sigarette, che bruciano e che emettono 60-70 sostanze cancerogene. Non è la nicotina la principale causa delle malattie correlate, ma le sostanze cancerogene che ci sono nel fumo delle sigarette che bruciano. Smettere di fumare e non iniziare è sempre la soluzione migliore, ma smettere per molti è difficile, per questi fumatori passare a prodotti privi di combustione – come viene suggerito in Gran Bretagna e in Nuova Zelanda dalle autorità sanitarie perché ritenuto potenzialmente meno dannoso – sarebbe consigliabile rispetto a continuare a fumare sigarette.

È un dato di fatto che in Italia ci sono milioni di fumatori che non vogliono o che non riescono a smettere”, conferma Riccardo Polosa, Professore Ordinario Medicina Interna, Direttore Scuola di Specializzazione Reumatologia e Fondatore e Direttore Centro per la Prevenzione e Cura del Tabagismo  Università degli Studi di Catania – Direttore UOC Medicina Interna e d’Urgenza, AOU “Policlinico-V. Emanuele”, Catania, Fondatore CoEHAR (Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo ). “Non accettano di essere medicalizzati per via della loro abitudine tabagica. In Italia, ancora oggi, non abbiamo una politica sanitaria che si prenda carico di queste persone. La riduzione del rischio rappresenta la soluzione, un’opportunità straordinaria di cambiamento e di accelerazione in termini di salute individuale e pubblica. Ritengo grave insistere nel nascondere ai cittadini le reali opportunità offerte dagli strumenti a potenziale rischio ridotto, addirittura additandoli come pericolosi al pari delle sigarette convenzionali. Bisogna smetterla di enfatizzare i rischi senza considerarne i benefici. L’Italia deve riaccendere i riflettori sulla sensibilizzazione antifumo, integrando il principio di precauzione con quello del rischio ridotto”.

Fabio Beatrice, Primario Emerito di Otorinolaringoiatria a Torino, Fondatore del Centro Antifumo Ospedale SG. Bosco di Torino e Direttore Scientifico del Board di MOHRE, ha portato l’attenzione sui Centri Antifumo, considerati “l’approccio migliore del Sistema Sanitario nella lotta al fumo di sigaretta”, ma questi sono diminuitie “attualmente sono 223. La Regione con più Centri Antifumo è il Piemonte. Purtroppo l’affluenza nei Centri Antifumo è molto bassa e i fumatori che tendono a cercare di smettere da soli in gran parte falliscono. Inoltre non riesce a smettere oltre il 50% dei fumatori che si rivolge ai Centri Antifumo, pur in osservanza delle linee guida. Si ritiene che sia necessario interrogarsi sugli insuccessi, rivedendo più in generale le politiche di contrasto al tabagismo e le politiche di prevenzione per prevenire l’iniziazione delle nuove generazioni”.

Purtroppo, la cessazione del fumo tende ad essere vista come un problema personale, legato alla sola forza di volontà. Parola di Fabio Lugoboni, Direttore USO Medicina delle Dipendenze AOU Integrata Verona, Professore Psichiatria e Docente Scuola di  Specializzazione di Psichiatria e Medicina Interna, Università di Verona. Il fumo è invece una dipendenza legalizzata, e necessita di supporto e terapia specifici, pena un’alta percentuale di insuccesso”, ha detto Lugoboni.“Gli auto-tentativi tendono a fallire nell’80% dei casi entro la prima settimana. Ogni medico, ogni operatore di salute deve fare la sua parte, ma questo non sta accadendo, anche perché in Italia fuma un medico su 4, contro il 3% di medici fumatori di Gran Bretagna e USA”.

Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria e Economia Politica e Presidente della Società Italiana di Heatlh Technology Assessment, ha aggiunto “È inoltre necessario far comprendere ai decisori i costi del fumo di sigaretta sostenuti dal sistema nel suo complesso, in termini di ricoveri, visite specialistiche e test diagnostici, disabilità e perdita di produttività. Sarebbe quindi ideale creare uno studio che analizzi a 360° il risparmio economico se i fumatori passassero completamente ai sistemi smoke free.”

Ha inoltre partecipato alla tavola rotonda, portando i saluti istituzionali, il Senatore Francesco Zaffini, Presidente della Commissione affari sociali e sanità del Senato che ha affermato “è opportuno vagliare la strategia di riduzione del danno, insieme ad una più ampia strategia di prevenzione delle dipendenze”.

Per visonare le interviste, clicca ai seguenti link:

Intervista Polosa

Intervista Lugoboni

Intervista Beatrice

ONCOnnection: dagli Stati generali dell’oncologia del Nord Est le call to action dell’oncologia del prossimo futuro

Padova, 8 novembre 2022 – Si sono chiusi a Padova, presso l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) gli Stati generali dell’oncologia del progetto ONCOnnection di Motore Sanità. L’evento è stato organizzato con la sponsorizzazione non condizionante di Ipsen Innovation for patient care, Gilead, Daiichi- Sankyo, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Takeda, AstraZeneca, Servier, Bristol Myers Squibb.

La due giorni è stata interamente dedicata alle novità che ruotano attorno all’oncologia del Nord Est – Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna; ha visto la partecipazione, in presenza e in collegamento da remoto, i massimi esperti dell’oncologia del Nord Est, le associazioni dei pazienti e le istituzioni. È stata la seconda tappa del grande percorso “ONCOnnection” che fino ad oggi ha riunito le esperienze in campo oncologico di tutte le regioni di Italia. Le prossime tappe degli “Stati generali dell’Oncologia”, dopo il Nord Ovest (del 15-16 settembre scorso) e Nord Est (7-8 novembre) saranno il Centro e il Sud. L’obiettivo è mettere insieme le esperienze per scrivere nero su bianco le best practices al fine di garantire la migliore presa in carico del paziente oncologico e accesso equo alle cure.

I temi principali emersi sono stati:

  • LA PREVEZIONE CHE SALVA VITE. Sul territorio è necessario fare prevenzione. La prevenzione è un pilastro per la salute di tutti noi ed è solo grazie alla prevenzione che molte patologie sono precocemente diagnosticabili e curabili. Dobbiamo informare e comunicare sui corretti stili di vita. Oggi prevenire alcune patologie è più semplice perché disponiamo di strumenti tecnologici di più facile utilizzo e alla portata di tutti, ma la pandemia ha interrotto i programmi di screening ed è quindi necessario recuperare il tempo e i cittadini/pazienti perduti.
  • I NUOVI BISOGNI DEI MALATI ONCOLOGICI Se da una parte i vantaggi del progresso scientifico hanno cancellato l’ineluttabile equazione “cancro uguale morte”, dall’altra sono sorti ulteriori bisogni assistenziali, molti dei quali l’esperienza della recente pandemia, ha fatto emergere come urgenti. Secondo i dati AIOM, in Italia nel 2020 circa 370mila persone sono stati colpiti dal cancro e il numero delle persone che sopravvive dopo la diagnosi è di circa 3,6 milioni (il 5,7% dell’intera popolazione). L’efficacia delle campagne di prevenzione, delle nuove tecnologie diagnostiche e delle terapie innovative, ha portato ad un complessivo aumento del numero delle persone che vive dopo la diagnosi: il 50% dei nuovi malati diagnosticati in buona parte cronicizza.
  • IL RUOLO DELLE RETI E DELLE ASSOCIAZIONI DI PAZIENTI I nuovi bisogni dei malati oncologici richiede non solo uno sviluppo delle reti di patologia che attualmente coinvolgono la medicina specialistica, già implementato in molte Regioni, ma occorre fare uno sforzo importante per costruire un’oncologia territoriale che possa rispondere a questa nuova ed importante cronicità.
  • I FONDI DEL PNRR Le nuove strutture territoriali previste dal PNRR non basteranno a modificare il sistema, vanno riempite di personale medico (al momento si registra una importante carenza), per di più adeguatamente formato. Reti oncologiche, fascicolo sanitario elettronico, interoperabilità dei sistemi informatici, tutto questo rappresenta la base per una riforma credibile, nella quale la telemedicina può veramente rappresentare una svolta.
  • CARENZA DI PERSONALE Oggi la carenza di personale medico e infermieristico è evidente in ambito sanitario. Un’assistenza oncologica adeguata richiede la formazione di oncologi del futuro che sappiano adeguatamente interpretare e gestire la complessa diagnostica molecolare e le terapie innovative che la ricerca mette a disposizione.
  • LA TECNOLOGIA CHE AVANZA. L’oncologia è un settore ad altissima innovazione diagnostica e terapeutica, spesso dirompente, che necessita di un sistema di programmazione delle risorse completamente nuovo che vada di pari passo con i cambiamenti imposti dall’innovazione stessa. Compito di ogni servizio sanitario regionale è cercare di costruire sistemi di governance in grado di garantire l’accesso all’innovazione riconosciuta dagli enti regolatori Nazionali delineando linee di intervento chiare dal punto di vista organizzativo (da qui la struttura delle reti oncologiche e/o al loro interno di reti più specifiche, ad esempio breast) ed amministrativo per la allocazione e rendicontazione dei flussi di spesa.
  • IL VALORE DEI FARMACI INNOVATIVI In attesa di superare il sistema di finanziamento attuale strutturato per silos di spesa, recentemente c’è stata una revisione del fondo farmaci innovativi con una implementazione importante. Le diverse soluzioni attuate sono le basi per un confronto e per “copiare” le buone pratiche. Ogni regione, infatti, ha cercato di organizzare la rendicontazione amministrativa di questo capitolo di spesa, facilitando la gestione che a tutti gli effetti è a prevalenza nazionale piuttosto che regionale o addirittura aziendale.
  • TARGET THERAPY E ONCOLOGIA PERSONALIZZATA Oncologia ed oncoematologia rappresentano aree in cui la medicina personalizzata, la cosiddetta target therapy ha raggiunto l’apice applicativo. Dall’ immunoncologia ai primi farmaci agnostici recentemente introdotti, alle numerose terapie target efficaci nelle molteplici mutazioni tumorali, la ricerca sta portando alla luce una quantità di conoscenze tali per cui è chiaro che la profilazione genomica sarà elemento cardine in continua evoluzione, su cui si svilupperà la medicina del futuro. Ma nonostante la consapevolezza di tutto ciò, il trasferimento nel real world di queste conoscenze e degli strumenti tecnici e organizzativi adeguati per gestirle è rallentato da difficoltà burocratiche. Permangono a livello istituzionale, nazionale e regionale, elementi di incertezza sul budget dedicato ai test da eseguire che sono necessari per impostare terapie e percorsi di cura appropriati. Le tempistiche di approvazione da parte dell’autorità regolatoria italiana delle terapie (in particolare quelle innovative), che finalmente si sta allineando con le medie europee, non segue di pari passo l’inserimento nei LEA e la codifica, con attribuzione dei costi, dei test necessari. Resta ancora un forte carico di incertezza su quale centro di costo dovrà farsi carico di quei test molti dei quali condizionano la prescrizione della terapia target.

Oncologia: le nuove frontiere diagnostico- terapeutiche e il valore aggiunto del lavoro di squadra per curare il cancro

Padova, 8 novembre 2022 – Le nuove frontiere diagnostico-terapeutiche in oncologia sono protagoniste della seconda giornata degli Stati generali dell’oncologia ONCOnnection Nord Est: Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, che si tengono a Padova, presso l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM). L’evento è organizzato da Motore Sanità, con la sponsorizzazione non condizionante di Ipsen Innovation for patient care, Gilead, Daiichi- Sankyo, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Takeda, AstraZeneca, Servier, Bristol Myers Squibb. Dal tumore del seno ai carcinomi del retto, ecco alcuni ambiti in cui sono evidenti le nuove frontiere diagnostico terapeutiche. In questo scenario il ruolo della multidisciplinarietà è valore aggiunto per garantire il miglior percorso di cura per il paziente oncologico. Le esperienze a confronto.

Claudio Belluco, Direttore f.f. struttura di Chirurgia oncologica generale con indirizzo sui sarcomi, tumori rari e multi-viscerali CRO Aviano, ha portato l’esempio dei carcinomi del retto che rappresentano un modello clinico fortemente rappresentativo dell’integrazione multidisciplinare in oncologia. “Nei pazienti con carcinoma del retto localmente avanzato l’obiettivo è ridurre il rischio di recidiva locale e di metastasi a distanza, cercando nel contempo di preservare quanto più possibile la funzione d’organo – ha spiegato il professor Belluco -. L’integrazione di radio e chemioterapia preoperatoria permette di raggiungere risposte cliniche complete in quasi un quarto dei pazienti. In questi casi studi clinici stanno esplorando la possibilità di applicare un atteggiamento conservativo senza ricorrere all’intervento chirurgico di asportazione del retto ma riservando questa opzione ad una eventuale ripresa di malattia. In aggiunta alla radio-chemioterapia preoperatoria standard si sta consolidando un approccio di tipo “total neoadjuvant” nel quale tutto il trattamento viene effettuato nella fase preoperatoria. Questo approccio si sta dimostrando particolarmente efficace nei casi ad alto rischio. La chirurgia permette l’asportazione con tecnica mini-invasiva anche di tumori molto bassi evitando di dover ricorrere a stomie definitive. La ricerca traslazionale mediante l’utilizzo di nuove tecnologie nel campo della biologia molecolare come l’NGS, dell’analisi “radiomica” dei dati generati dalla risonanza magnetica e l’applicazione dell’intelligenza artificiale si sta avvicinando all’identificazione di fattori predittivi di risposta per un trattamento sempre più personalizzato”.

L’innovazione in chirurgia senologica è stata invece affrontata da Alberto Marchet, Direttore UOC Chirurgia Senologica Istituto Oncologico Veneto IRCCS: “Capostipite dell’innovazione in chirurgia senologica è stato il professor Veronesi, che ha capovolto il concetto oncologico, oramai datato, di

massimo trattamento tollerabile, nel moderno concetto di minimo trattamento efficace. I processi innovativi interessano, oltre il perfezionamento delle tecniche di chirurgia oncoplastica, tutti i trattamenti specialistici complementari e sono volti all’ottimizzazione del percorso di cura, di cui elenco solo alcuni esempi. La sinergia con la radioterapia ha permesso la nascita della radioterapia intra-operatoria che consente, in casi selezionati, una riduzione della tossicità, oltre che un’ottimizzazione del trattamento. La collaborazione con i chirurghi plastici si concretizza nelle innovative ricostruzioni pre-pettorali, che consentono di evitare un secondo intervento chirurgico e conferiscono un risultato estetico più naturale. Le moderne tecnologie di imaging radiologico permettono localizzazioni sempre più accurate delle lesioni mammarie; il nostro centro ha recentemente sviluppato la chirurgia conservativa eco-guidata che ha determinato una riduzione di circa il 50% sia dei re-interventi per margini infiltrati, che dei volumi di tessuto mammario sano asportato. In definitiva l’approccio multidisciplinare è la vera vittoria nel trattamento moderno della patologia oncologica mammaria, permettendo di modulare l’atteggiamento terapeutico sulla singola Paziente (tailored therapy), al fine di ottenere il miglior risultato di cura possibile”.

“Grazie alla nostra conoscenza sul genoma del cancro del pancreas – è intervenuto in questo ambito Claudio Bassi, Direttore dell’Unità di Chirurgia del pancreas all’Istituto del Pancreas AOUI Verona – oggi possiamo avere dei pannelli di geni che ci indirizzano non solo sul campo farmacologico ma incominciano ad aiutarci a dettare i tempi delle diverse terapie, se prima la chirurgia o dopo la chirurgia, il ruolo della radioterapia. Insomma molte cose avanzano ma con un grande bisogno di fondi e con la necessità di essere sempre più coscienti del fatto che questo tipo di oncologia, quella relativa al tumore del pancreas, nell’arco di pochi anni diventerà la seconda causa di morte oncologica dalla quarta che era e che ancora lo sarà per poco. Il bicchiere mezzo pieno è che questo succede anche perché in tanti altri campi delle neoplasie stiamo ottenendo dei risultati straordinari e quindi le curve evidentemente si intersecano. L’innovazione, dunque, non può non essere accompagnata dalla integrazione reciproca e solo l’integrazione reciproca permette di delineare vie di sviluppo in termini farmacologici ma anche di scelte terapeutiche”.

E proprio sul concetto di multidisciplinarietà è intervenuto Giovanni Tazzioli, specialista in Chirurgia toracica e in Chirurgia d’urgenza, Responsabile Chirurgia Oncologica Senologica, AOU Policlinico Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. “La multidisciplinarietà è la vera nuova frontiera del trattamento oncologico. La tecnologia fa passi da gigante e offre continuamente nuovi presidi ai radiologi che permettono di fare diagnosi sempre più precoci e ai chirurghi che beneficiano di strumenti di precisione in sala operatoria. Nello stesso tempo la ricerca in campo farmaceutico e gli studi clinici di cui oggi disponiamo forniscono dati incoraggianti sull’utilizzo di nuovi farmaci e nuove associazioni di trattamento ad oncologi e radioterapisti. Ma è solo l’unione delle competenze di tutti questi professionisti che garantisce il vero beneficio al paziente. É fondamentale che i pazienti oncologici comprendano l’importanza di riferirsi sempre a centri certificati, che dispongano di percorsi standardizzati e che offrano una presa in carico a 360 gradi, dalla fase di diagnosi, alla fase di cura e poi successivamente, durante gli anni del follow-up. La competenza e l’esperienza di un singolo medico amplifica il suo potenziale se inserita in un gruppo multidisciplinare che opera in un centro di riferimento. E infine, multidisciplinarietà vuol dire anche essere inseriti in gruppi di ricerca, in studi sperimentali di respiro nazionale e internazionale. La facilità di confronto che offrono i mezzi di comunicazione attuali è un preziosissimo alleato che ci permette di offrire al paziente oncologico trattamenti sempre più all’avanguardia e nati dalla condivisione di dati e esperienze di gruppi di professionisti in tutto il mondo”.

Pietro Ruggieri, Professore ordinario della Clinica Ortopedica ed Oncologia Ortopedica, Università degli Studi di Padova e Direttore UOC Clinica Ortopedica e Oncologia Ortopedica AOU Padova, ha sottolineato che “la collaborazione multidisciplinare è il principio fondamentale da almeno vent’anni. Il paziente deve essere valutato dall’ortopedico, dall’oncologo medico, dal radiologo, dal patologo, dal radiologo interventista, dal chirurgo generale, dal chirurgo vascolare e dal chirurgo plastico. Il trattamento deve perciò avvenire in ospedali con tutte le specializzazioni necessarie, come avviene nell’Azienda Ospedale Università di Padova. Se la collaborazione multidisciplinare è utile nel trattamento dei tumori benigni dello scheletro, diventa imprescindibile nel trattamento dei tumori maligni – ha spiegato il professor Ruggieri -. Oggi sempre più pazienti con metastasi da carcinomi possono guarire o avere lunghe sopravvivenze, soprattutto in caso di oligometastasi (massimo 3-5 metastasi in un singolo apparato), grazie a una corretta diagnosi e ad un trattamento più aggressivo, con approccio multidisciplinare. I sarcomi, tumori maligni primitivi dello scheletro, vengono osservati in pazienti giovani, adolescenti o giovani adulti. È cruciale un trattamento tempestivo che deve considerare l’accrescimento dello scheletro e che coinvolga l’oncologo medico, il patologo e il chirurgo ortopedico nella diagnosi istologica, la chemioterapia pre-operatoria, l’intervento chirurgico e la chemioterapia post-operatoria. La collaborazione multidisciplinare con figure non mediche come ingegneri, matematici, fisici, biologi e l’utilizzo di materiali 3D-printed, permette oggi tecnologie innovative nella ricostruzione di segmenti scheletrici”.

Le associazioni dei pazienti oncologici: <<In questa rivoluzione che investe l’oncologia vogliamo esserci per portare all’attenzione i bisogni degli ammalati>>

Padova, 8 novembre 2022 – L’innovazione terapeutica in oncologia è determinante per migliorare il percorso di cura dei pazienti; si è di fronte ad una vera e propria rivoluzione in campo oncologico. Ma in questa rivoluzione le associazioni dei pazienti vogliono farne parte, portando all’attenzione le esigenze e richieste dei pazienti, idee e progetti per migliorare la qualità di vita degli ammalati. Questi i temi della terza tavola rotonda “Innovazione terapeutica in oncologia” della seconda giornata degli Stati generali dell’oncologia ONCOnnection Nord Est: Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, in corso a Padova presso il VIMM Istituto Veneto di Medicina Molecolare. L’evento è organizzato da Motore Sanità con la sponsorizzazione non condizionante di Ipsen Innovation for patient care, Gilead, Daiichi-Sankyo, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Takeda, AstraZeneca, Servier, Bristol Myers Squibb.

Sandra Balboni, Presidente Nazionale Loto ODV, l’associazione che rappresenta tutte le patologie che riguardano i tumori ginecologici ha voluto sottolineare il ruolo delle associazioni di pazienti. “Questi momenti di confronto come gli Stati generali Onconnection, sono fondamentali per la condivisione di esperienze, informazioni, criticità. Le criticità sono tante oggi, ma conoscerle significa poterle affrontare. Per affrontarle è strategico il ruolo delle associazioni di pazienti che devono essere sempre di più nei tavoli permanenti e nei tavoli decisionali e istituzionali, dove vengono prese decisioni che impattano sulla vita dei pazienti e dei loro famigliari. Quindi noi vogliamo esserci, vogliamo dare il nostro contributo e il nostro pensiero. Esserci significa anche essere formati sui vari temi che sono in discussione e come associazioni lo facciamo quotidianamente, insieme ai pazienti. Noi ci siamo e vogliamo esserci. E’ dalla buona volontà del singolo che nascono le buone pratiche.”.

Anna Donegà, Europa Donna Italia e vicepresidente dell’associazione Volontà di Vivere (parte del network EDI) ha sottolineato il ruolo strategico del fare rete. “Questo ampio territorio conta 41 breast unit: qui Europa Donna è rappresentata da 33 associazioni diverse che si occupano delle donne con tumore al seno, oltre ad avere contatti con altre associazioni pazienti. La rete tra di esse è un elemento strategico fondamentale per garantire un efficace ruolo di advocacy e di collegamento tra centri di cura e territorio garantendo ai pazienti un percorso di cura personalizzato“.

Innovazione terapeutica in oncologia significa parlare anche di farmaci agnostici e oncologia personalizzata. Marina Coppola, Direttore UOC farmacia Istituto Oncologico Veneto IRCCS ha definito i farmaci agnostici nell’oncologia di precisione come una delle grandi aree di innovazione per la terapia del cancro. E poi ha spiegato il ruolo del farmacista ospedaliero nel Molecular tumor board (MTB).

“La disponibilità di metodiche di sequenziamento genico esteso e di un numero crescente di nuovi farmaci, attivi su diversi bersagli molecolari, sta cambiando le prospettive di cura per un numero sempre maggiore di pazienti – ha spiegato Marina Coppola -. Ciò presuppone non solo grande expertise da parte dei team, ma anche una visione centralizzata dei percorsi assistenziali, un approccio integrato delle cure e una modalità multidisciplinare per la gestione dei casi clinici più complessi; in sintesi un coordinamento centrale. Questi presupposti in Regione Veneto si sono concretizzati con l’istituzione di un gruppo di lavoro multidisciplinare regionale coordinato dalla rete oncologica veneta, che in prima battuta ha definito i criteri di eleggibilità alla profilazione genomica, le caratteristiche dei test molecolari idonei, i criteri di accesso e prioritizzazione dei farmaci, i laboratori accreditati, la tariffazione delle prestazioni. Il Molecular tumor board (MTB) si riunisce con cadenza settimanale per la discussione delle richieste di accesso alla profilazione genomica e alla terapia agnostica provenienti dalle aziende sanitarie del Veneto. Oggi l’attività del MTB si configura come un modello organizzativo di funzionamento nell’ambito della rete oncologica regionale”.

Tra le figure professionali previste nel MTB, appunto, “il farmacista ospedaliero ha un ruolo essenziale nel valutare le modalità di accesso al farmaco seguendo i criteri di prioritizzazione stabiliti ovvero arruolamento in studi clinici, accesso all’uso compassionevole, off-label e farmaci con registrazione agnostica – ha aggiunto la professoressa Coppola -; inoltre fornisce tutto il supporto nella valutazione dell’appropriatezza e della sostenibilità dei test genetici e dei farmaci, in aggiunta alla valutazione degli eventi avversi e degli esiti da utilizzo dei farmaci nella real word. La sfida professionale molto innovativa per il farmacista ospedaliero nel MTB lo vede in prima linea nell’affrontare le numerose questioni di management sanitario correlate all’innovazione clinica con un approccio bottom up, partendo dall’osservazione delle attività correnti dei MTB che vanno dalle scelte tecnologiche di diagnostica molecolare, alle modalità di accesso al farmaco, nel rispetto della normativa e della sostenibilità”.

In oncologia è straordinaria e rapida la rivoluzione tecnologica ma serve essere al passo con nuovi investimenti

Padova, 8 novembre 2022 – La direzione in cui l’oncologia medica sta andando è quella della medicina personalizzata. Già oggi molti dei pazienti oncologici vengono trattati in maniera molto personalizzata dal punto di vista molecolare ma nei prossimi 5-10 anni probabilmente la stragrande maggioranza dei pazienti richiederà una caratterizzazione molecolare molto completa e complessa (uso di pannelli genici e di tecnologie NGS estremamente sofisticate e complesse). L’oncologia è pronta per accogliere questa rivoluzione dal punto di vista clinico e dell’organizzazione? Se n’è parlato durante gli Stati generali dell’oncologia ONCOnnection Nord Est: Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli- Venezia Giulia, Emilia-Romagna, in corso a Padova presso l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM). L’evento è organizzato da Motore Sanità con la sponsorizzazione non condizionante di Ipsen Innovation for patient care, Gilead, Daiichi-Sankyo, AstraZeneca, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Bristol Myers Squibb, Servier, Takeda.

La rivoluzione tecnologica in oncologia porta nomi come tecnologie NGS, companion test in biopsia liquida, stato mutazionale, profilazione genomica. “Per accogliere appieno questa rivoluzione servono tecnologie molto avanzate, tecnologie di biologia molecolare che non sono alla portata di tutti i centri e che richiedono aggiornamenti continui, e anche la necessità di personale molto specializzato in grado di fare queste indagini e anche di interpretarle per poi tradurle in decisioni terapeutiche – ha spiegato Andrea Ardizzoni, Direttore Oncologia medica, Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna -. Questo tipo di rivoluzione richiede anche una rivoluzione dal punto di vista organizzativo perché non è pensabile che questa tecnologia sia distribuita sul territorio in maniera capillare, perché richiede centri di riferimento, in grado di svolgere numeri di indagine molto elevate. Se vogliamo governare questa rivoluzione-evoluzione bisognerà pensare a centri di riferimento regionali, possibilmente in grado di servire la grande maggioranza degli ospedali di quel distretto o area o regione, che dovranno essere finanziati ad hoc per potere avere le tecnologie, poterle rinnovare quando necessario, avere personale specializzato per farlo, e questi centri dovranno essere collegati con un sistema di rete agli ospedali dell’area geografica di riferimento in modo da poter scambiare il materiale in maniera rapida, poter scambiare le informazioni diagnostiche e la loro interpretazione. Senza questo tipo di organizzazione rischiamo di avere un paese dove non c’è omogeneità di accesso a queste tecnologie e alla ricaduta che queste avranno nella terapia oncologica”.

Il test HRD per l’analisi dell’Homologues Recombination Deficiency risulta fondamentale per il trattamento del tumore ovarico in quanto predittore di sensibilità ai PARPi, anche in associazione con bevacizumab. Ne ha parlato Laura Cortesi, Responsabile della struttura semplice di Genetica oncologica AOU di Modena. “Dati clinici

hanno infatti dimostrato vantaggi in sopravvivenza delle pazienti trattate con tali farmaci in presenza di HRD. D’altra parte, i pazienti che non esprimono HRD non derivano, nel trattamento adiuvante del tumore ovarico, vantaggi significativi in termini di sopravvivenza. La quota di pazienti che risulta HRD è pari al 20%, che assommato al 30% di mutazioni BRCA1/2 rappresenta il 50% di tutti i pazienti affetti da neoplasia epiteliale ovarica di alto grado. Pertanto, l’identificazione di questa quota di pazienti risulta fondamentale per la corretta gestione terapeutica del tumore ovarico nello stadio iniziale e per una cost- effectiveness dei PARPi in questa patologia, essendo tali farmaci ad oggi molto costosi. Finora tale test è stato condotto su pazienti risultati non portatori di mutazioni BRCA1/2, a completamento dell’analisi genetica condotta nei singoli laboratori. L’unica possibilità per eseguire tale analisi è stata, fino a settembre 2022, il MyriadMyChoice test. Oggi alcuni laboratori possono produrre tale test “in house”, contestualmente al test BRCA1/2, garantendo fin dalla diagnosi la migliore terapia personalizzata per la paziente. Essendo l’HRD un companion diagnostic per l’utilizzo dei PARPi, è necessaria la rimborsabilità del test, dati anche gli elevati costi (circa 1800 euro). Si chiede pertanto di identificare in tempi rapidi i centri nazionali che possono garantire l’esecuzione del test, nel rispetto delle competenze acquisite, nonché l’ottenimento del rimborso per tale analisi”.

Sulla biopsia liquida è intervenuto Stefano Indraccolo, Dirigente medico e Responsabile dell’Unità Operativa UOSD Oncologia di base sperimentale e traslazionale, Istituto Oncologico Veneto IRCCS: “La biopsia liquida è una metodica di recente introduzione nella pratica medica che sta contribuendo a migliorare la diagnostica molecolare che è alla base dell’oncologia di precisione. Si tratta di un insieme di test genetici che vengono eseguiti su di un campione di sangue venoso nel quale si ricercano alterazioni molecolari utili per la prescrizione di farmaci target. La biopsia liquida utilizza tecnologie ad elevatissima sensibilità per rilevare tracce genetiche rilasciate dai tumori nel plasma, il cosiddetto ctDNA (circulating tumor DNA). La biopsia liquida è stata finora utilizzata in ambito clinico routinario nella diagnostica molecolare dei tumori polmonari e si ricorre a tale procedura in tutti i casi nei quali il campione di tessuto ottenuto mediante la biopsia tradizionale non sia adeguato per condurre le indagini molecolari richieste per impostare al meglio la terapia. È tuttavia probabile che nei prossimi anni l’impiego clinico della biopsia liquida vada ben oltre i limiti attuali. Stanno infatti emergendo dagli studi clinici in corso sempre crescenti indicazioni che questo tipo di indagine possa essere utilizzato per il monitoraggio della cosiddetta “malattia minima residua”, ad esempio dopo un intervento chirurgico, consentendo il riconoscimento di residui altrimenti “invisibili” di cancro, e possa pertanto essere utilizzata come biomarcatore dinamico tumorale al fine di indirizzare al meglio il trattamento post-chirurgico dei pazienti oncologici”.

Le terapie a bersaglio molecolare hanno significativamente migliorato la prognosi dei pazienti oncologici avvicinando sempre più la terapia medica delle neoplasie al concetto di oncologia di precisione. L’ottimizzazione delle tecniche di diagnostica molecolare si è rivelata essenziale per l’identificazione dei pazienti in grado di beneficiare di determinati farmaci innovativiha spiegato Giulia Pasello, Ricercatrice Universitaria in Oncologia, Università degli studi di Padova; UOC oncologia 2 Istituto Oncologico Veneto. “In particolare, il sequenziamento di nuova generazione ha consentito la determinazione di più biomarcatori predittivi con maggiore sensibilità rispetto a metodiche più tradizionali, consentendo pertanto di profilare il paziente oncologico in modo completo sin dalla diagnosi. La prevalenza sempre maggiore dei pazienti oncologici e il costo dei farmaci innovativi sottolineano la necessità di uno strumento per coniugare innovazione a sostenibilità”. Una adeguata selezione dei casi da candidare a caratterizzazione molecolare estesa, la definizione del pannello ideale, e l’identificazione
della strategia di accesso al farmaco possono ottimizzare il percorso diagnostico- terapeutico del paziente oncologico”, ha sottolineato Giulia Pasello. “Dati di letteratura infatti dimostrano che sequenziamenti mediante ampi pannelli identificano alterazioni molecolari target di nuovi farmaci in circa il 40% dei casi, e che l’accesso effettivo al farmaco si ottiene nel 25% della casistica iniziale. Il molecular tumor board rappresenta uno strumento con cui ottenere appropriatezza diagnostico-terapeutica e una omogenea ottimizzazione del percorso del paziente oncologico a livello Regionale e, auspicabilmente, a livello nazionale”.

Cancro dell’endometrio: la nuova terapia che aspettavamo da oltre 20 anni

Gianni Amunni, Coordinatore Rete Oncologica Regione Toscana: “Ora si apre una nuova prospettiva che richiede l’aggiornamento dei Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA), la selezione di casi eleggibili, l’individuazione di percorsi tempestivi e appropriati”.

4 novembre 2022 – Proseguono gli incontri su “IMMUNONCOLOGIA AL FEMMINILE – FOCUS ON CARCINOMA ENDOMETRIALE” nelle principali regioni italiane, organizzati da Motore Sanità con il contributo incondizionato di GSK. Obiettivo analizzare l’attuale cambio di scenario nelle opportunità di cura di questo tumore – in Italia le stime indicano attualmente 122.600 donne che vivono dopo una diagnosi di carcinoma dell’endometrio, e una mortalità stimata per il 2021 di 3.100 decessi, nonostante la sopravvivenza a 5 anni sia passata dal 77% nel 2017 al 79% nel 2020 – al fine di generare idee e buone pratiche per garantire un accesso rapido alle terapie più efficaci e ai test necessari, mantenendo appropriatezza senza sprechi di risorse.

La tappa TOSCANA, MARCHE, UMBRIA ha regalato spunti davvero interessanti.

Così Gianni Amunni, Coordinatore Rete Oncologica Regione Toscana: “Da oltre 20 anni non si verificava la disponibilità di una nuova terapia in grado di incidere sulla prognosi di un tumore che, pur considerato non particolarmente aggressivo, aveva una quota di recidive difficili da trattare. Ora si apre una nuova prospettiva che richiede aggiornamento dei Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali (PDTA), selezione di casi eleggibili, individuazione di percorsi tempestivi e appropriati”.

Questo tumore conta circa 400mila nuovi casi all’anno in tutto il mondo”, continua Michele Maio, Direttore del Dipartimento Oncologico e del Centro di Immunoncologia dell’Azienda Ospedaliero-universitaria Senese. “In Italia si contano circa 10mila casi ogni anno, con oltre 2mila decessi. Si tratta quindi di un tumore con rilevanza anche in termini numerici che rischia di aumentare ulteriormente nei prossimi anni. L’immunoterapia nel cancro è una strategia promettente. I dati concreti si hanno da circa 10 anni. Non tutti i pazienti, però, rispondono all’immunoterapia. Non sappiamo il motivo, ma sappiamo che è possibile identificare pazienti più sensibili verso questo tumore. Mentre con la chemioterapia la risposta è dura da mantenere nel tempo, con l’immunoterapia questo è possibile e diversi studi dimostrano che i pazienti vivono meglio. Dalla conferma dei dati che abbiamo fino ad ora è verosimile che tra 5 o 6 anni potremo parlare di terapia che ci permetterà di evitare la chirurgia”.

Risultati assolutamente incoraggianti, come conferma Rossana Berardi, Presidente Associazione Women for Oncology Italy, Professore Ordinario di Oncologia Università Politecnica delle Marche e Direttore della Clinica Oncologica AOU Ospedali Riuniti di Ancona, che plaude all’introduzione di questi farmaci innovativi. Con un ma. “É importante rendere rapido, efficace ed equo l’accesso ai farmaci innovativi che hanno documentato dati di attività ed efficacia per i nostri pazienti oncologici e altrettanto fondamentale è rendere omogeneo l’accesso alla profilazione biomolecolare sul panorama nazionale”.