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Danni al cervello più frequenti nei calciatori a causa di colpi di testa e di scontri di gioco

Danni al cervello più frequenti nei calciatori a causa di colpi di testa e di scontri di gioco

di Redazione

Londra. 22 Ottobre 2019 – Secondo uno studio inglese sul cervello di sei calciatori che hanno sviluppato la demenza dopo anni di attività agonistica, i cui risultati sono stati pubblicati dal Guardian, i colpi di testa e scontri di gioco con gli avversari potrebbero causare nei casi estremi danni al cervello dei calciatori, con conseguenti rischi di demenza. Certamente una ricerca su 6 persone rappresenta un campione troppo ristretto per giungere a conclusioni definitive, ma dagli esami autoptici eseguiti dai ricercatori della Queen Square Bank per gli studi neurologici della University College London Institute of Neurology, si è scoperto che tutti e sei erano affetti dal morbo di Alzheimer, e, in quattro casi su sei, è stata riscontrata encefalopatia traumatica cronica, una malattia degenerativa secondo gli studiosi legata ai ripetuti colpi di testa. Entrambe le malattie sono caratterizzate dalla formazione di grumi di particolari proteine nel cervello e il posizionamento di queste proteine può essere stabilito solo dopo la morte. “I risultati della nostra ricerca mostrano un potenziale legame tra i ripetuti impatti della testa con il pallone e lo svilupparsi della encefalopatia traumatica cronica”, ha dichiarato Helen Ling, co-autore della ricerca. Il quotidiano britannico precisa che non c’è totale convergenza sulle conclusioni della ricerca: in molti si sono affrettati a sottolineare che non esistono prove evidenti del fatto che giocare a pallone può aumentare il rischio di sviluppare la demenza. Anche gli autori dello studio hanno precisato, secondo quanto riferisce il quotidiano ‘La Repubblica’, che non è ancora chiaro se i soggetti analizzati avrebbero sviluppato la malattia se non avessero giocato a calcio. Per avere maggiori certezze, spiega Ling, si dovrebbero effettuare studi su calciatori ritiratisi dall’attività agonistica.


Quello dei colpi alla testa subiti dagli sportivi è un filone che negli ultimi anni è stato oggetto di numerosi studi, in particolare nel football americano e nel pugilato. In particolare ha fatto scalpore la ricerca della Boston University che ha rivelato come 90 ex giocatori della Nfl su 94 siano stati trovati positivi alla encefalopatia. La stessa lega di Footbal americano ha riconosciuto l’anno scorso il legame tra il trauma cranico e la malattia, in un caso che è stato raccontato nel film ‘Zone d’ombra’ con Will Smith. Secondo un altro studio, il calciatore inglese Jeff Astle, centravanti icona del West Bromwich (soprannominato ‘The King’), è stato il primo calciatore a morire prematuramente per una malattia professionale: il suo decesso, nel 2002, è stato legato ai troppi colpi di testa che lo avevano reso celebre e che costituivano buona parte dei suoi 174 gol in 361 partite. Gli esperti una dozzina di anni dopo hanno accertato la relazione con i piccoli ma regolari traumi cranici al cervello, poi degenerati in demenza.

Un altro studio, finanziato dalla Fondazione Drake, effettuato da un team di ricercatori britannici e pubblicato sulla rivista Acta Neuropalhologica, ha evidenziato nei sei calciatori la presenza di altri fattori che avrebbero contribuito allo sviluppo della demeneza, come la presenza di uno strappo del setto pellucido, una sottile membrana che si trova al centro del cervello, “una caratteristica moloto comune nei pugili professionisti e legata a ripetuti traumi cerebrali”, ha osservato Ling, ammettendo comunque che lo studio non è in grado di stabilire con quale frequenza e quale forza di impatto i colpi di testa possono essere collegati allo sviluppo della malattia. Peter Jenkins, neurologo e ricercatore dell’Imperial College di Londra, specializzato nei traumi cranici e non coinvolto nello studio, ne ha sottolineato inoltre l’esiguo campione.

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