Attività fisica, toccasana per vivere in salute e grande alleata per affrontare le malattie del secolo

Padova, 26 ottobre 2022 – L’attività fisica fa bene alla salute, è un concetto che si è bene affermato fra la gente, che ha compreso i suoi benefici, grazie soprattutto alle campagne di promozione e di sensibilizzazione dell’attività fisica diffuse sul territorio nazionale. Ma attività fisica non significa solo vivere in salute e più a lungo. Di fronte a malattie croniche, essa è in grado di far fare passi avanti grazie, per esempio, alla salute digitale. Di questo e non solo, si parlerà a Padova, da giovedì 27 a sabato 29 ottobre, al X Congresso della European Initiative for Exercise in Medicine, l’iniziativa sanitaria globale gestita dall’American College of Sports Medicine (ACSM) che si prefigge di rendere la valutazione e la promozione dell’attività fisica uno standard nell’assistenza sanitaria. Location d’eccezione l’Orto botanico.

“Exercise is Medicine” si impegna a promuovere lo sport per il mantenimento di una salute ottimale, considerandolo parte integrante nella prevenzione e nel trattamento di molte condizioni mediche. L’evento, che si inserisce nelle celebrazioni per l’anniversario degli 800 anni dalla fondazione dell’Università di Padova, è principalmente (ma non esclusivamente) rivolta a medici professionisti dell’ambito sanitario e a chinesiologi e mira ad implementare l’utilizzo della prescrizione di esercizio nella popolazione generale e nell’ambito dei sistemi sanitari. L’evento è organizzato da Exercise is Medicine – EIM® Italy, sotto l’egida del Dipartimento di Medicina, in collaborazione con Motore Sanità. Il Professor Andrea Ermolao, Direttore dell’UOC di Medicina dello Sport e dell’Esercizio, è organizzatore del Congresso e responsabile putativo di Exercise is Medicine Italy.

Saranno tre giorni di confronti, discussioni, presentazione di studi e sono coinvolti i massimi esperti a livello nazionale e internazionale. Le tre giornate, che saranno suddivise in sessioni, saranno di alto livello scientifico sia dal punto di vista dei relatori coinvolti sia dei contenuti che verranno portati nei tavoli di lavoro. Verrà affrontato lo sport in medicina da diverse prospettive: dalla valutazione dell’implementazione dell’attività fisica nei contesti sanitari, agli aspetti finanziari degli interventi di attività fisica da un punto di vista medico ed economico; dall’allenamento adattato all’esercizio come terapia a bersaglio molecolare per le malattie croniche, al monitoraggio con sensori e salute digitale nel diabete, fino all’implementazione e l’impatto di Moving Medicine (risorsa di e-health per la promozione dell’attività fisica), l’allenamento per i pazienti affetti da obesità; gli esercizi per i pazienti affetti da cancro, i rischi e i benefici degli interventi di esercizio clinico in montagna. E si parlerà anche dell’immersione in apnea e con autorespiratore per i pazienti con malattie croniche, dell’interazione tra dieta, alterazioni genetiche ed esercizio fisico sui fattori di rischio cardiovascolare negli adolescenti, nonché del ruolo del movimento negli anziani.

E ancora: temi e questioni aperte ai quali gli esperti cercheranno di rispondere: come viene affrontata la medicina dello sport e dell’esercizio fisico in Europa; quali sono i progressi dell’ultimo

decennio; come impattano le condizioni ambientali sullo sport; qual è la prospettiva europea futura per gli specialisti dell’esercizio fisico in ambito sanitario.

Roberto Vettor, direttore del Dipartimento di Medicina (DIMED) dell’Università di Padova e membro di EIM Italy spiega gli obiettivi di questo congresso: «Grazie al contributo di relatori di alto profilo nazionale ed internazionale, il congresso si prefigge di diffondere le evidenze sempre più cospicue riguardo i benefici dell’esercizio fisico in diverse condizioni fisiologiche e patologiche, spaziando dalla valutazione funzionale fino alla prescrizione e somministrazione di esercizio fisico individualizzato e adattato».

Esercizio fisico, alleato della prevenzione ma non solo, secondo Antonio Paoli, prorettore al benessere e allo sport dell’Ateneo patavino. «Sappiamo bene, da anni, che l’esercizio fisico è un pilastro fondamentale nei piani di prevenzione ma anche, e questa è una consapevolezza più recente, uno strumento fondamentale nella terapia delle malattie croniche non trasmissibili». E ancora: «L’Università di Padova è particolarmente lieta di poter ospitare questo evento all’Orto botanico; l’attenzione al benessere, agli stili di vita sani e all’esercizio fisico come componenti fondamentali della salute per tutta la comunità accademica è infatti uno dei punti caratterizzanti dell’attuale governance di Ateneo. Non a caso la rettrice Daniela Mapelli ha fortemente voluto un protettorato dedicato proprio ai temi del benessere e dello sport, dimostrando una grande capacità di visione e di innovazione. Questo congresso internazionale si inserisce nella visione, ormai pienamente accettata dalla comunità scientifica, dell’esercizio fisico come presupposto fondamentale per una vita lunga e sana» conclude Antonio Paoli.

Occhi puntati anche alla corsa/camminata “Aspettando la Corri X Padova”, l’incontro sportivo che dà appuntamento giovedì 27 ottobre alle 20,30. La partenza è prevista da Prato della Valle. I cittadini potranno sperimentare i benefici dell’attività fisica della corsa e della camminata attraverso due possibili percorsi in città: uno da 8 chilometri e uno da 5 chilometri.

Sempre in Prato della Valle, dalle 19.30, negli stand di “Exercise is Medicine”, sarà possibile ottenere una consulenza personalizzata sull’attività fisica (anche per persone con patologie) e ritirare le magliette ufficiali dell’evento (fino ad esaurimento scorte). Sono previsti assistenza, scorta tecnica e riscaldamento pre-corsa/camminata con personale qualificato. L’appuntamento è gratuito e non è necessaria l’iscrizione.

Tumore dell’endometrio: l’immunoterapia offre nuove opportunità di cura

Il tumore dell’endometrio è una patologia importante che negli ultimi anni è aumentata in maniera particolare. In Italia l’incidenza si colloca più o meno a metà nel panorama mondiale. Sono diagnosticati circa 8mila nuovi casi ogni anno e sono circa 3mila le donne che perdono la vita.

In Italia le stime indicano attualmente 122.600 donne che vivono dopo una diagnosi di carcinoma dell’endometrio, e una mortalità stimata per il 2021 di 3.100 decessi. Tutto ciò, nonostante la sopravvivenza a 5 anni sia passata dal 77% nel 2017 al 79% nel 2020. Questi numeri rendono questa neoplasia la terza causa più comune di morte per tumori femminili, dietro al tumore ovarico e il tumore del collo dell’utero. Le opzioni terapeutiche sono piuttosto limitate, fortunatamente però la ricerca è in continua evoluzione come dimostrato un importante e recentissimo sviluppo: l’approvazione da parte di FDA ed EMA della prima monoterapia anti-PD-1 da utilizzare nel carcinoma endometriale ricorrente o avanzato nelle pazienti con tumori MSI-mutati in progressione durante o dopo un precedente trattamento con un regime a base di platino. Di questa importante innovazione terapeutica si è parlato nel convegno “IMMUNONCOLOGIA AL FEMMINILE FOCUS ON CARCINOMA ENDOMETRIALE LAZIO, ABRUZZO, SARDEGNA” organizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di GSK.

Dell’incidenza di questa patologia in Italia ne ha parlato Roberto Angioli, Presidente SIOG – Società Italiana di Ginecologia Oncologica: “Il tumore dell’endometrio è una patologia importante che negli ultimi anni è aumentata in maniera particolare. In Italia abbiamo un’incidenza che si colloca più o meno a metà nel panorama mondiale. Come numeri – prosegue Angioli – abbiamo circa 8mila nuovi casi ogni anno e sono circa 3mila le donne che perdono la vita. Rispetto al passato è aumentata l’eterogeneità dell’incidenza in tutto il Paese, questo perché questa patologia è correlata a molte cattive abitudini come il fumo, la sedentarietà e l’obesità. La mortalità alta della malattia è legata anche alla scarsità di terapie efficaci per le forme più gravi della malattia, ma grazie alla ricerca lo scenario sta cambiando. “Oggi – ha spiegato Roberto Angioli – per queste pazienti il trattamento è cambiato, negli ultimi 5 anni si è cambiato il modo di pensare grazie ai numerosi studi legati al codice genetico e si sono prodotte cure immunoterapiche”.

L’immunoterapia rappresenta un nuovo ed efficace strumento terapeutico ma il sistema deve lavorare per creare modelli in grado di sfruttare al meglio questa terapia, come sottolineato da Clelia Madeddu, Professore Associato di Oncologia Medica, Università degli Studi di Cagliari:” L’immunoterapia sta dimostrando ottimi risultati, ma noi sappiamo, anche da altre

patologie, che l’immunoncologia è più effettiva dove il tumor-burden è minore. Quindi è importante definire e caratterizzare il paziente ma non va dimenticato che ci sono anche altri aspetti che influiscono sull’outcome delle cure. Dobbiamo lavorare, come già fatto per altre neoplasie, per creare un sistema che applichi l’immunoterapia nella maniera più efficace possibile. L’immunoterapia è diversa dalla chemioterapia – conclude la professoressa Madeddu – è quindi importante che gli specialisti per il tumore dell’endometrio si confrontino con gli specialisti che già utilizzano questa terapia per altre patologie, l’esperienza è molto importante soprattutto per le tossicità legate alle cure”.

L’immunoncologia nel trattamento del tumore dell’endometrio, grazie al lavoro dei clinici e dei ricercatori, grazie all’identificazione di determinate molecole sta diventando sempre più una terapia personalizzata. Questo aspetto è stato sottolineato da Antonella Savarese, Responsabile Scientifico Trattamento Oncologico dei Tumori Ginecologici nell’ambito dell’Oncologia Medica IFO – Istituti Fisioterapici Ospitalieri: “Quando abbiamo iniziato a maneggiare le informazioni molecolari nel tumore dell’endometrio c’è stata una volontà di analisi anche critica, le società scientifiche hanno lavorato benissimo nel gestire queste informazioni. È stato un percorso durato diversi anni ma è stato estremamente costruttivo. Da questo aspetto sono cambiate le linee guida nazionali e internazionali con l’integrazione dei fattori molecolari arrivando al punto che i fattori molecolari influiscono sulla scelta della terapia. È nostro compito però non fare gli esami molecolari a pioggia ma applicarli in maniera oculata e razionale, questo è fondamentale per il futuro dell’immunoterapia e per la sostenibilità del sistema”.

Di sostenibilità e di accesso alle cure ne ha parlato anche Enrico Vizza, Direttore Dipartimento Clinica e Ricerca Oncologica IFO, Roma: “Questa innovazione terapeutica che è arrivata nel tumore dell’endometrio ha un impatto molto forte per le pazienti con la prognosi peggiore, questo è sicuramente il futuro della terapia ma dobbiamo renderlo sostenibile da un punto di vista economico. È fondamentale razionalizzare il nostro lavoro e centralizzare certi livelli di gestione, serve però una governance regionale e nazionale in grado di rispondere alle nostre richieste. La sostenibilità è un aspetto estremamente importante per garantire l’accesso a queste terapie perché la ricerca e la clinica sono molto importanti, ma dobbiamo riuscire a portare gli sviluppi alla popolazione”.

Cancro all’endometrio: passi da gigante nel trattamento, grazie agli avanzamenti nella diagnostica molecolare

Petra De Zanet, Presidente Acto Triveneto: “L’immunoterapia è un grande traguardo per le donne che fino ad ora, purtroppo, non avevano speranze per quanto riguarda il tumore dell’endometrio”. 25 ottobre 2022 – Un importante e recentissimo sviluppo sul funzionamento del sistema immunitario nel paziente oncologico si è avuto con l’approvazione, da parte di FDA ed EMA, della prima monoterapia anti-PD-1 da utilizzare nel carcinoma endometriale ricorrente o avanzato nelle pazienti con tumori MSI-mutati in progressione, durante o dopo un precedente trattamento con un regime a base di platino.

Il cancro dell’endometrio, che si forma nel rivestimento interno dell’utero, è tra i più frequenti tumori femminili (5/6% di tutti i tumori femminili e terza neoplasia più frequente nelle donne tra i 50/70 anni). In Italia le stime indicano attualmente 122.600 donne che vivono dopo una diagnosi di carcinoma dell’endometrio, e una mortalità stimata per il 2021 di 3.100 decessi. Tutto ciò, nonostante la sopravvivenza a 5 anni sia passata dal 77% nel 2017 al 79% nel 2020.

Si è parlato di questo, e di molto altro, nel corso dell’evento “IMMUNONCOLOGIA AL FEMMINILE – FOCUS ON CARCINOMA ENDOMETRIALE VENETO, TRENTINO-ALTO ADIGE, FRIULI-VENEZIA GIULIA”, promosso da Motore Sanità con il contributo incondizionato di GSK.

Così Valentina Guarneri, Professore Ordinario, Direttore della Scuola di Specializzazione in Oncologia Medica, Università di Padova: “Tra le neoplasie ginecologiche il carcinoma endometriale sta mantenendo un trend in aumento come incidenza. Per anni le opzioni terapeutiche hanno visto la chemioterapia a base di platino in prima linea, senza uno standard come trattamento di seconda linea. Lo scenario sta drasticamente cambiando grazie agli avanzamenti nella diagnostica molecolare, che oggi permettono di individuare sottotipi a prognosi diversa e per i quali si prospettano opportunità terapeutiche diverse. Il corretto inquadramento prognostico consente, infatti, di massimizzare il beneficio terapeutico per i pazienti a rischio intermedio alto, e di ridurre l’esposizione al rischio di effetti collaterali i pazienti a basso rischio. Anche per quanto riguarda il trattamento della malattia in fase avanzata l’individuazione di target molecolari ha portato importanti miglioramenti nello scenario terapeutico. In particolare è possibile oggi individuare pazienti che possono beneficiare dell’immunoterapia. Abbiamo oggi un inibitore dei check point immunitari in regime di rimborsabilità per i pazienti con instabilità microsatellitare/deficit del mismatch repair come trattamento di seconda linea. Questa strategia è attualmente in studio anche come trattamento di prima linea. Ci sono poi studi di combinazione volti ad ampliare la proporzione di pazienti che possano beneficiare dell’immunoterapia attraverso strategie di combinazione volte ad aumentare l’immunogenicità tumorale”.

Per Sonia Brescacin, Presidente V Commissione Consiglio Regionale del Veneto: “È indubbio che, a fronte di numeri importanti in relazione alle persone che ogni anno vengono colpite da tumore, è necessario compiere ogni sforzo possibile per sostenere la ricerca scientifica, ma anche per garantire le migliori cure possibili. Proprio in quest’ottica mi preme ricordare che in Veneto, più di 8 anni fa, si è sviluppata la Rete Oncologica Veneta, volta a garantire su tutto il territorio l’eccellenza delle cure e le stesse possibilità d’accesso ad ogni cittadino veneto che ne abbia bisogno, ma anche orientata a sostenere il lavoro di ricerca clinica, l’utilizzo di macchinari all’avanguardia e medicinali di ultimissima generazione”.

Soddisfatta Petra De Zanet, Presidente Acto Triveneto: “L’immunoterapia è un grande traguardo per le donne che fino ad ora purtroppo, non avevano speranza per quanto riguarda il tumore dell’endometrio. Come Associazione ci mettiamo in campo aiutando queste donne che si trovano immerse in questa sfrotunata patologia, cercando di star loro vicino e indirizzandole verso i centri d’eccellenza. Centri d’eccellenza che fanno la differenza per queste donne anche attraverso queste terapie innovative”.

All’ospedale Fracastoro di San Bonifacio la distribuzione del farmaco è informatizzata per ridurre avventi avversi, sprechi e per aumentare l’appropriatezza della terapia

Verona, 24 ottobre 2022 La logistica del percorso del farmaco ha ricadute dirette sulla qualità dei percorsi clinico-assistenziali in termini di prevenzione e gestione degli eventi avversi, sulla standardizzazione dei processi, sulla tracciabilità e l’ottimizzazione dei flussi, sulla riduzione degli sprechi e sul conseguente monitoraggio e controllo della spesa. Per questi aspetti l’implementazione di soluzioni che permettono l’automazione e l’informatizzazione negli ospedali e nel territorio rappresentano una reale opportunità di efficientamento e di sostenibilità del servizio sanitario regionale. All’ospedale Fracastoro di San Bonifacio è attivo il nuovo sistema ADS, l’armadio del farmaco lungo 14 metri, largo 1,63 per 2,77 metri di altezza, che svolge la funzione di distribuzione dei farmaci all’interno dell’ospedale. I sistemi automatici di dispensazione (ADS) sono tecnologie innovative, sviluppate per ottimizzare la gestione dei farmaci nel magazzino della farmacia ospedaliera e per garantire una distribuzione corretta e tracciata dalla farmacia ai reparti, fino al paziente. Se n’è parlato durante l’evento “L’AUTOMAZIONE DEL PERCORSO FARMACO IN OSPEDALE E NEL TERRITORIO – Dal PNRR quali opportunità per l’efficientamento e la sostenibilità dei servizi sanitari regionali” organizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di BD.

Manuela Lanzarin, Assessore a Sanità – Servizi sociali – Programmazione socio-sanitaria, Regione del Veneto, in occasione della presentazione dell’innovativo sistema automatico di dispensazione ADS, ha spiegato: “Questo armadio del farmaco è un sistema avanzato che mette insieme appropriatezza, tecnologia, informatizzazione, razionalizzazione, ma anche sicurezza rispetto alla distribuzione e alla appropriatezza del farmaco. Su questi concetti la Regione Veneto sta investendo. Questa tecnologia rappresenta la necessità che all’interno di una singola azienda ci sia un sistema che dialoghi con tutti gli ospedali e che li metta in rete. Questo robot va proprio in questa direzione, non solo per le farmacie che distribuiscono farmaci negli ospedali, ma anche per i farmaci territoriali, pensiamo alle strutture socio-sanitarie e le case di riposo (sono 72 quelle che vengono servite). Il passaggio successivo sarà la preparazione del farmaco per il singolo paziente quindi con confezionamento e blister appropriato, permettendo una maggiore appropriatezza e una maggiore sicurezza nella gestione del farmaco e andrà incontro alle esigenze che oggi ci sono rispetto alla carenza di personale”. “Queste nuove esperienze di tecnologie – ha aggiunto Luciano Flor, Direttore Area Sanità e sociale, Regione del Veneto – ci danno la possibilità di essere più efficienti e noi le accogliamo con grande spirito di innovazione per facilitare la vita ai nostri operatori e al nostro sistema sanitario”.

Pietro Girardi, Direttore generale ULSS 9 Scaligera, Verona ha spiegato: “Il sistema ADS a San Bonifacio è stato configurato per interfacciarsi con i sistemi informatici aziendali (GPI) rilevando i dati da Eusis Richieste. Attualmente fornisce farmaci alle Unità Operative dell’Ospedale di San

Bonifacio e alle residenze sanitarie assistite (72 centri servizi convenzionati) alle quali vanno distribuiti 100.000 farmaci al giorno”.

“Le soluzioni per l’automazione della logistica territoriale del farmaco – ha proseguito il Direttore generale Girardi – facilitano la transizione al nuovo modello di sanità territoriale previsto dal PNRR, rendendo più efficiente la catena logistica e realizzando un punto cardine del Piano: la maggiore prossimità dei servizi al cittadino. I sistemi automatici di dispensazione (ADS) sono tecnologie innovative, sviluppate per ottimizzare la gestione dei farmaci nel magazzino della farmacia ospedaliera e garantire una distribuzione corretta e tracciata dalla farmacia ai reparti, fino al paziente. Tali sistemi, oltre a ottimizzare i processi e consentire tracciatura e risparmio economico, contribuiscono alla riduzione degli errori di somministrazione e conseguenti eventi avversi ai pazienti. L’informatizzazione e automazione del ciclo del farmaco negli ospedali consente inoltre la responsabilizzazione degli operatori sanitari nell’uso dei farmaci, con l’abbattimento di possibili sprechi. L’introduzione dell’automazione comporta anche benefici legati al ROI (ritorno sull’investimento) e che impattano su efficienza dell’ospedale, sicurezza del paziente ed errori terapeutici, con una riduzione di errori nella dispensazione, riorganizzazione del tempo del personale, semplificazione del processo di erogazione, ottimizzazione di scorte e spazi. L’investimento può essere interamente recuperato in circa 3,5 anni”.

Valentino Bertasi, Direttore UOC Farmacia ospedaliera ULSS 9 Scaligera di Verona, ha aggiunto: “L’armadio informatizzato è una tecnologia digitalizzata che ci consente di avere una tracciatura completa del farmaco e una meccanizzazione dei processi di carico e scarico dei farmaci. Il magazzino quindi non è più gestito manualmente da operatori, con la possibilità anche di errori, ma questo sistema robotizzato permette di affrontare problematiche come il rischio clinico o il problema delle giacenze. In questo sistema esiste un processo di digitalizzazione che parte dalla necessità di informatizzare la richiesta del farmaco, di ottimizzare gli spazi e centralizzare le scorte in unico magazzino”.

La Regione Veneto, per il tramite di Azienda Zero, ha avviato un percorso finalizzato a realizzare una soluzione di logistica integrata tra le aziende del servizio sanitario regionale. “Lo scopo – ha spiegato Emanuele Mognon, Direttore UOC Logistica Azienda Zero, Regione del Veneto – è di implementare soluzioni integrate in ambito logistico mettendo a disposizioni strumenti, risorse e progettualità che consentiranno di ridisegnare il ruolo e il valore dei servizi logistici a livello territoriale, ospedaliero e interaziendale. Per molto tempo il settore sanitario è stato “refrattario” alle idee sviluppate in ambito logistico nel settore manifatturiero e nel settore dei servizi, ritenendo che le diversità present i in questi ambiti fossero tali da non consentire sovrapposizioni. In sanità la logistica è spesso stata interpretata come strumento per ridurre le scorte o generare delle economie di scala senza comprenderne il valore strategico ed operativo. Nel frattempo quello che potremmo chiamare “l’effetto amazon”, ovvero il desiderio più o meno esplicito di poter disporre anche in sanità di un servizio logistico confrontabile a quello di molti operatori logistici dell’e-commerce, ha aperto nuove prospettive, nuovi orizzonti e nuove idee. Di recente la pandemia da Covid-19 ha fornito la dimostrazione pratica che la logistica non può essere gestita in modo disgiunto dall’organizzazione sanitaria. Non è una questione di magazzini, di appalti e di scorte, ma di strategia, di visione, di tempestività, di comunicazione, di tecnologia e soprattutto di organizzazione e competenze”.

Contro il tumore all’endometrio si vince con i nuovi farmaci immunoterapici e l’alleanza tra clinici e pazienti

Torino, 24 ottobre 2022 Alleati si vince!”. È il messaggio che Elisa Picardo, ginecologa all’ospedale Sant’Anna della Città della salute e della scienza di Torino e presidente ACTO Piemonte – Alleanza contro il Tumore Ovarico, ha portato alle donne colpite da tumore all’endometrio alla prima tappa torinese dell’evento IMMUNONCOLOGIA AL FEMMINILE FOCUS ON CARCINOMA ENDOMETRIALE PIEMONTE, LIGURIA, VALLE D’AOSTA organizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di GSK. Donne come Simona, 44 anni, che ha scoperto nel 2020 di avere un tumore all’endometrio, una patologia a prognosi sfavorevole e con limitate opzioni terapeutiche, per la quale si contano in Italia circa 8.300 nuove diagnosi annue e circa 2mila decessi (da qui al 2050 i cancri dell’endometrio raddoppieranno, un fatto legato al cambiamento della distribuzione anagrafica della popolazione); nell’area metropolitana di Torino, per gli anni 2008-12, la media annua è di circa 330 nuovi casi (sono la quasi totalità dei tumori che interessano il corpo dell’utero), mentre a livello regionale si possono stimare circa 650 nuovi casi annui, un tasso di incidenza di circa 13 casi ogni 100.000 e un tasso di prevalenza di circa 30 casi ogni 100.000 donne (fonte: CPO- Piemonte).

“È stato un colpo forte per la mia famiglia, per mio marito e per le mie due figlie. Questo tumore ha cambiato la mia vita e quella della mia famiglia” ha raccontato Simona. “Prima di questa diagnosi non conoscevo l’esistenza del tumore all’endometrio, non avevo neppure familiarità e non mi ritrovavo nella casistica di rischio e quindi è stata una grossa preoccupazione”. Emorragie frequenti e periodiche obbligavano Simona ad andare in pronto soccorso e per questo era sotto controllo costante. “La mia ginecologa aveva sospettato che ci fosse qualche cosa di più di una peri menopausa e quindi abbiamo approfondito con un primo intervento e successivamente un secondo. Mi sono sempre sottoposta a test ginecologico, come per esempio il pap test, ma il tumore dell’endometrio non è diagnosticabile con questo tipo di test. Affidandomi alla mia ginecologa sono stata indirizzata all’ospedale Sant’Anna di Torino dove mi hanno guidata in questo percorso di cura, sono stata operata e da circa due mesi ho finito la radioterapia”.

“In campo ginecologico l’immuno-oncologia ha fatto finalmente il suo ingresso e per quanto riguarda il tumore all’endometrio sta rappresentando la scelta di un trattamento che fino ad oggi non avevamo per i casi di recidiva – ha spiegato Elisa Picardo –. Non solo nelle pazienti che esprimono alcuni difetti particolari ma anche in quelle che non li esprimono, l’immunoterapia riesce a fornire un aumento della sopravvivenza libera da malattia e un aumento della sopravvivenza in generale importantissima, al quale non dobbiamo rinunciare, a costo anche di studiare meglio gli effetti collaterali, noi clinici insieme ai pazienti, per migliorare la risposta, quindi la compliance alla terapia. Mi sento di dire alle donne che alleati si vince, perché solo l’alleanza fra medici, pazienti, caregiver e la famiglia può fare la differenza per sconfiggere il cancro”.

Come Regione Piemonte abbiamo voluto in maniera decisiva che ci fosse un solo PDTA per il cancro dell’endometrio, condiviso con tutti gli specialisti della nostra regione, quindi abbiamo definito il percorso e anche degli indicatori di qualità al fine di capire se le indicazioni del percorso vengono seguite, in quale percentuale vengono perfettamente seguite e in quale non vengono seguite cercando di capire le motivazioni – ha spiegato Mario Airoldi, Direttore SC Oncologia Medica 2 AOU Città della Salute e della Scienza di Torino e Coordinatore Area ospedaliera Rete Oncologia Piemonte

-. In campo diagnostico ci stiamo impegnando per unificare su tutto il territorio regionale i test che riteniamo fondamentali per la gestione della patologia dell’endometrio togliendo i test aggiuntivi sperimentali che devono avere un altro tipo di percorso. In questo ambito il percorso del Molecolar tumor board è dedicato proprio ai test che stanno al di fuori della routine clinica e possono essere di utile approfondimento in patologie complesse come queste. Questo tumore si è avvalso di nuove terapie, soprattutto dell’immunoterapia e delle terapie target, che sicuramente vanno incontro a delle esigenze cliniche importanti in pazienti molto complesse, per questo è bene definire i centri che possono gestire al meglio questa patologia condensando il più possibile le competenze e le expertises al fine di offrire il meglio della gestione di questa patologia alle pazienti della nostra regione”.

Giorgio Valabrega, Professore associato del Dipartimento di oncologia dell’Università degli Studi di Torino e Dirigente medico S.C.D.U. Oncologia AO Ordine Mauriziano Torino ha portato l’esperienza di questo istituto che crede moltissimo nella multidisciplinarietà. “Tutte le pazienti che vi accedono vengono seguite in maniera multidisciplinare attraverso tutti gli specialisti che sono coinvolti nella fase diagnostica e terapeutica. Le pazienti, una volta prese in carico, vengono discusse collegialmente e trattate secondo gli standard più rilevanti e, ove possibile, anche nell’ambito di sperimentazioni cliniche. Uno dei principali punti di forza del Mauriziano è proprio il fatto che siamo parte di gruppi cooperativi nazionali e internazionali che promuovono la ricerca clinica. Sicuramente l’immunoterapia, per quanto riguarda le novità, rappresenta la più rilevante e possiamo finalmente prescrivere alle nostre pazienti farmaci immunoterapici che sono altamente efficaci sia nelle pazienti che hanno una particolare alterazione genetica (deficit del MMRd) sia in pazienti che non ce l’hanno in cui l’immunoterapia viene associata ad altri farmaci che ne potenziano l’attività. Tutti questi trattamenti sono disponibili presso il nostro istituto e riteniamo che debbano coinvolgere tutte le pazienti”. E sul ruolo della rete e della formazione, il Professor Valabrega ha aggiunto: “E’ di fondamentale importanza il confronto fra centri di riferimento e i centri periferici per poter fare i trattamenti nel modo giusto. La formazione è di fondamentale importanza e sapere le cose è il primo passo per potere poi farle in maniera corretta, quindi è importantissimo che chi è in grado di fare formazione la faccia ed è un dovere che ha nei confronti dei colleghi”.

Abbiamo finalmente a disposizione un farmaco immunoterapeutico anti PD-1 anche per il carcinoma endometriale avanzato o ricorrente in seguito a chemioterapia – ha spiegato Maria Scatolini, Head, Molecular Oncology Lab – Fondazione Edo ed Elvo Tempia –. Per il suo impiego è necessario identificare nel tumore un’elevata instabilità dei microsatelliti (MSI-H) o un’alterata espressione delle proteine del mismatch repair system (MMRd), nonostante questi due test non siano completamente sovrapponibili come selezione dei pazienti. Alla luce della nuova classificazione molecolare dei carcinomi dell’endometrio in 4 classi prognostiche differenti (POLE, MSI-H, MSS, p53), è ormai chiaro come non si possa fare a meno di una caratterizzazione molecolare a scopo prognostico e predittivo di risposta alle terapie. In questo contesto diventa fondamentale l’identificazione di laboratori che siano in grado di offrire l’analisi di tutti i marcatori molecolari al momento richiesti per il carcinoma endometriale, al fine di offrire la miglior opzione terapeutica a ciascuna paziente”.

“Ma il nostro sistema, compreso quello ligure, non è perfettamente preparato all’implementazione di tutta una serie di test diagnostici – ha concluso Paolo Pronzato, Direttore Oncologia Medica IRCCS San Martino di Genova, Coordinatore DIAR Oncoematologia di Regione Liguria, dove c’è invece un sistema di somministrazione ed erogazione delle nuove terapie molto solida -. Credo che questi test debbano essere gestiti da strutture che garantiscono qualità e tempestività della risposta”.

Grazie alle nuove terapie aumenta l’aspettativa di vita delle persone con talassemia ma il SSR sardo deve adeguarsi alle loro nuove necessità

Carla Cuccu, Commissione Salute e Politiche Sociali: «Serve rimettere al centro della politica sanitaria il benessere del paziente e la cura delle patologie correlate».

La talassemia, anche chiamata “anemia mediterranea”, fa parte di un gruppo di anemie ereditarie caratterizzate da un difetto di produzione delle catene proteiche (globine) che formano l’emoglobina. La forma di talassemia più diffusa in Italia è la β-talassemia, nella quale si ha un difetto della produzione delle catene beta, geneticamente trasmesso come carattere autosomico recessivo. In Italia, si stima che i pazienti talassemici siano circa 7.000, con concentrazione massima in alcune regioni del Centro-Sud: la regione più colpita è la Sicilia, in cui si contano 2.500 pazienti, seguita dalla Sardegna con 1.500; i restanti 3.000 pazienti sono abbastanza uniformemente distribuiti in tutto il resto della penisola. Le mielodisplasie, causate da un difetto della cellula staminale del midollo osseo che produce globuli rossi, bianchi e piastrine, ogni anno fanno segnare un’incidenza di 3.000 nuovi casi in Italia. I sintomi compaiono già nei primi mesi di vita e se non si interviene con adeguate terapie le conseguenze possono essere deformazioni ossee, ingrossamento di milza e fegato, problemi di crescita, complicazioni epatiche, endocrine e cardiovascolari. Fino a 50 anni fa l’aspettativa di vita era di 10-15 anni, ma grazie ai risultati della ricerca questa è nettamente migliorata. In entrambe le patologie la sopravvivenza dei pazienti oggi prevede, oltre a regimi dietetici particolari, trasfusioni ogni 2-3 settimane e assunzione quotidiana di terapia ferrochelante, che eviti i danni da accumulo/intossicazione di ferro in organi vitali (cuore, fegato e pancreas). Motore Sanità ha fatto il punto della situazione in Sardegna, organizzando l’evento “PNRR ED INNOVAZIONE. FOCUS SU BETA-TALASSEMIA ED EMOGLOBINOPATIE” con il contributo incondizionato di BRISTOL MYERS SQUIBB.

Il principale centro di presa in carico e cura per i pazienti talassemici è l’ospedale Microcitemico di Cagliari, da sempre punto di riferimento per i talassemici sardi, come sottolineato da Rossella Pinna, Segretario VI Commissione Salute e Politiche Sociali: “Questo è l’ospedale dei talassemici, una struttura che ha influito sulla ricerca globale e dove il bambino con talassemia può essere preso in carico. Tra queste corsie sono passate generazioni di medici e infermieri che hanno accompagnato nella loro vita i pazienti talassemici e le loro famiglie. Questo presidio ha saputo fare la differenza”.

La classe politica sarda ha molto a cuore gli interessi di questi pazienti, come sottolineato anche da Carla Cuccu, Segretario VI Commissione Salute e Politiche Sociali. “Se un tempo di talassemia si poteva morire adesso grazie alla ricerca e alle nuove terapie sappiamo che con la talassemia si può vivere e quando è disponibile un nuovo farmaco in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti è compito nostro metterlo a disposizione di tutti nel minor tempo possibile. Sono convinta che ora più che mai serva rimettere al centro della politica sanitaria il benessere del paziente e la cura delle patologie correlate”.

Per raccontare più nello specifico la beta-talassemia è intervenuta Susanna Barella, Direttrice SSD Talassemia, Anemie rare, Dismetabolismi del Ferro ed Ematologia Pediatrica non Oncologica Ospedale Pediatrico Microcitemico Antonio Cao ASL Cagliari: “Le talassemie costituiscono il più comune disordine monogenico nel mondo, sono oltre 330mila i nuovi nati ogni anno con questa patologia, molti dei quali nascono nelle zone svantaggiate del mondo dove l’accesso alle trasfusioni e alle terapie è molto limitato. La talassemia è inoltre una patologia estremamente antica infatti il ritrovamento più antico riguardo questa malattia è di un bambino di Cipro che visse con la talassemia nel 7000A.C. circa”. Anche se una malattia molto antica solo negli ultimi anni ci sono stati importanti sviluppi dal punto di vista terapeutico. “Fino agli anni ’50 l’aspettativa – prosegue Barella – di vita era di due tre anni per questi bambini, adesso la talassemia si può definire una patologia a prognosi aperta, perché sempre di più l’aspettativa di vita si sta avvicinando ad una persona sana. Il nostro centro ha in cura alcuni pazienti over65. Tutto questo comporta che la beta talassemia da patologia pediatrica è diventata una patologia dell’età adulta, nell’adulto però sono maggiori gli organi coinvolti e moltissime le comorbilità, è quindi sempre più necessaria una presa in carico del paziente da parte di un team multidisciplinare”.

Team multidisciplinari e centri specialistici possono dare una grande differenza per il paziente ed è su questi che deve puntare la Regione Sardegna. “L’importanza di questi aspetti – conclude Barella è dimostrata dal fatto che l’aspettativa di vita dei pazienti curati in centri esperti è in continua crescita, mentre i pazienti non gestiti da questi centri hanno una aspettativa di vita che non avanza e con un importante gap rispetto i centri esperti”.

Per riuscire però a gestire i pazienti attraverso i centri esperti in un territorio vasto e complesso come quello sardo è necessaria la presenza di un sistema a rete che metta in collegamento tutto il servizio sanitario regionale. La rete per queste patologie però ancora non esiste, come ha spiegato da Antonella Putzu, Dirigente Medico Referente CCRMR Ospedale Pediatrico Microcitemico “Antonio Cao”, ASL Cagliari. “Attualmente in Sardegna esiste la Rete Malattie Rare con un registro regionale delle malattie rare ma è necessario che al contempo si lavori su di una rete regionale per le emoglobinopatie. Le due reti non si escludono a vicenda e devono lavorare entrambe per creare un sistema di centri hub&spoke”.

Sul tema dell’innovazione e su come portarla in maniera efficace ed efficiente all’interno del SSR è intervenuta Martina Assanti, Analist RWS presso IQVIA: “Un sistema sanitario moderno permette l’accesso all’innovazione efficientando i propri processi assistenziali e re-investendo i benefici nelle nuove tecnologie. Questo approccio è fondamentale anche nel percorso assistenziale del paziente talassemico, caratterizzato da un alto numero di accessi alla struttura ospedaliera che impattano sulla qualità di vita dei pazienti e dei caregiver. Un’analisi condotta a livello nazionale da IQVIA Italia ha permesso di proporre un modello organizzativo per la beta-talassemia, caratterizzato da 8 pilastri, che consente di individuare aree di efficienza e innovazione. Il modello organizzativo è stato applicato presso l’Ospedale Microcitemico di Cagliari, centro regionale di riferimento con circa 460 pazienti in carico. Dall’analisi svolta si evidenzia l’opportunità di sviluppare il Case management, tema che si collega sia al DM 77 e alla Missione 6 del PNRR, sia al tema della centralità della Presa In Carico, sempre più presente negli atti governativi. Altre opportunità evidenziate dall’applicazione del modello presso l’Ospedale Microcitemico di Cagliari riguardano il rafforzamento di un network regionale, con la possibilità di istituire tavoli di lavoro regionali per la definizione di linee guida finalizzate alla definizione di un piano di approvvigionamento sangue condiviso e collettivo, e il rafforzamento della multidisciplinarietà anche attraverso piani di formazione degli specialisti coinvolti. Queste riflessioni pratiche – conclude Assanti – potrebbero essere adottate dalle Direzioni Strategiche per rendere più efficienti i processi assistenziali e alimentare la sostenibilità delle innovazioni terapeutiche”.

Il punto di vista dei pazienti è stato portato da Eloisa Abis, vicepresidente Associazione Thalassa Azione Onlus APS: “Le finalità principali della nostra associazione sono quelle di promuovere la prevenzione della talassemia e di sostenere tutti i diritti delle persone con talassemia in tutti gli ambiti. Promuoviamo inoltre la ricerca scientifica per il raggiungimento di terapia sempre più efficaci e meno invasive”. Sono diverse le criticità sul tema della talassemia rimarcate durante l’incontro. “Dopo l’endemica carenza di sangue – che rappresenta un tema centrale – sono due i grandi problemi di sanità per la nostra patologia: la annosa carenza di personale e l’accesso disomogeneo sul territorio. La carenza di personale – aggiunge Abis – non è iniziata con il covid ma è da sempre presente, servirebbero quindi degli investimenti per garantire il personale necessario per rispondere alle necessità del paziente. L’accesso disomogeneo e una non equità di cure tra le diverse strutture dell’isola è un problema enorme, la qualità della cura non deve dipendere da dove vive il paziente ma deve essere ben definito a livello regionale. Per riuscire in questo – conclude la vicepresidente Abisè necessaria la creazione di una rete regionale delle emoglobinopatie che porti poi alla realizzazione di PDTA specifici di patologia.

Scompenso cardiaco: svolta epocale nel trattamento, ma occorre migliorare la presa in carico e l’accessibilità alle cure del paziente

19 ottobre 2022 – Lo scompenso cardiaco, patologia cronica con esito fatale nel 50% dei pazienti entro cinque anni dalla diagnosi, colpisce circa 15 milioni di persone in Europa. Di queste, oltre il 10% ha un’età superiore ai 70 anni.

In Italia è la causa principale di ospedalizzazione nelle persone di età superiore ai 65 anni con un impatto non solo clinico, ma anche sociale ed economico molto rilevante. Lo scompenso cardiaco è spesso associato ad altre malattie del sistema cardio-nefro-metabolico, come il diabete di tipo 2 e le malattie renali. A causa della natura interconnessa di questi sistemi, il miglioramento di uno può portare effetti positivi in tutti gli altri. Per questi motivi si sono studiati gli effetti della classe degli inibitori selettivi del co-trasportatore renale di sodio e glucosio (SGLT2i), già indicati sia come monoterapia, sia in terapia di combinazione in pazienti con diabete di tipo 2 e che hanno dimostrato attraverso numerosi studi RCT di garantire benefici aggiuntivi come la riduzione della pressione arteriosa e dei ricoveri per scompenso (-35%), il rallentamento del declino della funzionalità renale (-39%), la mortalità per tutte le cause (-32%).

Sulla base di queste evidenze sono stati impostati numerosi nuovi studi, con l’obiettivo di valutarne l’impatto in ambito cardiovascolare, indipendentemente dal diabete. Così si è aperta la strada ad una nuova indicazione che rappresenta una svolta epocale nel trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco cronico sintomatico. Sulla base di queste evidenze Motore Sanità ha promosso il primo di una serie di tavoli di confronto nelle diverse regioni italiane dal titolo “L’INNOVAZIONE CHE CAMBIA E SALVA LA VITA DEI MALATI CRONICI. SCOMPENSO CARDIACO:

Focus on SGLT2i – VENETO”, con il contributo incondizionato di Boehringer Ingelheim ed Eli Lilly. Obiettivo favorire una condivisione di idee sulla revisione del disease management per questa importante cronicità, che interessa una ampia fetta di cittadini.

Così Claudio Bilato, Presidente ANMCO – Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri – Regione Veneto: “Ci tengo a puntualizzare un aspetto che, secondo me, secondo AMCO, è davvero importante. Parlo di hardware, cioè di dove facciamo assistenza a questi pazienti. Parlo di un luogo fisico, o comunque funzionale e strategico che ancora oggi non è riconosciuto. Occorre una rete integrata sia tra ospedale e territorio, sia tra ospedali con complessità di cura differenti. Ricordiamoci che i pazienti con scompenso cardiaco necessitano di essere rivalutati frequentemente, di avere continui aggistamenti terapeutici e uno stretto monitoraggio. Devono essere gestiti in maniera multidisciplinare e qui ci sono due grosse criticità: il problema di un’adeguata comunicazione tra i professionisti che sono coinvolti – che spesso non c’è – e che ci sia una reale integrazione tra le varie discipline. Il messaggio che voglio dare, concludendo, è focalizzato su 4 aspetti: avere delle reti tra differenti ospedali e tra territorio e ospedali, promuovere la formazione anche degli specialisti, promuovere l’informazione e una rigorosa ed efficiente modalità assistenziale con la telemedicina. Sarebbe utile quindi anche un confronto tra queste

prime esperienze, per cercare di affinare sempre più un modello in grado di realizzare una vera presa in carico di questi pazienti”.

Sottolinea il ruolo del territorio Luciano Babuin, Dipartimento Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari AOU Padova, con queste parole: “C’è tutto un percorso ad ostacoli sul territorio, non ultimo i piani terapeutici, dove la prescrivibilità spesso è riservata solo ad alcune specialità. Il problema non è più l’evidenza scientifica, ma la presa in carico e l’accessibilità alle cure del paziente con proprietà transitiva: perché il paziente possa avere quel farmaco, ci deve essere uno specialista che ha la possibilità di prescriverglielo”.

E poi c’è il problema costi, sul quale si è espresso Luciano Flor, Direttore Area Sanità e Sociale, Regione del Veneto: “Prima di pensare in termini di ricadute economiche, credo che medici e professionisti sanitari debbano pensare in termini di salute, altrimenti non andiamo da nessuna parte. Si deve sfatare la paura che l’innovazione stravolga i bilanci regionali e per farlo è necessario per tutti i professionisti sanitari di stare dentro questi problemi, che vuol dire condividere e fare rete per dare fiducia ai nostri cittadini”.

Salute mentale: lo stigma ritarda la diagnosi, la presa in carico delle malattie psichiche e riduce l’aderenza alle terapie. L’appello degli specialisti: “Serve intervenire subito”.

17 ottobre 2022 – L’Emilia Romagna spende per la salute mentale il 3.6% del Fondo sanitario regionale, pari a 285 milioni di euro, mentre la spesa media nazionale è del 2,9%. Ma le conseguenze del persistere dello stigma, con stili di vita sbagliati e ritardo nell’accesso alle cure, incidono sulla durata della vita dei pazienti con disturbi psichici, che hanno una mortalità per infarto e tumore 2,6 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Questi dati sono emersi dalla ricerca progettata dal Professor Domenico Berardi della Clinica Psichiatrica dell’Università di Bologna, realizzata in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, l’Università di Bologna e del sistema informativo regionale. La ricerca, iniziata nel 2008 e terminata nel 2018, ha coinvolto 200mila pazienti e ha evidenziato un’emergenza: i pazienti con disturbi psichiatrici hanno un’attesa di vita decisamente inferiore rispetto alla popolazione generale e si ammalano in particolare di patologie tumorali che sono addirittura correlate con i diversi quadri dei disturbi psichiatrici che gli specialisti trattano. L’utilizzo del sistema informativo ha consentito di ricavare il tasso di mortalità dei pazienti psichiatrici. Nelle altre regioni probabilmente non andrà meglio e tale preoccupante analisi mette in discussione il concetto di equità e universalità, principi fondanti del servizio sanitario nazionale. Se n’è parlato nell’evento “SALUTE MENTALE: COME SUPERARE LO STIGMA IN SANITÀ” organizzato da Motore Sanità con gli esperti del settore, i rappresentanti dei cittadini e le istituzioni.

Il quadro è allarmante. Da inizio 2021 al 31 agosto di quest’anno si contano 413 suicidi e 348 tentativi, secondo l’osservatorio suicidi della Fondazione Brf – Istituto per la ricerca in psichiatria e neuroscienze, pubblicati alla vigilia della giornata mondiale per la prevenzione del suicidio.

Le difficoltà psichiatriche gravi dopo la pandemia Covid, come la depressione, l’autolesionismo, le psicosi, i disturbi alimentari, negli adolescenti italiani sono incrementati del 30% e il 41% risulta a rischio di sviluppare problematiche psicologiche. Un adolescente su 4 soffre di depressione, il 16% ha disturbi alimentari, ha ideazioni suicidarie e va incontro ad autolesionismo. Le donne hanno più possibilità di sviluppare conseguenze psichiatriche perché a loro viene chiesto di svolgere più funzioni, genitoriali, famigliari, lavorative. Infine, l’isolamento sociale, l’ansia, la solitudine, la paura prolungata e la conflittualità famigliare alla lunga possono cronicizzarsi e svilupparsi in forme più severe.

Le patologie psichiatriche comportano notoriamente esiti di sofferenza, di non o di difficile integrazione sociale, ma anche un peggioramento della salute in generale e addirittura una riduzione importante dell’aspettativa di vita, mediamente è di 10 anni minore rispetto alla popolazione generale – ha spiegato Domenico Berardi, Cattedra di Psichiatria dell’Università di Bologna -. Questo

studio permette di analizzare la mortalità in tutti i tipi di patologie psichiatriche, che è raro in letteratura internazionale. Lo studio ha evidenziato che ci sono stati 6mila decessi in più rispetto a quelli che avrebbero dovuto esserci”.

Secondo il professor Berardi esiste una ampia variabilità di questo valore che è rapportabile alle condizioni sociali. “Ci sono delle province della Regione dove ci sono aree di deprivazione, come per esempio la zona del Po, dove la mortalità è più alta, mentre in zone in cui i servizi di salute mentale sono più ricchi il tasso di mortalità è minore, in particolare a Bologna dove la convergenza tra l’Università e il servizio di salute mentale porta ad una forza maggiore del sistema. Insomma, ci troviamo davanti a delle emergenze nuove che riguardano i giovani con disturbi di personalità e i disturbi depressivi, dove il tasso di mortalità è elevato. Stiamo cercando di dialogare con gli oncologi e con le direzioni sanitarie per capire meglio quali sono i percorsi da intraprendere e quali sono le popolazioni più a rischio rispetto all’esecuzione degli screening, alla compliance terapeutica per evirare questo eccesso di mortalità”.

Questa ricerca ci parla non solo dei bisogni dei pazienti ma anche dei bisogni dell’innovazione tecnologica all’interno dei nostri servizi che è necessaria per aprire quei ponti che sempre di più servono per realizzare una salute mentale che non sia solo di settore ma sia centrata sulla presa in carico della persona. Per realizzare questo, il dipartimento di salute mentale ha bisogno di andare avanti, di dotarsi di migliori tecnologie, e a tale proposito la Regione Emilia Romagna si è dotata negli ultimi tre anni di una cartella clinica informatizzata, che consente l’integrazione tra le diverse unità operative del dipartimento di salute mentale, e ha inoltre la cartella unica Cure che permette un miglioramento della comunicazione interna tra salute mentale adulta, servizi per le dipendente patologiche e neuropsichiatria infantile. Pertanto, la circolazione dei dati, l’informazione, la comunicazione assumono un valore decisamente strategico per il superamento dello stigma per l’affermazione della salute mentale dei nostri assistiti” ha spiegato Michele Sanza, Direttore Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche Forlì Cesena.

Sullo stigma è intervenuto Enrico Zanalda, Copresidente Società di Psichiatria: “Lo stigma è una grave problema e lo stigma in salute mentale determina un ritardo nella diagnosi e presa in carico delle patologie fisiche e psichiche dei nostri pazienti. La morbilità fisica e la mortalità sono maggiori nelle persone che soffrono di patologia mentale. I nostri pazienti a causa dello stigma hanno un’attesa di vita inferiore alla popolazione di controllo. Gli stessi operatori sanitari sono meno solerti nel trattare pazienti con sintomi psichici poiché non li ritengono molto attendibili e ne sottovalutano la differenza. Questo atteggiamento di diffidenza ed evitamento degli operatori della sanità è direttamente proporzionale alla gravità della sintomatologia psichica del paziente. Dobbiamo riuscire a cambiare la comunicazione e il modo di chiedere le cose di cui c’è bisogno quando si parla di salute mentale”.

Su queste tematiche – ha sottolineato Alessandro Stecco, Presidente IV Commissione Sanità Regione Piemonte è importante fare ricerche sempre rigorose e sensibilizzare le persone e le istituzioni per superare lo stigma sociale. La sofferenza psicologica è una componente umana frutto di tanti fattori, anche di ordine sociale ed economico e questo, sicuramente, nei prossimi mesi si accentuerà. Le istituzioni, come la stessa Regione Piemonte, si sanno impegnando per misurare il problema, il fabbisogno e per capire quali possono essere le soluzioni da mettere a terra al di là delle decisioni prese dal governo per dare supporto alla popolazione a livello territoriale. È importante calibrare e modulare bene la programmazione di queto tema nei prossimi anni”.

Maurizio Cancian, Presidente SIMG-Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie del Veneto ha evidenziato il ruolo della medicina di famiglia e delle cure primarie nel campo della

salute mentale. “Il 25-35% della popolazione generale soffre di disturbi psichici, un bisogno assistenziale che trova risposta prevalentemente dalla medicina di famiglia e cure primarie, mentre solo l’1-2% della popolazione accede a servizi specialistici – ha spiegato Cancian -. Sono trascorsi più di 20 anni da quando la SIMG ha avviato iniziative di riorganizzazione e formazione volte a favorire la migliore integrazione tra medici di medicina generale e Dipartimenti di salute mentale, promosse e coordinate da Giuseppe Leggeri, valoroso medico di medicina generale prematuramente scomparso. Solo in poche regioni questa sollecitazione è stata raccolta e almeno parzialmente portata a sistema, mentre le crisi finanziarie, la pandemia e ora la guerra in Europa hanno moltiplicato i bisogni della popolazione”. Secondo il presidente Cancian, “ora più che mai è necessaria una profonda riorganizzazione della medicina generale che liberi tempo per i medici e grazie a risorse aggiuntive promuova modelli di integrazione tra medicina di famiglia e servizi di psichiatria funzionali a una più efficace presa in carico delle persone con disturbi psichici, tali modelli dovrebbero essere incentrati su 3 punti principali: individuare e formare operatori sanitari con funzione di collegamento tra i gruppi di medici di medicina generale e i servizi di salute mentale; adozione di un modello per livelli di assistenza, come promosso dalle linee guida Nice, e localmente già attivo in alcune regioni italiane; programmi di formazione intensiva a livello di Gruppi di medici di medicina generale, condotti da medici di medicina generale esperti e formatori, inclusi incontri con discussione dei casi e dei percorsi di cura”.

Salute mentale: basta nascondere la testa sotto la sabbia

4milioni di italiani soffrono di disturbi mentali, a rischio soprattutto donne e ragazzi. L’episodio di Marco Bellavia al Grande Fratello Vip ha riacceso i riflettori su questo sempre più dilagante problema e ora bisogna agire subito e agire in fretta. A chiederlo a gran voce i maggiori esperti in campo: “Nei prossimi mesi rischiamo grosso”.

18 ottobre 2022 – Sono più di 4milioni gli italiani – dati Istat – che soffrono di disturbi mentali. Una persona su otto in tutto il mondo – il 13% dell’intera popolazione del nostro pianeta – come emerge dal rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Numeri importanti, alimentati per altro dalla pandemia da Covid-19 che ha sicuramente influito negativamente sulla nostra salute. Parlarne però è tabù, perché mentre è molto più facile provare empatia con chi ha un disturbo fisico, chi ha una malattia mentale viene definito “pazzo”, “debole”, “da rinchiudere”, “perdente”, come ha scritto sui suoi social Marco Bellavia. È noto a tutti il recente episodio in cui il concorrente del Grande Fratello Vip, dopo aver manifestato più volte il suo disagio emotivo e psicologico nella casa più spiata dagli italiani, è stato emarginato dal resto del gruppo, tanto da decidere di autoeliminarsi dal gioco. Vittima due volte, bullizzato dagli altri concorrenti a cui aveva chiesto aiuto e dai quali, in cambio, ha ottenuto invece ostilità e vessazioni “da branco”. Un esempio di cattiva televisione che ha fatto molto discutere e che ha sollevato un certo clamore mediatico ma che ha avuto, di contro, il pregio di portare alla ribalta il tema della salute mentale, alla vigilia del 10 ottobre: giornata mondiale della Salute Mentale.

Motore Sanità – organizzazione no profit al servizio del cittadino che vanta un patrimonio di una nutrita rete di professionisti, aziende, stakeholder, Associazioni di cittadini e di pazienti – non è stata certo a guardare, ma ha chiamato in causa i maggiori esperti in campo, riuniti per l’evento “SALUTE MENTALE: COME SUPERARE LO STIGMA IN SANITÀ”.

Ebbene, quello che è emerso è un quadro allarmante: da inizio 2021 al 31 agosto di quest’anno si contano 413 suicidi e 348 tentativi – secondo l’osservatorio suicidi della Fondazione Brf, Istituto per la ricerca in psichiatria e neuroscienze. Le difficoltà psichiatriche gravi dopo la pandemia Covid come la depressione, l’autolesionismo, le psicosi, i disturbi alimentari, negli adolescenti italiani sono incrementati del 30% e il 41% risulta a rischio di sviluppare problematiche psicologiche. Un adolescente su 4 soffre di depressione, il 16% ha disturbi alimentari, ha ideazioni suicidarie e va incontro ad autolesionismo. Le donne hanno più possibilità di sviluppare conseguenze psichiatriche perché a loro viene chiesto di svolgere più funzioni: genitoriali, famigliari, lavorative. Infine, l’isolamento sociale, l’ansia, la solitudine, la paura prolungata e la conflittualità famigliare, alla lunga possono cronicizzarsi e svilupparsi in forme più severe.

Così Enrico Zanalda, Copresidente Società di Psichiatria: “Lo stigma in salute mentale determina un ritardo nella diagnosi e presa in carico delle patologie fisiche e psichiche dei nostri pazienti. La morbilità fisica e la mortalità sono maggiori nelle persone che soffrono di patologia mentale. I nostri pazienti, a causa dello stigma, hanno un’attesa di vita inferiore alla popolazione di controllo – mediamente di 10-11 anni. Gli stessi operatori sanitari sono meno solerti nel trattare pazienti con sintomi psichici, poiché non li ritengono molto attendibili e ne sottovalutano la differenza. Questo

atteggiamento di diffidenza ed evitamento degli operatori della sanità è direttamente proporzionale alla gravità della sintomatologia psichica del paziente”.

A questo proposito Domenico Berardi, Cattedra di Psichiatria dell’Università di Bologna, ha parlato del suo studio dal quale emerge che, in Emilia Romagna, i pazienti con salute mentale muoiono 2,6 volte di più di malattie cardiovascolari e tumori perché, essendo psichiatrici, non vengono adeguatamente trattati.

A fronte dell’aumento della domanda di cura di salute mentale, soprattutto da parte degli adolescenti e dei giovani, occorre rafforzare i Dipartimenti i salute Mentale aumentando gli interventi di prevenzione e di intervento precoce.” È quanto sostiene Michele Sanza, Direttore Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche Forlì Cesena, ricordando come “sempre di più il disagio psichico si esprima anche attraverso l’abuso di sostanze. Serve andare oltre l’intervento settoriale, integrando i Servizi di Salute Mentale per gli adulti con la Neuropsichiatria infantile e le Dipendenze patologiche”.

Su queste tematiche”, ha sottolineato Alessandro Stecco, Presidente IV Commissione Sanità Regione Piemonte, “è importante fare ricerche sempre rigorose e sensibilizzare le persone e le istituzioni per superare lo stigma sociale. La sofferenza psicologica è una componente umana frutto di tanti fattori, anche di ordine sociale ed economico e questo, sicuramente, nei prossimi mesi si accentuerà”.

Un invito ad agire subito e in fretta, in vista di un periodo storico sicuramente non semplice – tra post pandemia, economia di guerra e crisi ambientale – prima che sia troppo tardi.

Psoriasi, con PASI 100 si punta alla guarigione completa

Luca Bianchi, Responsabile U.O.S.D. Dermatologia Fondazione PTV Policlinico Tor Vergata, Roma: “Stiamo vivendo nella dermatologia numerosi passi in avanti sia dal punto di vista terapeutico, sia dal punto di vista della conoscenza della malattia”.

12 ottobre 2022 – La psoriasi è una malattia infiammatoria della pelle ad andamento cronico- recidivante che colpisce 125 milioni di persone nel mondo e circa 2,5 milioni in Italia (prevalenza 3-4%).

La maggior parte di queste soffre della forma più comune, la psoriasi a placche lieve/moderata, mentre circa il 20% è colpito da una forma grave. Si manifesta con placche eritemato- desquamative localizzate su diverse superfici del corpo dalle pieghe cutanee alle zone palmoplantari, dal cuoio capelluto al volto, dalle unghie alle mucose e che possono apparire in qualsiasi periodo della vita, in entrambe i sessi. Nel 30% pazienti ha carattere familiare e oramai molte evidenze la indicano come malattia sistemica con diverse comorbilità: alterazioni distrofiche delle unghie, artropatie, uveiti, malattie infiammatorie croniche intestinali, malattie metaboliche e cardiovascolari, disordini psichiatrici, apnee notturne, osteoporosi, Parkinson, solo per citarne alcune. Pertanto è facile comprendere come questo quadro di comorbilità abbinato al peso dei sintomi e alle implicazioni psicologiche per dover convivere con una malattia molto visibile e in alcuni casi deturpante, abbiano un impatto molto rilevante sulla vita, sulla sua qualità, sugli aspetti sociali dei pazienti e delle loro famiglie.

Alcuni fattori poi possono incidere sulla progressione della malattia e ridurre l’efficacia delle terapie come fumo, consumo di alcolici, sovrappeso, sindrome metabolica, depressione e quindi vanno corretti. Intervenire rapidamente e con una terapia che mantenga la sua efficacia nel tempo è quindi un obiettivo fondamentale per il paziente. Si è parlato di questo, e di molto altro ancora, nel corso dell’evento “PSORIASI: IO LA VIVO SULLA MIA PELLE, MA TU SAI COSA VUOL DIRE? – LAZIO”, organizzato da Motore Sanità e con il contributo incondizionato di UCB Pharma.

Così Luca Bianchi, Responsabile U.O.S.D. Dermatologia Fondazione PTV Policlinico Tor Vergata, Roma: “Credo che sarà un’occasione, questo incontro, per dare un ritratto delle differenze di accesso alle cure tra le diverse regioni italiane, che non è affatto omogenea. Sono state analizzate fino ad ora delle regioni molto virtuose come la Lombardia, ma non è così ovunque. Le nuove terapie hanno come obiettivo il PASI 100: la guarigione completa, molto importante per una malattia altamente impattante per il paziente come la psoriasi. Stiamo vivendo nella dermatologia numerosi passi in avanti sia dal punto di vista terapeutico, sia dal punto di vista della conoscenza della malattia. Stiamo raggiungendo la possibilità di raggiungere il clearing, cioè non la guarigione totale dalla malattia, ma il curare al meglio possibile risolvendo tutte le sintomatologie della malattia. Stiamo vivendo un periodo in cui stiamo raggiungendo la possibilità di avere le migliori cure”.

Per quanto riguarda le reti di patologia si rileva un’effettiva differenza da regione a regione nella loro strutturazione. Parola di Clara De Simone, Professore Associato di Clinica Dermosifilopatica Policlinico Gemelli Roma – Delegato SIDeMaST Regione Lazio (Società Italiana Dermatologia Medica Chirurgica Estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse): “In Lazio si sente molto la mancanza di una rete; in passato ci sono stati diversi sforzi per organizzare un sistema strutturato, però si è trattato di sole iniziative aziendali e personali; non essendo strutturali non hanno avuto un grande slancio organizzativo. Essendo numerosi i centri prescrittori e numerosi i pazienti, oltre ad essere numerosi i dermatologi e gli MMG, è necessaria un’organizzazione strutturata. Senza una rete strutturata non riusciamo a garantire l’accesso all’innovazione di tipo farmacologica e non solo”.

Circa i bisogni dei pazienti Valeria Corazza, Presidente APIAFCO, ha sottolineato i seguenti punti: “Prima cosa è il riconoscimento di questa malattia all’interno del piano nazionale cronicità, perché la psoriasi è una malattia che dura tutta la vita e comporta numerose comorbilità. Poi chiediamo l’aggiornamento dei LEA e la possibilità di accesso per i pazienti della fototerapia a livello domiciliare. Importantissimo, inoltre, è l’accesso alle terapie innovative”.

In questo momento le questioni messe in luce dalle Associazioni sono molto importanti: dobbiamo avere un equo accesso ai farmaci e garantire ottimi livelli di cura dovunque sul territorio italiano, ha aggiunto Sabrina Nardi, Consigliere Nazionale Salutequità. “Se il SSN vuole essere al passo coi tempi deve attrezzarsi per garantire l’innovazione in maniera equa sul territorio, ma per garantire l’innovazione serve un’organizzazione capace di recepire l’innovazione. Alcuni aspetti fondamentali su cui agire: l’innovazione deve entrare rapidamente nei PDTA, bisogna però in primo luogo creare questi PDTA che mancano in molte regioni. Abbiamo l’opportunità da cogliere rappresentato dal PNRR, il piano però non deve lasciare indietro le patologie poste in secondo piano nei piani di programmazione regionali. Bisogna fare in modo che queste patologie non siano oggetto di discussione soltanto tra gli addetti ai lavori”.

Figura di primo piano il farmacista, come ha ricordato Chiara Izzi, Dirigente Farmacista U.O.C. Farmacia Clinica Fondazione PTV Policlinico Tor Vergata: “Oltre a garantire materialmente il farmaco, ci troviamo anche a gestire il budget di spesa. Il farmacista deve quindi essere anche un punto di collegamento tra le autorità e la realtà clinica di ogni giorno”.

E a proposito di spesa Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria e Economia Politica, Research Director-Economic Evaluation and HTA, CEIS, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” – Presidente SIHTA ha dichiarato che: “A livello generale soltanto chi non vuole vedere continua a ragionare che la sanità è un costo e a non voler vedere il valore dell’innovazione e delle cure. Questo discorso generale si cala perfettamente nella tematica della psoriasi perché chiaramente i costi diretti e indiretti sono notevoli per queste patologie, soprattutto quanto riguarda i costi indiretti quindi spesi dal paziente. Non si può dimenticare che il peso economico sul paziente crea un effetto domino sul lungo periodo sia per i pazienti che per i caregiver”.

A fine convegno Ugo Viora, Presidente ANAP, ha messo l’accento sullo stigma: “C’è tutto il momento della socialità e del tempo libero che è difficile. La qualità di vita del paziente ne risente molto, anche la notte, perché la malattia influisce negativamente anche sulla sua qualità del sonno. In tutto questo contesto i farmaci hanno un impatto enorme, togliendo i sintomi e bloccando la progressione della malattia”.

È ormai assodato che oggi esistono farmaci in grado di arrivare a PASI 100 e quindi di far scomparire completamente la malattia psoriasica nei pazienti medio gravi”, conclude il Dottor Claudio Zanon, Direttore Scientifico di Motore Sanità. “Il sistema deve però essere in grado di accogliere qualsiasi innovazione. Sapere che in alcune regioni, e il Lazio non fa differenza, soltanto il 20-30% dei possibili pazienti sono trattati con i nuovi farmaci in grado di arrivare al PASI 100, che manca una vera e propria rete dermatologica, che sarebbe ottimale l’utilizzo di dermatologi specialisti e una presa in carico del paziente multispecialistica, significa che da una parte l’innovazione sta diventando dirompente, ma dall’atra parte il Servizio Sanitario Regionale del Lazio non riesce a stare al passo”. Oltre che dalle persone, dalle idee e dai buoni propositi bisogna partire dalla visione dei modelli, per poter far sì che le cure adeguate arrivino al paziente adeguato in qualsiasi situazione.