Il D.M. 70 rappresenta il recente tentativo di riorganizzazione della rete ospedaliera nazionale con l’individuazione di criteri omogenei in tutto il territorio italiano. Il decreto ha suscitato ampie perplessità per la sua rigidità, la concezione centralista che tende a limitare le scelte dei cittadini, la presenza di refusi e imprecisioni.
In realtà il D.M. 70 ricalca la legge Mariotti del 1968, all’epoca indubbiamente innovativa, che già allora prevedeva la stratificazione degli ospedali secondo intensità di cura e bacini territoriali, un coordinamento regionale come concetto di organizzazione in rete, e fra l’altro era stabilito per legge uno stanziamento del 4% delle spese per l’ammodernamento delle attrezzature ospedaliere.
Il D.M. 70 nasce datato, con un atteggiamento non certo orientato a favorire il pluralismo degli erogatori, e con una visione particolarmente penalizzante per le piccole strutture ospedaliere, limitatamente però a quelle di diritto privato. Ancora di più preoccupa che i criteri in esso stabiliti non tengano conto dell’adattamento alle differenti realtà regionali, impongano specialità previste secondo bacini d’utenza rigidi senza un’analisi dei flussi dei pazienti, prevedano un numero di posti letto per acuti troppo basso in rapporto ad altre realtà europee senza la certezza di una reale alternativa di cura territoriale, non assicurino una gradualità del processo di riorganizzazione secondo il modello hub and spoke, non considerino le numerose realtà intermedie frutto anche di investimenti sostanziosi, e
comportino il serio rischio di demotivazione della classe medica dovuta all’eccessiva aggregazione delle unità operative.
Per questi motivi è opportuno interrogarsi approfonditamente sulla reale applicabilità del D.M. 70, sulla opportunità di predisporre, presto, una adeguata “manutenzione” e soprattutto sulla necessità di introdurre forti elementi di elasticità applicativa e ripetuti momenti di revisione.