Il diabete non può aspettare

Il diabete

Esperti a confronto: “Usare al meglio le tecnologie e rafforzare il rapporto ospedale-territorio e medici famiglie, per una migliore presa in carico del piccolo paziente”

18 Dicembre 2020 – La diabetologia pediatrica ha compiuto in questi anni passi giganteschi nell’approccio e nella gestione del paziente: tecnologia online, seppur adottate a macchia di leopardo (dal teleconsulto alla televisita) a supporto dell’assistenza, e nuove formulazioni terapeutiche e nuovi strumenti di gestione (infusori per la somministrazione continua di insulina e sensori per il monitoraggio continuo della glicemia) che consentono oggi di ottimizzare queste due operazioni e di offrire un controllo del diabete sempre più efficace.

Ma la diagnosi tempestiva resta l’arma più importante per affrontare le diverse forme del diabete. Come il diabete di tipo 1, in lenta ma continua crescita, che oggi interessa maggiormente la fascia dell’età prescolare e necessita della somministrazione di insulina più volte al giorno e di un controllo costante della glicemia. Registra una incidenza di circa 8 bambini su 100 mila con maggiore frequenza nelle bambine (rapporto di 1 a 5).

Secondo i dati emersi dall’incontro webinar “Crescere con il diabete. Bambini, ragazzi e giovani adulti: dalla scoperta alla gestione del percorso assistenziale”, organizzato da Diabete Italia Onlus e Mondosanità e con il contributo incondizionato di SANOFI, circa 1.700 pazienti (7-10%) che ogni anno vengono diagnosticati con diabete in età pediatrica arrivano da popolazioni in via di sviluppo e questo comporta dei grossi problemi di accesso in ospedale e di colloquio e rapporto con il medico. Inoltre ancora oggi circa il 30% dei bambini arrivano con una situazione di chetoacidosi, un’emergenza medica che se non prontamente diagnosticata e trattata in modo adeguato è purtroppo tutt’ora causa di mortalità.

Gli esperti si appellano affinché vengano impiegate al meglio le tecnologie e perché venga rafforzato il rapporto ospedale-territorio e medici-famiglie, per una migliore presa in carico del piccolo paziente.

La diagnosi precoce è sicuramente importante per prevenire complicanze come la chetoacidosi diabetica.

I dati nazionali stimano una percentuale che va dal 30% al 40%, in Europa ci sono valori più bassi nei paesi dove l’incidenza di diabete è più alta, come la Finlandia in cui tutti conoscono meglio il diabete, mentre purtroppo ci sono valori peggiori nelle nazioni in cui il sistema sanitario e meno efficace – ha spiegato Stefano Zucchini, Dirigente Medico Policlinico Sant’Orsola-Malpighi Bologna -. Durante la pandemia in cui i pazienti avevano paura a venire in ospedale abbiamo avuto purtroppo a Bologna 30 nuove diagnosi di cui 10 in chetoacidodi, che abbiamo ben curato e gestito, seppur con qualche ora di ritardo, grazie al network tra i pediatri che hanno utilizzato video o telefonate”.

Chi ha un buon controllo della malattia soprattutto nei primi cinque anni rischia meno dal punto di vista cardiovascolare nel futuro. “Da uno studio coordinato dal gruppo del professor Claudio Maffeis dell’Università degli studi di Verona e condotto su 2.000 pazienti sul rischio di obesità, ipertensione ed ipercolesterolemia, abbiamo scoperto che il 30% di loro presentava almeno già un fattore di rischio, e proprio su questi aspetti bisogna che i nostri centri siano preparati ad essere proattivi – ha spiegato Barbara Predieri, Professore Associato, Dipartimento Scienze Mediche e Chirurgiche Materno-Infantili e Adulto Università Unimore Modena e Reggio Emilia –. Il diabete è una malattia cronica, non è guaribile e la speranza dei pazienti e delle associazioni è che presto possa arrivare una cura, ma è ben curabile quindi è importantissimo al termine del ricovero per esordio seguire regolarmente i nostri bambini e i nostri adolescenti. In questo contesto è importante avere  a livello nazionale e regionale dei Pdta specifici che ci indicano anche come procedere e come seguire questi ragazzi”.

E’ cambiata drasticamente la gestione della terapia nel bambino, in particolare con lo sviluppo dei nuovi farmaci, sia tutti gli analoghi dell’insulina e di recente anche l’immissione in commercio del glucagone in somministrazione nasale che ha risolto la paura dell’ipoglicemia che condizionava molto spesso la vita dei genitori soprattutto durante le fasi notturne, e soprattutto con lo sviluppo della tecnologia (sensori e microninfusori) che ormai ci ha portato ad avere quasi a disposizione di ogni singola famiglia una sorta di piccolo pancreas artificiale – ha spiegato Franco Cerutti, Direttore S.C Endocrinologia e Diabetologia, Primario di Pediatria, Diabetologia e Malattie del ricambio, Ospedale Infantile Regina Margherita, Torino e Professore Associato di Pediatria, Università degli Studi, Torino -. Questo condiziona un miglior compenso, una facilitazione del monitoraggio glicemico in modo continuo anche in remoto offrendoci la possibilità di seguire il bambino anche quando va a scuola, con un effetto positivo sulla qualità della vita dei genitori, su quella del bambino forse sarebbe interessante fare qualche studio in più. Queste novità hanno una forte richiesta di utilizzo ma ancora rimangono aperte alcune questioni legate al costo elevato degli strumenti, la necessità di personalizzare la loro scelta e personalizzarne la gestione, anche perché questi strumenti hanno un costo e come medici dobbiamo essere responsabili dell’appropriatezza, dell’accettabilità e soprattutto della sostenibilità nel tempo”.

La comunicazione tra medico e genitori ha un ruolo importante. “Il primo problema che una famiglia  necessita di risolvere dopo l’accertamento di un esordio di diabete è l’istruzione e la formazione sulla malattia, affinché possa tornare a casa con la consapevolezza di saperla gestire in quanto il diabete è una malattia che deve essere autogestita – spiega il professor Fabiano Marra, Vice Presidente AGD -. Quindi i genitori devono essere formati su come devono mangiare i propri figli, sulla corretta gestione della glicemia, come devono modulare la somministrazione dell’insulina rispetto all’attività dei propri figli e poi devono ricevere supporto psicologico. Questa malattia stravolge la vita sia dei piccolo paziente sia della famiglia”.

Non sempre e ovunque c’è una facilità di comunicazione tra i centri di riferimento regionali e il territorio. “Su questo stiamo tendando di lavorare da tempo e il fatto anche che le associazioni spesso creino un legame aiuta – ha spiegato Michele Mencacci, Vice Segretario Regionale Umbria Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) -. Credo che la nostra cooperazione possa avere anche in futuro, e sempre di più mi auguro, quel ruolo di vera integrazione territorio-ospedale e ospedale-territorio. La sorveglianza di tutti gli aspetti legati alla qualità della vita del bambino, del suo inserimento scolastico e legati alla sua salute psicofisica in generale, anche con il sostegno delle figure di riferimento degli psicologi e attraverso dei monitoraggi, che credo debbano essere più qualificati, come per esempio il questionario sulla qualità di vita, sono aspetti sui quali possiamo essere di aiuto e che potrebbero dare una mano anche agli specialisti di riferimento, che garantiscono la massima qualità delle cure e la massima tecnologia attuale disponibile”.

E la telemedicina è di grande supporto, laddove è presente. “Sono convinto che la telemedicina ha dato un grosso passo in avanti alla gestione della malattia anche se sicuramente avere un rapporto diretto con il paziente è nettamente meglio. La telemedicina infatti non si deve fermare solo esclusivamente alla messaggino per email o per whatsApp – ha spiegato Fortunato Lombardo, Professore Associato Pediatria UOC Clinica Pediatrica Policlinico, Università di Messina –. Durante la pandemia a noi diabetologi pediatri è servita tantissimo ed è utile tutt’ora, perché senza la telemedicina e soprattutto la possibilità di vedere gli andamenti delle glicemie dei nostri pazienti non siamo riusciti ad arrivare dove veramente siamo arrivati”.

“Stiamo utilizzando tutti gli strumenti a disposizione per fare in modo che i nostri piccoli ammalati tornino a vivere al meglio la loro vita e per questo l’appello è a chi gli strumenti li ha di metterli a disposizione: non perdiamo di vista l’importanza di continuare a seguire anche a distanza i nostri bambini che sono diventati giovani adulti e che dovranno avere una vecchiaia il più possibile serena” ha spiegato Pietro Buono, Direttore Attività Consultoriali e Assistenza Materno Infantile Referente Telemedicina della Regione Campania -. Durante la pandemia abbiamo attivato il sistema di televisita che pediatri di libera scelta e medici di medicina general possono richiedere ai due centri di riferimento attraverso una ricetta dematerializzata”.

Una delle cose importanti che si è realizzato grazie a questo lungo percorso con Motore Sanità e Diabete Italia – ha concluso Rita Lidia Stara, Presidente Fe.D.ER Federazione Diabete Emilia-Romagna – è che si è discusso spesso di diabete pediatrico affrontando quelle tematiche che anche durante la giornata mondiale del diabete spesso vengono schiacciate dalle tematiche del diabete dell’adulto. E’ un grande risultato e porteremo avanti questo bellissimo e virtuoso progetto”.

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Nuove terapie, diagnosi tempestiva e efficienti percorsi di cura per combattere il diabete giovanile

Nuove terapie

17 dicembre 2020 – In Italia il diabete di tipo 1 (DT1) ha un’incidenza di circa 8 bambini su 100.000,

con maggior frequenza nelle femmine (rapporto di 1 a 5) e necessita della somministrazione di

insulina più volte al giorno e di costante controllo della glicemia. Nuove terapie e strumenti

(infusori per la somministrazione continua d’insulina e sensori per il monitoraggio continuo

della glicemia) consentono di ottimizzare queste due operazioni, ma resta fondamentale la diagnosi

precoce. È indispensabile che i genitori si rivolgano al pediatra o al medico di base, già ai primi

sintomi della malattia, come aumento della quantità di urine e frequenza delle minzioni (Poliuria),

sete eccessiva con aumento dell’assunzione di liquidi (Polidipsia), fame smisurata con aumento

dell’assunzione di cibo (Polifagia) e dimagrimento. Così, semplicissimi esami consentiranno

rapidamente di escludere o confermare il sospetto di diabete e poterlo trattare con tempestività.

Una buona comunicazione tra pediatri, medici di base e centri specialistici, unita ad una

organizzazione dei percorsi efficiente consente un’ottimale presa in carico che limiti i danni di

questa importante malattia cronica. Con lo scopo di approfondire gli aspetti di innovazione utili ad

implementare gli attuali percorsi di cura, Diabete Italia Onlus e Mondosanità hanno organizzato

il webinar “CRESCERE CON IL DIABETE. Bambini, ragazzi e giovani adulti: dalla scoperta alla

gestione del percorso assistenziale”, realizzato grazie al contributo incondizionato di SANOFI.

“Il muro concettuale secondo il quale il diabete in età pediatrica ha preferibilmente una patogenesi

autoimmune e quello dell’adulto una eziologia di tipo diverso, sta ormai definitivamente crollando. Il

diabete mellito in età infantile non sembra essere così ‘monotematico’ come si credeva che fosse.

Infatti, fino a qualche decennio fa, in Pediatria vigeva l’assioma che in caso di iperglicemia persistente

in età pediatrica, specialmente in presenza di chetoacidosi, l’unica diagnosi possibile fosse quella di

‘diabete mellito tipo 1’ e l’unica terapia ammessa fosse la somministrazione di insulina per tutta la vita.

Oggi, invece, da un lato ci sono stati molti progressi scientifici per capire la patogenesi e la eziologia

delle forme di diabete non autoimmuni, non sempre insulino-trattate, dall’altra, inoltre, l’aumento della

prevalenza della obesità infantile ha fatto anticipare drammaticamente la comparsa del diabete tipo 2,

forma che sembrava essere solo appannaggio delle persone anziane, fino a farlo comparire addirittura

in età adolescenziale. Il congresso, organizzato da Diabete Italia, è, quindi, come al solito particolarmente

sul pezzo in questo momento perché è importante che si faccia un’opera di informazione affinché tutti i

bambini possano praticare all’esordio del diabete il dosaggio degli anticorpi (GAD, IA2,IAA e ZnT8) e,

nel caso fossero negativi, permettere loro di praticare tutti gli approfondimenti utili, compresi quelli genetici,

per capire la eziologia della patologia in modo da scegliere una terapia che sia quanto più è possibile mirata

e ‘sartoriale’”, ha spiegato Dario Iafusco, Responsabile Centro Regionale Diabetologia Pediatrica

“G. Stoppoloni” AOU “Luigi Vanvitelli”, Napoli. Vicepresidente Diabete Italia

“I Pediatri di famiglia hanno un ruolo importante nella diagnosi precoce e nella prevenzione della

chetoacidosi per quanto attiene all’esordio, per il diabete tipo 1. Mentre per il tipo 2, la nostra conoscenza

dei bambini fin dalla nascita, delle loro famiglie, ed i bilanci di salute, possono rappresentare un punto di

osservazione privilegiato nel sospetto di una insulino-resistenza. Dopo l’esordio, la Pediatria del territorio

ha il dovere di sorvegliare il regolare sviluppo psicofisico del bambino, a maggior ragione in occasione di

patologia cronica, verificando, in continuità con i Colleghi dei centri di riferimento, l’adesione ai PDTA, il

corretto inserimento in ambiente scolastico e sorvegliando sulla qualità di vita del bambino e della sua

famiglia. Tutto questo unitamente alla nostra presenza costante nei confronti dei genitori per aiutarli

anche in occasione delle patologie intercorrenti, in modo da inserire il piccolo paziente e tutti i suoi 

caregiver all’interno di un sistema di cure che abbia proprio il bambino come fulcro”, ha detto Michele

Mencacci, Vice Segretario Regionale Umbria FIMP

 

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Covid-19: test sierologici in arrivo

Covid-19: I test

28 ottobre 2020 – Con la ripresa dei contagi da Covid-19, oltre alle esperienze cliniche e terapeutiche acquisite sono indispensabili i test sia mediante tampone sia sierologici più precisi, specifici e sensibili e più rapidi nell’esecuzione e nella risposta. Il test molecolare con tampone naso-faringeo dovrebbe essere fatto al soggetto sospetto il più precocemente possibile alla comparsa dei primi sintomi mentre il test sierologico è utile per scoprire l’andamento anticorpale, identificare potenziali donatori di siero terapeutico, definire il tasso di letalità, diffusione geografica e nelle diverse fasce di età. I test molecolari e sierologici disponibili a breve sul mercato garantiranno risposte sempre più rapide per contenere la diffusione del virus nella speranza che al più presto venga reso disponibile un vaccino sicuro ed efficace capace di eradicarlo definitivamente. Per fare il punto della situazione, Mondosanità ha organizzato il webinar ‘I TEST SIEROLOGICI PER LA DIAGNOSI DI COVID-19 ESPERTI A CONFRONTO’, realizzato grazie al contributo incondizionato di Roche e Lifebrain.

“I test sierologici rilevano la presenza nel sangue di anticorpi eventualmente sviluppati da chi è entrato a contatto con il virus. La cinetica degli RNA e degli anticorpi dopo aver contratto l’infezione da Sars-Cov2 non è la stessa: l’ RNA è dosabile da subito, presente anche in soggetti asintomatici, mentre le IgM, gli anticorpi indicativi di una infezione in corso, risultano dosabili verso il 7° giorno; dal 14°giorno in poi comincia la produzione delle IgG, le immunoglobuline deputate ad una risposta immunitaria più duratura e indicative di una infezione pregressa, le quali, poi, persisteranno nel tempo mentre le IgM scenderanno dal 21° giorno. I test sierologici possono essere di due tipi: uno basato sul prelievo di qualche ml di sangue e l’altro basato sull’utilizzo di una goccia di sangue, meglio noto come pungi dito. Attualmente nessuno dei due ha valore diagnostico, in caso di positività è sempre necessario effettuare un tampone molecolare. Ma è importante continuare la loro messa a punto, la loro sperimentazione, identificare un test sierologico altamente sensibile è una ulteriore arma per sconfiggere il virus, data la rapidità di risposta ed il facile utilizzo, ad esempio nelle scuole”, ha spiegato Antonio Giordano, Dipartimento di Biotecnologie mediche dell’Università di Siena e direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Philadelphia

Fermo restando che il Gold Standard per la diagnosi di SARS-CoV-2 è il test molecolare o tampone, che ricerca direttamente l’RNA del virus con tecniche di biologia molecolare (Reverse Real-Time PCR), il test sierologico, che non ricerca il virus ma ci dice se un soggetto è entrato a contatto in tempi più o meno recenti con esso, rimane uno strumento molto utile per lo screening e la valutazione epidemiologica dell’immunità al Covid-19 per determinate fasce di popolazione o categorie professionali”, ha dichiarato Graziella Calugi, Chief Medical Officer Gruppo Lifebrain

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Patologie reumatiche in Lombardia: “Per gli esperti è ora di creare una vera rete sul territorio per nuovi percorsi di cura”

Patologie reumatiche in Lombardia

Milano 27 ottobre 2020 Implementare la telemedicina, abbattere le liste d’attesa, migliorare intesa ospedale-territorio, creare una rete reumatologica, con maggiore sinergia tra lo specialista, il farmacista ospedaliero e il MMG per garantire una migliore qualità di vita alle persone affette da artrite reumatoide. Per fare il punto sulla situazione delle patologie reumatiche in Lombardia, come già accaduto in Puglia, Veneto e Campania, con la RoadMap REUMARETE, si è svolto con gli esperti, il webinar ‘IL PAZIENTE REUMATOLOGICO LOMBARDO PERCORSI DI CURA POST COVID’, organizzato da Mondosanità e con il contributo incondizionato di Bristol-Myers Squibb ed IT-MeD.

“La valutazione dell’impatto della pandemia sui pazienti portatori di malattie infiammatorie croniche reumatologiche non può prescindere da due ordini di considerazioni. Il primo riguarda l’impatto della infezione da Sars-Cov-2 sulla comunità dei pazienti reumatologici. A questo aspetto la SIR ha tentato di dare una risposta mediante l’istituzione precoce di un registro di casi di contagio insorti in pazienti reumatologici evidenziando che l’infezione non è probabilmente più frequente in questa popolazione e che l’impatto delle terapie è minimo. Il messaggio che ne è scaturito è stato quello di comunicare ai pazienti la necessità di proseguire le terapie in quanto una malattia non controllata sembra essere un fattore di rischio aggiuntivo della possibilità di contagio. Il secondo punto da considerare è relativo alla riduzione delle prestazioni ordinarie per i nostri pazienti, resasi necessaria in funzione dell’allargamento a macchia d’olio del contagio. Per questo è fondamentale che vengano finanziate iniziative di controllo e di monitoraggio a distanza dei pazienti onde evitare che questa grande e fragile comunità di persone si senta abbandonata a casa senza più possibilità di controllo specialistico. La telemedicina offre a questo proposito notevoli opportunità e la SIR ha approntato una piattaforma specifica per il telemonitoraggio da applicare a livello nazionale. È fondamentale che gli organi regolatori ci affianchino in questo programma attraverso il riconoscimento anche economico delle prestazioni a distanza che possono contribuire a ridurre gli spostamenti e quindi i contagi consentendo un adeguato monitoraggio della sicurezza e della aderenza alle terapie in atto”, ha detto Luigi Sinigaglia, Presidente Nazionale della Società Italiana di Reumatologia (SIR) 

“La Lombardia è stata la regione italiana più duramente colpita dall’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Covid-19: se tale evento di eccezionale gravità ha modificato la vita di tutti, è necessario osservare da vicino quale impatto esso abbia avuto nella vita di chi in Lombardia vive con una patologia reumatologica cronica. Come Associazione Lombarda dei Malati Reumatici e tutte le altre associazioni a noi affini con le quali collaboriamo, vogliamo che il webinar di oggi, sia l’occasione per confrontarci con gli esperti per ragionare insieme su aspetti cruciali – resi ancora più urgenti dalla pandemia – tra i quali le liste d’attesa, la creazione di una rete reumatologica sul territorio lombardo, il ruolo della telemedicina e in generale tutti gli aspetti che anche in tempo di pandemia possono concorrere alla positiva qualità di vita di tutte le persone che affrontano una patologia reumatologica cronica”, ha spiegato Maria Grazia Pisu, Presidente ALOMAR ODV

“La pandemia, in questo momento, sta ripresentando le problematiche più critiche che abbiamo già vissuto. La difficoltà d’accesso agli Ospedali e agli ambulatori medici ha riaperto un problema che rende i pazienti incerti e preoccupati sul loro futuro a causa della lungaggine delle liste d’attesa per prime visite ed eventuali rimandi delle visite di controllo già programmate. Ma questo vale per tutta Italia e noi di ANMAR lo abbiamo fatto notare da marzo. La difficoltà a fissare appuntamenti per visite specialistiche che, con patologie multidisciplinari, sono necessarie. Vale per tutta Italia. Parliamo di patologie che spesso hanno delle comorbidità e devono essere seguite oltre che dal MMG che spesso è escluso dal nostro percorso di cronici, anche gli specialisti non si confrontano per gestire al meglio la patologia o le patologie. La creazione di una rete reumatologica sul territorio lombardo risulta impellente e ci stiamo lavorando con la Regione che aveva già avviato i lavori ma con le difficoltà del momento e con il cambio dei referenti regionali incaricati, è in attesa di poter ripartire. La telemedicina in Lombardia è attiva. Il Fascicolo Sanitario è adeguato e accessibile. Ovviamente per chi non è attrezzato a livello telematico, diventa più difficile. Anche se per quanto concerne l’interoperabilità dei sistemi/piattaforme diventa un problema. Il paziente è titolare/proprietario dei suoi dati. I dati nel fascicolo non sono interoperabili tra i sistemi attuati, ANMAR si sta adoperando con smart share di far sì che le varie piattaforme possano interagire per rendere il percorso del cronico più agevole, degli specialisti più veloce e di dare la possibilità al MMG di essere coinvolto nel percorso di cura del paziente”, ha dichiarato Silvia Tonolo, Presidente ANMAR

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COVID-19 E DIFFERENZE DI GENERE: COME IL VIRUS HA ATTACCATO UOMO E DONNA IN MODO DIFFERENTE

COVID-19 E DIFFERENZE DI GENERE

Un documento per deputati e senatori con 12 azioni per potenziare la medicina di genere all’interno del Sistema Sanitario Nazionale frutto del webinar di Mondosanità e realizzato grazie al contributo incondizionato di Lundbeck.

 

Tenere conto delle differenze di genere per comprendere gli effetti del Covid19 sui pazienti e immaginare percorsi di cura nell’ambito della medicina di precisione. In Italia uomini e donne vengono curati tutti allo stesso modo, ma i due sessi reagiscono in maniera diversa alle malattie e il Covid19 è stato solo l’ultimo esempio. Per questo motivo Mondosanità ha messo attorno a un tavolo digitale alcuni esperti del settore per discutere di questo tema e più nello specifico di quali siano le differenze nel trattamento medico tra uomo e donna nell’era post Covid19 con un focus sulle malattie della mente e del cervello.

Frutto di questo confronto un documento di sintesi con 12 azioni da mettere in campo per potenziare la medicina di genere all’interno del Sistema Sanitario Nazionale. Il documento è stato inviato ai deputati delle commissioni Sanità di Camera e Senato.

La salute mentale è stata particolarmente colpita durante la pandemia di Covid-19: infatti, più del 20% delle persone mostra disturbi post-traumatici da stress, depressione e ansia. Le donne sono la categoria più colpita perché gravate dalle responsabilità professionali e della famiglia, e molto spesso vittime delle violenze domestiche durante la quarantena. Anche in gravidanza e nel post-parto è stato registrato un aumento fino al 40% della depressione e fino al 72% dell’ansia nel post lock-down. Il compito del SSN è quello di lavorare attivamente per promuovere la farmacologia di genere a supporto delle donne nel periodo post-pandemico dove bisogna far fronte a nuove sfide.

Il Covid-19 ha posto in evidenza le criticità dell’offerta sanitaria territoriale, queste criticità non esimono il trattamento delle malattie neurologiche e mentali. Bisogna quindi includere queste categorie nella riorganizzazione del sistema territoriale. L’obbiettivo è riuscire a prendere in carico il paziente a 360° partendo dalla prevenzione fino al supporto psicologico necessario per ritornare all’interno della società.

L’emergenza sanitaria è il lockdown hanno avuto un doppio effetto, da una parte hanno portato al limite pazienti con fragilità mentale pre-esistenti che durante i mesi del lockdown non hanno potuto accedere a pieno ai servizi di cura e dall’altra ha esacerbato cittadini che soffrivano solo di lievissimi o nessun disturbo. Inoltre la stessa malattia covid-19 con le sue numerosissime e spesso gravi manifestazioni cliniche è estremamente pericolosa per il paziente sia dal punto di vista psichiatrico che psicologico.

Secondo studi attuali per via del coronavirus circa il 48% degli italiani è sotto stress. Questa situazione critica però non cesserà con la fase acuta del virus poiché anche se il virus sta scomparendo le ricadute economiche e sociali dureranno ancora a lungo. Bisogna quindi programmare un monitoraggio per le patologie mentali ad ampio spettro, ponendo particolare attenzione anche sugli operatori sanitari che negli ultimi mesi hanno subito stress psicologici molto forti.