Cirrosi epatica: Una patologia che conta circa 20.000 decessi l’anno

Cirrosi Epatica

Aderenza alle terapie, prevenzione e presa in carico per migliorare qualità di vita del paziente e sostenibilità del SSN

Padova, 13 novembre 2020 – Migliorare l’aderenza alla terapia, prevenire complicanze gravi come encefalopatia epatica e ascite, potenziare l’assistenza domiciliare, formare il paziente e il caregiver, rendere sostenibili le cure e aumentare la qualità e l’aspettativa di vita. Questi gli argomenti discussi, con i principali interlocutori del Veneto, durante il Webinar: “Focus La realtà italiana della cirrosi epatica in epoca Covid-19 tra terapie e impatto socio economico”, organizzato da Motore Sanità grazie alla sponsorizzazione non condizionante di Alfasigma S.p.A.. Particolare attenzione è stata data alla necessità di prevenire l’encefalopatia epatica dato che è la più invalidante complicanza della cirrosi, causa di ripetuti ricoveri, di problemi per tutto il contesto familiare del paziente e di un aggravio dei costi per il SSN.

Paolo Angeli, Direttore Clinica Medica V Università di Padova ha spiegato come “la cirrosi e altre malattie epatiche croniche siano tra le principali cause di morbilità e mortalità a livello globale. Il “Global Burden of Diseases, Injuries, and Risk Factors Study (GBD)” ha segnalato che nel 2017 la cirrosi ha causato, nel mondo, più di 1,32 milioni di decessi totali (437.000 fra le femmine e 883.000 fra i maschi), rispetto a meno di 900.000 decessi globali nel 1990. I decessi dovuti a cirrosi hanno costituito il 2,4% dei decessi totali nel 2017 rispetto all’1,9% nel 1990. Nonostante un aumento del numero di decessi, il tasso di mortalità standardizzato per età è diminuito da 21,0 per 100.000 abitanti nel 1990 a 16,5 per 100.000 abitanti nel 2017. In Italia il numero assoluto di decessi ha avuto un forte incremento tra il 1960 e la seconda metà degli anni ’70, per poi mostrare una progressiva tendenza alla riduzione. Per effetto di questa tendenza, il tasso di mortalità annuo per cirrosi è sceso dal 17 per 100.000/abitanti nel 2004, al 9 per 100.000/abitanti nel 2014. Venendo poi ai dati relativi alla Regione Veneto, il tasso di mortalità per cirrosi standardizzato per età è passato dal 35,1 e 36,2 per 100.000/abitanti nel 2013 al 15,7 e 8,2 per 100.000 abitanti dal 2013 al 2017, rispettivamente nei maschi e nelle femmine. La cirrosi epatica comporta un notevole impegno delle strutture assistenziali. L’entità di questo impegno è andata progressivamente aumentando, a livello globale, dal 1990 ad oggi per effetto, almeno in parte, della crescita e dell’invecchiamento della popolazione. Va infatti segnalato un aumento significativo del tasso di prevalenza standardizzato per età della cirrosi scompensata tra il 1990 e il 2017. Per effetto di tale incremento, sono stati registrati nel 2017, a livello globale, 10,6 milioni di casi prevalenti di cirrosi scompensata e 112 milioni di casi prevalenti di cirrosi compensata. La prevalenza standardizzata per età di pazienti con cirrosi compensata e scompensata dovuta a NASH è aumentata più che per qualsiasi altra causa di cirrosi (del 33,2% per la cirrosi compensata e del 54,8% per quella scompensata). Non disponiamo di dati analoghi in Italia e nella Regione Veneto. Tuttavia, per quest’ultima, va segnalato che i ricoveri urgenti legati alla malattia epatica sono risultati 11.000-12.000 per anno nel periodo tra il 2006 e il 2008, motivati più frequentemente da ascite (30%) ed encefalopatia epatica (30%)”.

“Considerato l’incremento attuale dei contagi del virus SarsCov-2 siamo molto preoccupati per i pazienti con cirrosi epatica perché dovrebbero effettuare controlli e procedure sanitarie a cadenza periodica e molto spesso questi esami si svolgono in ambito ospedaliero. Sono oltre 100.000 i pazienti con cirrosi e malattia avanzata già curati dall’epatite C ma ancora a rischio di sviluppare un tumore del fegato, inoltre, ci sono almeno altri 100.000 casi correlati ad altre patologie come alcol, obesità, epatite B, ecc. La preoccupazione vale anche per anche per tutti i pazienti con malattia avanzata che devono iniziare una qualunque terapia, ad esempio per l’eradicazione del virus dell’epatite C. Un recente studio (Kondili LA, Marcellusi A, Ryder S, Craxì A. Will the COVID-19 pandemic affect HCV disease burden? Digestive and Liver Disease, 2020 52(9). https://doi.org/10.1016/j.dld.2020.05.040) ha stimato che ritardare l’inizio delle cure di 12 mesi, decuplica le complicanze e i decessi nei 5 anni successivi. È quindi indispensabile indicare quali sono le prestazioni differibili da quelle indifferibili in questi pazienti ad alto rischio di complicanze. Le cure e il monitoraggio dei malati cronici a rischio dovrebbero continuare attraverso approcci innovativi come il telemonitoraggio e la telemedicina oppure decentralizzando esami e prestazioni spostandoli dall’ospedale al territorio per evitare di esporre i pazienti fragili a rischi inutili. Sarebbe anche di grande aiuto semplificare gli atti burocratici come rinnovare automaticamente i piani terapeutici, consentire il ritiro dei farmaci ospedalieri presso la farmacia di fiducia o consegnarli direttamente a casa, incrementare le confezioni erogabili e tutte le altre modifiche di natura amministrativa che possono incidere positivamente sulla qualità di vita di pazienti cronici che devono restare sempre più protetti e monitorati come raccomandato da tutti gli esperti”, ha detto Ivan Gardini, Presidente EPAC

“Un recente studio (Mennini et al, 2018), basato su dati Real-world italiani ha calcolato i costi sostenuti dal SSN per le ospedalizzazioni dovute a episodi di Encefalopatia Epatica conclamata (OHE). Lo studio riferisce che i pazienti con encefalopatia epatica sono caratterizzati da una storia clinica più severa di quella riportata in letteratura: l’incidenza di nuovi ricoveri dopo il primo risulta pari al 62%, più elevata di altri studi osservazionali italiani o di trial clinici. La probabilità di decesso al primo ricovero risulta pari al 32% (superiore rispetto studi osservazionali e RCT). Ancora, la probabilità di decesso, dei dimessi, per tutte le cause risulta pari al 29% nel primo anno e al 33% entro il secondo (anche qui più elevata rispetto a studi osservazionali e RCT) generando un impatto economico per il SSN pari a € 13.000 per paziente. Riportando il valore a livello Nazionale, si tratta di una spesa di € 200 milioni per la sola assistenza ospedaliera. Nel 2020 è stata effettuata un’analisi aggiuntiva (Mennini et al, EEHTA CEIS, 2020) con l’obiettivo di confrontare le Guide Lines sulla HE con i dati Real World dopo un primo ricovero per OHE. L’analisi dell’aderenza alla terapia evidenzia due aspetti fondamentali: i pazienti dimessi dopo un episodio di HE non assumono la terapia prescritta e solo i pazienti più gravi sembrerebbero essere più aderenti al trattamento. Emerge in maniera decisa l’indicazione di utilizzare trattamenti più appropriati dopo il primo ricovero per ridurre l’elevato rischio di ricadute e diminuire l’impatto dei costi”, ha dichiarato Francesco S. Mennini, Professore di Economia Sanitaria, EEHTA CEIS, Università di Roma “Tor Vergata”, Kingston University London UK

Alfasigma

Alfasigma, tra i principali player dell’industria farmaceutica italiana, è un’azienda focalizzata su specialità da prescrizione medica, prodotti di automedicazione e prodotti nutraceutici. Nata nel 2015 dall’aggregazione dei gruppi Alfa Wassermann e Sigma-Tau – due tra le storiche realtà farmaceutiche italiane – oggi è presente con filiali e distributori in circa 90 paesi nel mondo. L’azienda impiega oltre 3000 dipendenti, di cui più della metà in Italia suddivisi in 5 sedi: a Bologna il centro direzionale e a Milano la sede della divisione internazionale, mentre a Pomezia (RM), Alanno (PE) e a Sermoneta (LT) sono localizzati i siti produttivi. Bologna e Pomezia ospitano anche laboratori di Ricerca e Sviluppo. In Italia Alfasigma è leader nel mercato dei prodotti da prescrizione dove è presente in molte aree terapeutiche primary care (cardio, orto-reuma, gastro, pneumo, vascolare, diabete) oltre a commercializzare prodotti di automedicazione di grande notorietà, come Biochetasi, Neo-Borocillina, Dicloreum e Yovis. Sito web www.alfasigma.it

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Diabete Italia: “Ruolo chiave dell’infermiere nel riconoscere la malattia fin da piccoli, con sete e pipì è subito allarme”

Diabete Italia

In Italia il diabete di tipo 1 colpisce 500mila persone e oltre 3milioni e mezzo il tipo 2

13 novembre 2020 – In occasione della Giornata Mondiale del diabete, Diabete Italia Onlus insieme a Motore Sanità e con il contributo incondizionato di Sanofi, Novo Nordisk, AstraZeneca e MSD, ha riunito gli esperti della patologia per fare il punto sulla situazione italiana. Ancora troppe le persone, bambini e adulti che non sanno di avere la malattia: per combatterla nel migliore dei modi è ormai riconosciuto da tutti che è fondamentale affrontare il diabete rivolgendosi ad un team multidisciplinare completo, dal diabetologo al medico di base, dallo psicologo al podologo, ma la figura dell’infermiere deve fare da collante nel percorso di cura che il paziente affetto deve affrontare per sconfiggere il diabete.

“Sicuramente il 2020 lo ricorderemo come l’anno della pandemia: questo virus Covid-19, oltre ad aver provocato direttamente la morte di migliaia di persone, ha causato anche un rallentamento nelle cure delle malattie croniche come il diabete. Ma chi ha il diabete deve fronteggiarlo quotidianamente e la difficoltà in questi mesi è stata di conciliare l’urgenza delle disposizioni anti-Covid con la regolarità delle cure per le cronicità. Il diabete non ci abbandona purtroppo ed è necessario poter contare anche su cure certe e continuative. In Italia 1 diabetico su 3 non sa di esserlo. Cosa vuol dire questo? Che purtroppo questi malati senza cure necessiteranno di più attenzioni una volta che il loro quadro clinico si aggraverà e questo è un fattore da evitare sia per il paziente sia per la spesa sanitaria nazionale.  I numeri del diabete sono in salita e per evitare un’impennata deve per forza entrare in gioco la prevenzione: adottare uno stile di vita sano, ovvero mangiare bene e fare movimento. Oltre a questa grande fetta di “ignoti” al sistema sanitario nazionale, voglio anche ricordare che purtroppo nel nostro Paese di diabete di tipo 1 si muore ancora. Più o meno ogni anno, purtroppo, si presentano casi di minori ai quali non era stata diagnosticata la malattia diabetica e che sono deceduti. Terribile. Fatti gravi che non devono mai più ripetersi. I sintomi che devono far scattare l’allarme e che possono essere indicatori della malattia sono una gran sete e di conseguenza l’aumento dello stimolo a urinare. Se sono presenti questi due segnali è meglio avvisare subito il proprio medico curante e approfondire la propria situazione di salute”, ha dichiarato Stefano Nervo, Presidente Diabete Italia

“The nurse makes a difference, è il tema di questa giornata e, l’infermiere proprio perché ha un ruolo chiave nella gestione del diabete, può fare la differenza quando con competenza, attraverso l’educazione terapeutica permette, alla persona con diabete di assumersi la responsabilità della cura e ottenere e mantenere una migliore qualità di vita. Ma l’infermiere, in considerazione del fatto che l’attenzione e le risorse si focalizzano obbligatoriamente sulla pandemia Covid-19, deve essere oggi il professionista indispensabile e determinante, oltre che nella gestione, nella prevenzione e nell’ informazione, deve esserlo nel riconoscimento precoce delle emergenze della malattia diabetica quali il non sottovalutare nel diabete 1 il sintomo “tanta sete tanta pipì” che può portare alla chetoacidosi fino al coma del bambino o il non riconoscere la sintomatologia relativa alla ipoglicemia”, ha detto Carolina Larocca, Presidente OSDI (Operatori Sanitari di Diabetologia Italiani)

Ero malato di diabete ma non sapevo di esserlo

Ero malato di diabete

13 novembre 2020 – Il diabete è un esempio paradigmatico di patologia cronica a gestione complessa (oltre 3.5 milioni di pazienti dichiarano di esserne affetti in Italia, ma con stime che parlano di circa 5 milioni, un costo per il SSN stimato intorno ai 9 miliardi senza considerare le spese indirette, una spesa procapite per paziente più che doppia verso un pari età non malato ed è causa di  73 decessi al giorno in Italia), per la quale i percorsi di cura debbono essere rivisti. Per fare chiarezza sulla situazione attuale in Italia, si è svolto il webinar “Ero malato di diabete ma non sapevo di esserlo”. Il webinar è stato organizzato da Diabete Italia Onlus e Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Sanofi, Novo Nordisk ed AstraZeneca, nell’ambito di una serie di eventi svolti a ridosso della ‘Giornata Mondiale del Diabete’ atti sia a sensibilizzare la popolazione su questa importante malattia sia per portare all’attenzione dei decisori politici delle fattive proposte per migliorare l’apporto clinico del SSN a questi pazienti. Durante questo webinar si è puntato i riflettori sulla grande problematica dei moltissimi cittadini che soffrono di diabete ma non ne riconoscono i sintomi e quindi non ne possono avere una diagnosi dei medici.

Se un adulto è più facilmente in grado di notare da solo i sintomi del diabete nel caso del diabete pediatrico è necessario che i genitori siano informati di quali sintomi non vanno sottovalutati, come spiegato da Angela Zanfardino, Dipartimento Pediatria Servizio Diabetologia Pediatrica “G.Stoppoloni”, Napoli: “Noi non possiamo prevenire il diabete di tipo1, quindi la diagnosi precoce non è possibile. Quello che è possibile fare è invece una diagnosi precoce per prevenire la chetoacidosi che è la complicanza più frequente all’esordio di diabete tipo 1. Questa complicanza presenta sintomi molto semplici e banali come il bere tanto ed urinare molto vengono molto spesso sottovalutati dai familiari. Se questi sintomi vengono sottovalutati i medici non possono arrivare ad una diagnosi portando a tantissimi gravi casi che portano anche alla morte del bambino”.

L’educazione dei cittadini nel riconoscere i sintomi del diabete un ruolo fondamentale viene svolto dalle associazioni come spiegato da Riccardo Trentin, Vice Presidente Diabete Forum: “L’associazionismo nel campo del diabete in Italia ha aiutato a raggiungere dei risultati veramente incredibili. L’associazionismo dovrebbe quindi essere considerato come una componente strategica molto importante nell’organizzazione di un sistema sanitario nazionale. Infatti se andiamo ad osservare i sistemi sanitari regionali quelli più performanti sono quelli in cui la persona con diabete viene posta al centro dell’attenzione”.

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