Diabete: Italia e Marocco si alleano per migliorare la gestione dei pazienti

7 luglio 2021 – I Diabete Mellito sono di tipo 1 e 2 e rappresentano la malattia cronica più diffusa al mondo (463milioni le persone affette, di cui 232milioni non diagnosticate). Una vera e propria pandemia silenziosa in costante crescita – la cui prevalenza aumenta al crescere dell’età – che inciderà pesantemente non solo nei Paesi occidentali, ma anche nei Paesi a sviluppo economico. In Italia i pazienti diabetici superano i 3milioni, con un sommerso percentuale ancora elevato e un’aderenza alla terapia e a corretti stili di vita che spesso non supera il 50%. 
«Ciò che succede in Marocco – che conta più di 1milione e 700mila diabetici adulti – in parte di verifica anche in Italia», spiega Claudio Zanon, Direttore Scientifico Motore Sanità, nel corso del webinar “#pazientealcentro: parliamo di Diabete. Italia Marocco, esperienze a confronto, organizzato da Motore Sanità e che ha visto la partecipazione delle Istituzioni italiane in Marocco. «Basti pensare che la Sardegna, la seconda isola più grande del nostro Paese, ha la più alta incidenza di Diabete tipo 1 al mondo. I numeri del sommerso, tanto in Italia quanto in Marocco, risulterebbero sottostimati per la difficoltà di tracciare tutti i casi realmente presenti su di un territorio dall’elevata complessità geografica, socio culturale e linguistica. Il dato più preoccupante è che la maggioranza dei pazienti diabetici in Marocco non raggiunge l’equilibrio glico-metabolico raccomandato dalle linee guida nazionali – così come avviene spesso anche in Italia – e internazionali, suggerendo l’esistenza di un gap tra la gestione di tale malattia cronica e le pratiche quotidiane delle persone nel Paese. Inoltre, nonostante i continui sforzi per aumentare le aspettative di vita della popolazione e migliorarne la qualità, sono ancora presenti, sia in Italia sia in Marocco, disuguaglianze di accesso alle cure e controllo della malattia, anche in rapporto a status sociale e stili di vita». 

«Da qui l’importanza della collaborazione scientifica tra i due Paesi per condividere le best practice, con un unico grande obiettivo comune: migliorare la gestione dei pazienti diabetici», ha commentato Federico Mozzi, Primo Segretario dell’Ambasciata dell’Italia in Marocco.

«Le difficoltà esistono dappertutto: tanto in Italia, quanto nel resto d’Europa, così come anche in Marocco», conferma Felice Strollo, Vice Presidente ANIAD – Professore IRCCS San Raffaele Pisana – Roma. «Persino negli Stati Uniti, l’accesso a tutti all’insulina è un problema, lo stesso dicasi da noi in Italia per quanto riguarda la possibilità generalizzata di accesso ai farmaci più innovativi. Da qui l’importanza di un Piano nazionale del Diabete, frutto del grosso sforzo fatto in Italia dalle Associazioni dei pazienti e dal Ministero della Sanità, che è stato rimodulato Regione per Regione. Bisogna partire da qui: dalla presenza di un Piano organizzato che preveda nel tempo un perfezionamento continuo su più fronti, compreso quello che riguarda educare il paziente a un corretto stile di vita. Noi come Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici (ANIAD) siamo pronti per un lavoro di collaborazione da costruire insieme, Italia-Marocco, nel futuro». 

 

“Un nuovo alleato nella lotta alle malattie cardiovascolari: la Troponina I ad elevata sensibilità può identificare precocemente soggetti a rischio di futuri eventi cardiaci”

Di Malta

7 luglio 2021 – Nonostante i miglioramenti degli esiti clinici, le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nel mondo. Realizzare un’azione di prevenzione attraverso un’accurata stratificazione del rischio cardiovascolare nella popolazione apparentemente sana risulta fondamentale per mitigare la progressione della malattia. La Troponina I ad elevata sensibilità per la stratificazione del rischio cardiovascolare, essendo un biomarcatore cardiospecifico, determina una maggiore accuratezza nella stima del rischio di futuri eventi cardiaci in persone apparentemente sane e in soggetti con fattori predisponenti a tali rischi: si tratta quindi di un nuovo alleato nella lotta alla prevenzione delle malattie cardiovascolari, che nell’80% dei casi sono prevenibili con programmi educazionali e con una medicina territoriale proattiva.

Per approfondire i potenziali effetti della medicina predittiva, Motore Sanità ha organizzato 2 appuntamenti in Piemonte e in Puglia dal titolo “TROPONINA CARDIACA”, realizzati grazie al contributo non condizionante di ABBOTT.

“La Troponina cardiaca è normalmente presente nel sangue in quantità molto piccole. Quando si verifica un danno alle cellule del muscolo cardiaco, queste proteine vengono rilasciate nel circolo ematico: maggiore è il danno, più alta è la loro concentrazione nel sangue. L’utilizzo della Troponina come biomarcatore di lesione miocardica si è affermato negli anni come ausilio nella diagnosi di infarto e delle sindromi cliniche da ischemia e/o stress del muscolo cardiaco in ambito ospedaliero, soprattutto in pazienti afferenti al pronto soccorso o comunque in situazioni cliniche acute e critiche. Il progresso tecnologico ha portato alla possibilità di determinare minime quantità di Troponina circolanti anche in soggetti apparentemente sani e senza sintomi o segni clinici di sofferenza cardiaca (metodi cosiddetti ad elevata sensibilità). Pertanto, il campo di applicazione della Troponina sta gradualmente spostandosi verso la popolazione extra-ospedaliera, ad uso della medicina di base e della prevenzione delle malattie cardiache e cardiovascolari in generale. La possibilità di rilevare lievi aumenti della Troponina consente, infatti, di poter stratificare i soggetti apparentemente sani o con uno o più fattori di rischio sulla base della probabilità di sviluppare in futuro eventi cardiovascolari”, ha spiegato Giulio Mengozzi, Direttore Laboratorio di Biochimica Clinica, Azienda Ospedaliero Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino.

“Le patologie cardiovascolari rappresentano una delle principali cause di mortalità nei paesi industrializzati e la loro prevalenza è destinata a crescere costantemente con l’invecchiamento della popolazione. Le strategie di prevenzione si basano sulla identificazione e correzione dei fattori di rischio individuali congiuntamente alla capacità di prevedere un futuro evento cardiovascolare in persone apparentemente sane. Esiste la possibilità di misurare, con metodologia ad elevata sensibilità, valori significativi di un biomarcatore cardio-specifico rilasciato in caso di danno miocardico subclinico, denominato Troponina I ad elevata sensibilità. Si tratta di un esame del sangue semplice da valutare che, insieme ai risultati clinici e diagnostici, consente di intervenire precocemente sui pazienti ad alto rischio e potrebbe evitare esami o trattamenti non necessari in pazienti a basso rischio”, ha dichiarato Nadia Aspromonte, UOS Scompenso Dipartimento Scienze Cardiovascolari Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS, Roma

Malattie rare: le esperienze della Toscana Andare verso una forma di Reti cliniche integrate per una presa in carico del paziente condivisa tra medicina generale e medicina specialistica

Di Malta

7 luglio 2021 – Condividere “proven practices”, far emergere bisogni irrisolti rispetto ai servizi erogati e le criticità nei percorsi di presa in carico, garantire qualità dei dati dei Registri dedicati e la programmazione di risorse appropriate, sono gli obiettivi per affrontare il grande tema delle malattie rare. Nomi come atrofia muscolare spinale (SMA), sindrome emolitica uremica atipica (SEUa), Ipertensione polmonare arteriosa idiopatica (PAH), sindrome dell’intestino corto (SBS) sono esempi pratici su cui discutere in ottica di Share Care Cure, su cui si fonda la struttura delle Reti di riferimento europee (ERN), 24 dal 2017, che coinvolgono 900 unità specialistiche localizzate in 300 ospedali di 26 paesi europei. A partire da questo modello la necessità in Italia è quella di fare rete in maniera dinamica, veloce e appropriata.
In base ai dati coordinati dal Registro nazionale malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia si stimano 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti e ogni anno sono circa 19.000 i nuovi casi segnalati dalle oltre 200 strutture sanitarie diffuse in tutta la penisola.
Il 20% delle patologie coinvolge persone in età pediatrica (di età inferiore ai 14 anni), in questa popolazione di pazienti le malattie rare che si manifestano con maggiore frequenza sono le malformazioni congenite (45%), le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione o del metabolismo e disturbi immunitari (20%).
Le malattie rare costituiscono uno straordinario banco di prova di efficacia e di efficienza per il sistema sanitario nazionale e per il medico di medicina generale in particolare. Otto casi su 10 sono diagnosticati dallo specialista e i medici di medicina generale ipotizzano una malattia rara solo nel 4,2% dei casi (pediatrici 16,75%). Inoltre, un medico di medicina generale con 1.500 assistiti dovrebbe avere in carico dai 4 agli 8 pazienti con malattia rara. Anche quando la diagnosi viene effettuata da un centro di riferimento spesso è il paziente stesso che funge da raccordo con il proprio medico. Di questo si è discusso nel webinar MALATTIE RARE. FOCUS TOSCANA’, organizzato da Motore Sanità.

In Regione Toscana l’attenzione è alta sul ruolo del modello a rete per la gestione delle malattie rare, della ricerca e dei Pdta nei confronti dei quali è stato implementato un modello che possa essere condiviso a partire dalle associazioni dei pazienti.

<<Le malattie rare sono necessariamente un modello a rete e solo il modello a rete fa la forza dell’approccio nei confronti delle malattie rare – ha spiegato Cristina Scaletti, Responsabile Clinico Rete Malattie Rare Regione Toscana -. Senza la ricerca non avremmo una terapia, quindi la ricerca – dagli screening fino ai meccanismi patogenetici, fino ad arrivare alla presa in carico del paziente e alla terapia – è un altro degli elementi trasversali in questo modello a rete>>. 

<<I punti fondamentali su cui dobbiamo battere sono l’informazione, la formazione e l’organizzazione – ha spiegato Mauro Ruggeri, Medico di Medicina Generale Responsabile Sede Nazionale SIMG -. Sul piando dell’informazione colmando carenze informative, facilitando l’accesso sia per i pazienti che per i medici a dati, documenti, norme aggiornate e ai centri di riferimento locali, e intervenendo sul tema delle esenzione ticket. Il medico di medicina generale deve essere in grado di dare un indirizzo al Centro specialistico al primo sospetto ed essere garanzia di continuità assistenziale. Sul piano dell’organizzazione dobbiamo andare sempre più verso una forma di Reti cliniche integrate per una presa in carico condivisa tra medicina generale e medicina specialistica (abbattendo gli ostacoli tra territorio e ospedale e tra ospedale e territorio) e sicuramente gli strumenti potrebbero essere la formazione di équipe uniche di cura, di piani assistenziali individuali e la valorizzazione dell’informatica e della telemedicina, che potrebbero essere validamente utilizzati in questo campo>>. 

<<Occorre investire maggiormente per risolvere le criticità comuni – ha spiegato Cecilia Berni, Responsabile Organizzativo Malattie Rare, Regione Toscana -. Nell’ambito dei progetti pilota degli screening penso alla necessità di una modulistica e di una normativa dedicata con specifico riferimento agli obblighi privacy. Penso ai ritardi che significano una diagnosi non effettuata. Nel progetto pilota con la Regione Lazio a livello toscano abbiamo potuto diagnosticare un neonato con atrofia muscolare spinale su 4mila nati. E’ importante affrontare questi dati perché sappiamo che quando si parla di diagnosti precoce si parla di un investimento in primis sulla salute della qualità della vita di una persona. Investire sulla salute vuol  dire anche risparmiare sulle gestioni in termini globali sanitari e sociali di una disabilità>>. 

Malattie rare: le esperienze del Lazio Andare verso una forma di Reti cliniche integrate per una presa in carico del paziente condivisa tra medicina generale e medicina specialistica

Blockchain e AI

7 luglio 2021 – Condividere “proven practices”, far emergere bisogni irrisolti rispetto ai servizi erogati e le criticità nei percorsi di presa in carico, garantire qualità dei dati dei Registri dedicati e la programmazione di risorse appropriate, sono gli obiettivi per affrontare il grande tema delle malattie rare. Nomi come atrofia muscolare spinale (SMA), sindrome emolitica uremica atipica (SEUa), Ipertensione polmonare arteriosa idiopatica (PAH), sindrome dell’intestino corto (SBS) sono esempi pratici su cui discutere in ottica di Share Care Cure, su cui si fonda la struttura delle Reti di riferimento europee (ERN), 24 dal 2017, che coinvolgono 900 unità specialistiche localizzate in 300 ospedali di 26 paesi europei. A partire da questo modello la necessità in Italia è quella di fare rete in maniera dinamica, veloce e appropriata.
In base ai dati coordinati dal Registro nazionale malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia si stimano 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti e ogni anno sono circa 19.000 i nuovi casi segnalati dalle oltre 200 strutture sanitarie diffuse in tutta la penisola.
Il 20% delle patologie coinvolge persone in età pediatrica (di età inferiore ai 14 anni), in questa popolazione di pazienti le malattie rare che si manifestano con maggiore frequenza sono le malformazioni congenite (45%), le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione o del metabolismo e disturbi immunitari (20%).
Le malattie rare costituiscono uno straordinario banco di prova di efficacia e di efficienza per il sistema sanitario nazionale e per il medico di medicina generale in particolare. Otto casi su 10 sono diagnosticati dallo specialista e i medici di medicina generale ipotizzano una malattia rara solo nel 4,2% dei casi (pediatrici 16,75%). Inoltre, un medico di medicina generale con 1.500 assistiti dovrebbe avere in carico dai 4 agli 8 pazienti con malattia rara. Anche quando la diagnosi viene effettuata da un centro di riferimento spesso è il paziente stesso che funge da raccordo con il proprio medico. Di questo si è discusso nel webinar MALATTIE RARE. FOCUS LAZIO’, organizzato da Motore Sanità.

La rete regionale delle malattie rare del Lazio attualmente risulta avere in carico più di 30mila pazienti affetti da malattia rare e un indice di attrazione dalle altre regioni di circa il 24%. Il modello organizzativo è composto di 16 istituti in cui risiedono circa 89 presidi che alimentano il registro delle malattie rare, e la maggior parte dei centri, avendo strutture di alta specialità a livello internazionale e nazionale, sono localizzate quasi tutte nella città di Roma e sono in collegamento tra di loro attraverso i Pdta.

<<Il modello della rete regionale del Lazio si basa sull’individuazione i centri di expertise e punta tutto sul rafforzamento del rapporto tra ospedale e territorio e questo è l’aspetto cruciale>> ha spiegato Esmeralda Castronuovo, Referente Centro di Coordinamento regionale delle Malattie Rare della Regione Lazio.

<<Stiamo lavorando non solo per un network aziendale – ha spiegato Giuseppe Quintavalle, Direttore Generale Policlinico Tor Vergata, Roma – ma abbiamo iniziato una serie di collegamenti con le Asl vicine per un miglioramento della presa in carico dei pazienti con malattia rara attraverso dei Pdta reali, concreti e misurabili. Dobbiamo creare assolutamente dei link tra i centri e il territorio e, attraverso i nostri centri, avviare dei tavoli di formazione e informazione per i nostri medici di territorio e avvicinare i nostri pazienti in maniera tale che quando c’è una sospetta diagnosi possano immediatamente entrare nel circuito dei centri di patologie rare. Il problema quindi non è quello di aprire centri per le malattie rare ovunque, ma è perfezionarne la qualità e la professionalità e aumentare le reti di conoscenza tra noi e il territorio>>.

<<Nel Lazio c’è un’organizzazione sulle malattie rare che funziona grazie alla parte sanitaria rappresentata dai professionisti, medici e infermieri e grazie a tutte le associazioni che collaborano con noi. Abbiamo assunzioni di personale professionalmente capace e adeguato per seguire alcune patologie rare e questo vuol dire garanzia di servizio sanitario alle persone. Speriamo che la legge arrivi al temine quanto prima affinché possa incentivare ancora di più non solo l’interesse ma le cure. Questi pazienti hanno la stessa dignità e gli stessi diritti di tutti i cittadini della nostra regione e dei cittadini italiani>> ha aggiunto Rodolfo Lena, Presidente VII Commissione – Sanità, Politiche Sociali, Integrazione Sociosanitaria, Welfare Regione Lazio

<<L’esperienza del Covid ha messo in luce, anche grazie al grande lavoro delle associazioni dei pazienti, che ci sono dei nodi – ha concluso Teresa Petrangolini, Direttore Patient Advocacy Lab di ALTEMS -: se non si semplifica la della vita delle persone è impossibile gestire una malattia rara. Il secondo nodo è l’accesso alle tecnologie: è strategico un canale diretto di presa in carico attraverso dei sistemi digitali. Infine, in questa pandemia non avremmo mai superato certi passaggi, soprattutto per i malati cronici, se non ci fosse stata una grande collaborazione delle aziende farmaceutiche, delle amministrazioni, delle associazioni, di enti privati, perdere questa spinta sarebbe un errore>>.