Contro i batteri resistenti agli antibiotici il team di stewardship detta l’uso appropriato dei nuovi farmaci valutando dosaggi e tempi di somministrazione

Napoli, 24 maggio 2022 – Si potrà evitare o quantomeno di ridurre il pesante impatto di quella che è oggi considerata una vera e propria pandemia, l’antimicrobico resistenza (AMR), super batteri resistenti agli antibiotici che mettono in ginocchio i sistemi sanitari di tutto il mondo. Le linee di intervento sono la prevenzione, la ricerca, lo sviluppo e la produzione di nuovi antibiotici capaci di contrastare le infezioni sostenute da patogeni resistenti a maggiore criticità, e la formazione sulle pratiche di controllo del rischio infettivo e di stewardship antimicrobica oltre che sul potenziamento della diagnostica microbiologica. 

Motore Sanità ha aperto un dialogo tra tecnici e dirigenti ospedalieri su questo aspetto cruciale organizzando l’evento NUOVI MODELLI DI GOVERNANCE OSPEDALIERA PER GLI ANTIBIOTICI INNOVATIVI “DA UN ACCESSO RAZIONATO A UN ACCESSO RAZIONALE E APPROPRIATO”, con il contributo non condizionante di MENARINI. L’obiettivo è la ricerca di un corretto e condiviso Place in Therapy che rappresenti un uso ragionato e razionale piuttosto che solamente razionato.
L’antimicrobico resistenza è considerata tra le 10 minacce più gravi alla salute mondiale. La ragione del crescente interesse nei confronti di un uso razionale ed appropriato degli antibiotici origina da numerosi fattori dei quali i più importanti sono l’aumento della diffusione di germi multi resistenti e la mancanza di molecole ad attività antibatterica che possano garantirne la cura. Siamo di fronte a numeri importanti, come stima un articolo di Lancet del Gennaio 2022 con quasi 5 milioni di decessi attribuibili direttamente o indirettamente alla diffusione dell’antibiotico resistenza. A questo scenario d’incremento dell’antibiotico resistenza si è inoltre aggiunto l’impatto della pandemia di Covid-19. Infatti, nonostante la bassa prevalenza di infezioni secondarie nei pazienti con Covid-19, un’alta percentuale di loro hanno ricevuto un trattamento antibiotico. L’enorme aumento dell’uso di azitromicina e di altre molecole come le cefalosporine ha avuto e avrà nei prossimi anni un ruolo sulla resistenza. In ogni caso, la pandemia di Covid-19 e le sue conseguenze sulla resistenza antimicrobica hanno dimostrato la necessità di mantenere i programmi di gestione antimicrobica e di controllo delle infezioni.

Tiziana Ascione, Infettivologa, ha messo in evidenza il ruolo della stewardship team e la necessità di affrontare il problema con comportamenti precisi e condivisi per un utilizzo razionale della terapia antibiotica. 
“Per tentare di arginare questo fenomeno è necessario un approccio globale con schemi di comportamento precisi e condivisi che guidino verso un uso razionale e ragionato della terapia antibiotica evitando la sovraesposizione al trattamento antibiotico che si osserva particolarmente nei pazienti fragili – ha dichiarato Tiziana Ascione -. Affinché avvenga c’è bisogno di nuovi modelli di governance che coinvolgano sia il paziente/utente finale che tutto il personale medico che si adopera nella cura. Le esperienze condotte anche in altre nazioni vedono l’imporsi dello ‘Stewardship team’ nel quale confluiscono le esperienze dei diversi soggetti coinvolti nella cura che seguendo accreditate linee guida suggeriscono scelte appropriate non solo riguardo alla gestione ed al successo del singolo caso, ma in grado di garantire il miglior utilizzo delle risorse garantendo un’alta probabilità di successo terapeutico. Dopo un lungo periodo in cui non è stato possibile contrastare le malattie sostenute da patogeni multi-resistenti per la mancanza di molecole attive, vengono proposti nuovi antibiotici dotati di miglior spettro d’azione il cui uso ad oggi è gravato da alti costi e da limitate indicazioni terapeutiche. Il team di stewardship assume in questo caso un ruolo fondamentale, dettando l’uso appropriato dei nuovi farmaci con valutazione attenta dei dosaggi e dei tempi di somministrazione per garantire la minore pressione di selezione possibile

HIV e PNRR: serve creare percorsi tra specialisti e il territorio per individuare e curare precocemente i pazienti sieropositivi ed evitare altri contagi

È necessario ritornare a parlare delle molte malattie rimaste sottotraccia durante l’immensa tragedia che è il Covid. L’infezione da Hiv è una di queste malattie, che per la natura della sua trasmissione non può rimanere sconosciuta al grande pubblico. Riuscire ad aumentare la consapevolezza dei cittadini su questa malattia non è l’unica grande sfida del momento. Infatti, con una maggiore conoscenza scientifica della malattia ed un armamentario terapeutico sempre più efficace l’aspettativa di vita del paziente Hiv si avvicina sempre di più alla sua controparte sana. Questa situazione, però, deve comportare un cambiamento nel modello di presa in carico del paziente, con la creazione di percorsi tra specialisti e il territorio e potenziando la telemedicina, e per riuscire in questo sarà necessario anche un utilizzo oculato dei fondi destinati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) alla sanità. 
Si è parlato di questo nell’ambito dell’evento UN NUOVO RUOLO DEL TERRITORIO NELLA GESTIONE DELLA SANITÀ. PNRR E HIV: IL RETURN TO CARE. SICILIA E SARDEGNA”, organizzato da Motore Sanità, con il contributo non condizionante di MSD e IT-MeD. 

Ad oggi, sono circa 38 milioni le persone affette da HIV nel mondo, con 690 mila decessi solo nel 2019. Negli ultimi anni, grazie all’introduzione delle terapie antiretrovirali (ART), si è assistiti alla cronicizzazione dello stato di salute dei pazienti HIV+ che oggi hanno una aspettativa di vita paragonabile a quella delle persone sieronegative, con una buona qualità di vita, seppure con maggiori rischi di complicanze legate alle comorbidità. In Italia si registrano circa 125.000-130.000 casi di infezioni da HIV, con una quota di soggetti che vivono con l’HIV senza esserne a conoscenza che oscilla tra l’11% e il 13%, in linea con quanto riscontrato a livello globale. Ad oggi, sono circa 102.000 i pazienti trattati con una spesa farmaceutica che ammonta a 661,2 milioni di euro secondo gli ultimi dati elaborati da AIFA (L’uso dei farmaci in Italia – Rapporto OsMed 2019). 
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha posto obiettivi importanti da raggiungere entro il 2030: avere il 90% delle persone con l’infezione diagnosticata, il 90% delle persone diagnosticate in terapia ARV e il 90% con soppressione virologica. Di recente, la Global Aids Strategy per il periodo 2021-2026 ha definito un nuovo e più ambizioso target (95-95-95) da raggiungere entro il 2030. L’Italia è ancora lontana dall’obiettivo. Nell’ambito dell’HIV, la pandemia ha avuto un impatto non solo sui pazienti naive, ma anche e soprattutto sui pazienti in trattamento che necessitavano di switch in quanto la chiusura e/o riconversione degli ambulatori HIV in ambulatori Covid-19 ha generato un ritardo nel trattamento di questi pazienti con conseguenze negative sotto il profilo clinico e sociale ed economico. 

Secondo Antonio Cascio, Professore Ordinario e Direttore UOC Malattie Infettive Tropicali e Centro Regionale di Riferimento AIDS AOU Policlinico Giaccone Palermo, è fondamentale individuare quindi curare precocemente i pazienti HIV positivi. “In Sicilia stiamo portando avanti un PDTA che, di fatto, è stato condiviso fra tutte le Unità operative che seguono pazienti HIV e che è già applicato. La telemedicina può essere di grande aiuto per tenere vicino il paziente e per mantenere vivo il rapporto tra specialista e paziente, quindi implementarla è importante. Resta importante il fatto che se cominciamo a curare precocemente un paziente, evitiamo che qualcun altro si contagi. Il vero risparmio sta quindi nell’evitare che altre persone si infettino. Negli ultimi due anni si è registrato un calo dei contagi, dovuto però alla mancanza di diagnosi a causa della pandemia. In realtà l’HIV non ha affatto arrestato la sua corsa. Tra i dati da attenzionare c’è un incremento della mortalità di pazienti HIV ricoverati, registrata dal 2014 al 2021, che è passata dal 2 al 15%. Un dato drammatico dovuto a meno posti letto, quindi meno possibilità di ricoverare, dando perciò precedenza ai pazienti più gravi, poi ha influito la pandemia del Covid”

Motore Sanità lancia l’idea di un fondo vincolato per la Salute Mentale

Psychiatrist trying to help with empathy a patient with mental disorder who refuses help

La Conferenza Stato-Regioni ha già indicato nel 5%, escluse le dipendenze, la quota del fondo sanitario nazionale da destinare alla Salute Mentale. Il problema è che non viene applicata.

23 maggio 2022 – Motore Sanità, in occasione del webinar “CENTRAL-MENTE IN SALUTE. PORTARE LA SALUTE MENTALE AL CENTRO DELL’AZIONE DI GOVERNO E DEL PNRR”, lancia l’idea di un fondo vincolato per la Salute Mentale. Così il Dottor Claudio Zanon, Direttore scientifico di Motore Sanità, rivolgendosi alla Senatrice Paola Boldrini, Vice Presidente 12^ Commissione Igiene e Sanità Senato della Repubblica: “In Italia c’è un 30% di sommerso di pazienti con problemi di Salute Mentale, senza toccare la depressione. Cito i dati della Società Italiana di Psichiatria. Perché non fate un fondo vincolato per le regioni per la Salute Mentale? Così come ad esempio c’è il fondo per i farmaci innovativi oncologici e non oncologici. Un fondo vincolato e adeguatamente finanziato come richiesto alle regioni per la medicina del territorio, che permetta il raggiungimento del 5% concordato fra Conferenza Stato-Regioni e il Governo. Credo che potrebbe essere una svolta importante

La proposta è stata accolta con favore anche dagli altri relatori presenti al webinar, a cominciare da Michele Sanza, Presidente Società Italiana di Psichiatria delle Dipendenze, che ha commentato: “Oggi l’Italia è in fondo alla classifica europea per la percentuale di spesa sanitaria in favore della Salute Mentale (Germania 12 %; Inghilterra 9%…); la spesa media delle regioni nel 2020 si colloca infatti sul 3% (in calo rispetto agli anni precedenti). Con regioni più attente come la Sardegna (4,6%) e altre decisamente all’opposto come la Campania, con solo il 2,1%. Ne derivano profonde differenze e di equità tra le aree geografiche del nostro Paese, con conseguenti differenze in termini di diritto all’accesso alle prestazioni essenziali. Ridurre la disabilità psichica promuovendo le cure appropriate e gli interventi di prevenzione non è una spesa a fondo perduto, ma anzi un risparmio per le future generazioni sulla spesa assistenziale. La proposta di un fondo vincolato per la Salute Mentale che porti le risorse per la SM almeno al 5% della spesa sanitaria nazionale va nella direzione di recuperare quel ruolo di programmazione centrale dello Stato in materia sanitaria che rimane essenziale, a fronte dell’evidente pregiudizio per il diritto alla salute delle persone di disturbi mentali. Le regioni e le aziende sanitarie devono essere obbligate a utilizzare queste risorse per potenziare e qualificare i servizi dei Dipartimenti di Salute Mentale (comprendendo la Salute Mentale adulti, le dipendenze patologiche e la Neuropsichiatria infrantile) tramite un ampio programma di sviluppo e di adeguamento dell’offerta di cure.

“Sono assolutamente d’accordo con la proposta di vincolare un fondo per la Salute Mentale e sorvegliare che venga applicato”, afferma Enrico Zanalda, Copresidente Società Italiana di Psichiatria. Il fondo dovrebbe essere persino del 6% del fondo nazionale o di sanità regionale, se si considerano anche le dipendenze insieme alla salute mentale. In molte regioni è già così: un Dipartimento di Salute Mentale allargato non può non avere al suo interno anche le dipendenze

“La Conferenza Stato-Regioni ha già indicato nel 5%, escluse le dipendenze, la quota del fondo sanitario nazionale da destinare alla Salute Mentale”, precisa Giuseppe Ducci, Direttore Dipartimento di salute Mentale Roma 1. “Il problema è che non viene applicata. È necessario che ci siano un forte monitoraggio ed eventualmente anche penalizzazioni per le regioni, se questa quota non viene effettivamente utilizzata per la Salute Mentale

Intanto, sulla questione, è prevista un’audizione da parte della Psichiatria alla Commissione del Senato. 

Le imprese dei dispositivi medici – un confronto per il futuro della sanità

At the laboratory

Annamaria Parente, Presidente della Commissione Sanità del Senato: “Non dobbiamo più farci trovare impreparati davanti alle emergenze e perciò dobbiamo rilanciare subito la sanità, ascoltando tutte le realtà e le imprese che operano in questo campo”.

Roma, 24 maggio 2022 – I rappresentanti delle imprese dei dispositivi medici sono stati ricevuti dalla Presidente della Commissione Sanità del Senato Annamaria Parente, presso il Senato della Repubblica in Sala Caduti di Nassirya.

Obiettivo dell’incontro “Le imprese dei dispositivi medici per la diagnostica. Un confronto per il futuro della sanità”, promosso in collaborazione con Motore Sanità, è stato fare il punto sulle sfide e le criticità di questo complesso periodo.

Gli equilibri nazionali e internazionali che si sono creati dall’inizio della pandemia ad oggi mettono il settore in una condizione di svantaggio. Da un lato il quadro del commercio internazionale vede la Cina assumere sempre più un ruolo principale: nell’ultimo anno le importazioni provenienti da questo Paese sono aumentate del 15,1%, mentre le esportazioni verso gli USA si sono ridotte del 123%, facendo pensare ad un pericoloso arretramento in termini di quote di mercato globali. Dall’altro, le condizioni produttive in Italia sono progressivamente peggiorate nell’ultimo decennio, a causa del susseguirsi di politiche incentrate sulla spending review, che hanno colpito direttamente le aziende del comparto tramite: il prelievo forzoso del 5,5% sul totale delle spese promozionali delle aziende; l’imposizione del meccanismo delle gare al massimo ribasso, con l’impossibilità di rinegoziare i contratti in corso di fornitura nonostante l’aumento dei costi delle materie prime; l’imposizione dei tetti di spesa in dispositivi medici sia di base nazionale che regionale; l’introduzione del meccanismo del payback a danno delle aziende produttrici e distributrici; il prelievo forzoso fino allo 0,75% sul fatturato. A ciò si è aggiunto, nel corso dei due anni di pandemia, un sostanziale blocco di tutte le prestazioni diverse dal Covid, con una conseguente riduzione dell’utilizzo di dispositivi medici, il cui mercato è rimasto “immobile” per gran parte del periodo emergenziale. La “tempesta perfetta” è stata completata dal contraccolpo subito dalle aziende a causa dell’incremento del costo delle materie prime e dei componenti (e talvolta anche dalla loro carenza) come il ferro (+51,6%), l’alluminio e l’acciaio inox (+39,5% e +36,3%), ma anche dei materiali plastici (+34,8%) e della componentistica elettronica (+32,1% ), che si somma all’impennata dei costi per il trasporti e per le importazioni di componentistica, semilavorati e prodotti finiti che fa registrare mediamente un balzo del 188,9% con picchi che nelle ultime settimane hanno superato il 400%.

Da qui le proposte avanzate da Fernanda Gellona, Direttore Generale di Confindustria Dispositivi Medici, nel corso dell’incontro: “Rifinanziare la salute, abolire i tetti di spesa e il payback, eliminare la tassa dello 0.75% sui fatturati delle nostre imprese, attivare un piano nazionale di Health Technology Assessment (HTA), ridefinire i livelli essenziali di assistenza (LEA) sulla base dei percorsi diagnostici terapeutici assistenziali.È il momento di definire un sistema di governance che garantisca un controllo della spesa non penalizzando il tessuto industriale italiano, l’innovazione e i servizi al cittadino. Parliamo di un settore imprenditoriale che conta in Italia 4.546 imprese e occupa 112.534 addetti.Meccanismi come il payback rendono paradossalmente debitrici le aziende penalizzando ricerca e sviluppo, bloccando l’innovazione e frenando un tessuto industriale fondamentale tanto per la salute economica del Paese quanto per quella dei suoi cittadini.Mettere in capo alle imprese fornitrici una parte degli sforamenti dei limiti di spesa, fissati dalle stesse regioni, non considerando gli attuali bisogni di salute dei cittadini significa trasferire la responsabilità della corretta gestione della spesa pubblica a soggetti privati, quali le imprese”.

Le aziende della diagnostica in vitro”, ha dichiarato Katia Accorsi, Presidente dell’Associazione che rappresenta le imprese della diagnostica in vitro in Confindustria Dispositivi Medici, “stanno operando su un territorio a forte rischio sistemico, che ha visto le proprie fondamenta scuotersi in occasione della pandemia da Covid-19 e che continua a essere tormentato da nuovi eventi geopolitici come la crisi tra la Russia e il mondo Occidentale. I mercati delle materie prime e dei semilavorati vivono da mesi un periodo di tumulti e alta volatilità, e le imprese del settore hanno dovuto ormai imparare a convivere con aumenti indesiderati dei costi di produzione e con difficoltà di approvvigionamento. Non dobbiamo poi dimenticare il ruolo centrale che hanno avuto le aziende della diagnostica allo scoppio della pandemia per lo sviluppo della diagnostica Covid in tempi record: sierologici, antigenici, self test e tamponi molecolari di ultima generazione.Ma la nostra industria è fondamentale non solo in tempi di emergenza: i risultati dei test diagnostici in vitro sono in grado di influenzare fino al 70% delle decisioni cliniche, pur rappresentando solo circa l’1,2% della spesa sanitaria.Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è la grande occasione che il nostro sistema sanitario ha di fronte per superare le fragilità emerse durante la crisi sanitaria e progettare la sanità del futuro, facendo tesoro delle criticità che il sistema ha mostrato. Ci auguriamo che il PNNR rappresenti l’opportunità per mettere al centro la diagnostica nella gestione del paziente e della sua patologia con una strategia e una visione di lungo termine”.

Confindustria dispositivi medici chiede quindi al Parlamento di intervenire sui decreti in oggetto e sul Governo, affinché accolga e dia seguito alla proposta di collaborazione per la definizione di una governance moderna e virtuosa del settore.

In prima linea la presidente della commissione Sanità del Senato, Annamaria Parente, che ha così commentato: “Dobbiamo sviluppare la diagnostica e per farlo bisogna anche stare accanto alle imprese del settore. Allo stesso tempo bisogna favorire lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione. Non dobbiamo più farci trovare impreparati davanti alle emergenze e perciò dobbiamo rilanciare subito la sanità, ascoltando tutte le realtà e le imprese che operano in questo campo”.