7 luglio 2021 – Condividere “proven practices”, far emergere bisogni irrisolti rispetto ai servizi erogati e le criticità nei percorsi di presa in carico, garantire qualità dei dati dei Registri dedicati e la programmazione di risorse appropriate, sono gli obiettivi per affrontare il grande tema delle malattie rare. Nomi come atrofia muscolare spinale (SMA), sindrome emolitica uremica atipica (SEUa), Ipertensione polmonare arteriosa idiopatica (PAH), sindrome dell’intestino corto (SBS) sono esempi pratici su cui discutere in ottica di Share Care Cure, su cui si fonda la struttura delle Reti di riferimento europee (ERN), 24 dal 2017, che coinvolgono 900 unità specialistiche localizzate in 300 ospedali di 26 paesi europei. A partire da questo modello la necessità in Italia è quella di fare rete in maniera dinamica, veloce e appropriata.
In base ai dati coordinati dal Registro nazionale malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia si stimano 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti e ogni anno sono circa 19.000 i nuovi casi segnalati dalle oltre 200 strutture sanitarie diffuse in tutta la penisola.
Il 20% delle patologie coinvolge persone in età pediatrica (di età inferiore ai 14 anni), in questa popolazione di pazienti le malattie rare che si manifestano con maggiore frequenza sono le malformazioni congenite (45%), le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione o del metabolismo e disturbi immunitari (20%).
Le malattie rare costituiscono uno straordinario banco di prova di efficacia e di efficienza per il sistema sanitario nazionale e per il medico di medicina generale in particolare. Otto casi su 10 sono diagnosticati dallo specialista e i medici di medicina generale ipotizzano una malattia rara solo nel 4,2% dei casi (pediatrici 16,75%). Inoltre, un medico di medicina generale con 1.500 assistiti dovrebbe avere in carico dai 4 agli 8 pazienti con malattia rara. Anche quando la diagnosi viene effettuata da un centro di riferimento spesso è il paziente stesso che funge da raccordo con il proprio medico. Di questo si è discusso nel webinar ‘MALATTIE RARE. FOCUS LAZIO’, organizzato da Motore Sanità.
La rete regionale delle malattie rare del Lazio attualmente risulta avere in carico più di 30mila pazienti affetti da malattia rare e un indice di attrazione dalle altre regioni di circa il 24%. Il modello organizzativo è composto di 16 istituti in cui risiedono circa 89 presidi che alimentano il registro delle malattie rare, e la maggior parte dei centri, avendo strutture di alta specialità a livello internazionale e nazionale, sono localizzate quasi tutte nella città di Roma e sono in collegamento tra di loro attraverso i Pdta.
<<Il modello della rete regionale del Lazio si basa sull’individuazione i centri di expertise e punta tutto sul rafforzamento del rapporto tra ospedale e territorio e questo è l’aspetto cruciale>> ha spiegato Esmeralda Castronuovo, Referente Centro di Coordinamento regionale delle Malattie Rare della Regione Lazio.
<<Stiamo lavorando non solo per un network aziendale – ha spiegato Giuseppe Quintavalle, Direttore Generale Policlinico Tor Vergata, Roma – ma abbiamo iniziato una serie di collegamenti con le Asl vicine per un miglioramento della presa in carico dei pazienti con malattia rara attraverso dei Pdta reali, concreti e misurabili. Dobbiamo creare assolutamente dei link tra i centri e il territorio e, attraverso i nostri centri, avviare dei tavoli di formazione e informazione per i nostri medici di territorio e avvicinare i nostri pazienti in maniera tale che quando c’è una sospetta diagnosi possano immediatamente entrare nel circuito dei centri di patologie rare. Il problema quindi non è quello di aprire centri per le malattie rare ovunque, ma è perfezionarne la qualità e la professionalità e aumentare le reti di conoscenza tra noi e il territorio>>.
<<Nel Lazio c’è un’organizzazione sulle malattie rare che funziona grazie alla parte sanitaria rappresentata dai professionisti, medici e infermieri e grazie a tutte le associazioni che collaborano con noi. Abbiamo assunzioni di personale professionalmente capace e adeguato per seguire alcune patologie rare e questo vuol dire garanzia di servizio sanitario alle persone. Speriamo che la legge arrivi al temine quanto prima affinché possa incentivare ancora di più non solo l’interesse ma le cure. Questi pazienti hanno la stessa dignità e gli stessi diritti di tutti i cittadini della nostra regione e dei cittadini italiani>> ha aggiunto Rodolfo Lena, Presidente VII Commissione – Sanità, Politiche Sociali, Integrazione Sociosanitaria, Welfare Regione Lazio
<<L’esperienza del Covid ha messo in luce, anche grazie al grande lavoro delle associazioni dei pazienti, che ci sono dei nodi – ha concluso Teresa Petrangolini, Direttore Patient Advocacy Lab di ALTEMS -: se non si semplifica la della vita delle persone è impossibile gestire una malattia rara. Il secondo nodo è l’accesso alle tecnologie: è strategico un canale diretto di presa in carico attraverso dei sistemi digitali. Infine, in questa pandemia non avremmo mai superato certi passaggi, soprattutto per i malati cronici, se non ci fosse stata una grande collaborazione delle aziende farmaceutiche, delle amministrazioni, delle associazioni, di enti privati, perdere questa spinta sarebbe un errore>>.