Contro i super batteri servono programmi per una corretta gestione delle terapie antibiotiche e il controllo ambientale per la presenza di germi multiresistenti

Roma, 13 giugno 2022 – Rispetto a Covid-19, l’antimicrobico resistenza (AMR) è una pandemia continua, silente ma annunciata ormai da anni e che richiede, per essere affrontata, impegno comune e azioni concrete non più rimandabili. Quando si affronta il problema dell’AMR la prevenzione è senz’altro un aspetto chiave di questo fenomeno, ma solo il 30%-50% delle infezioni è prevenibile attraverso buone pratiche. Se a questo livello la strada per una buona efficienza del sistema è ancora lunga, ancor più lunga è però quella della ricerca di nuove terapie che riescano ad arginare e limitare questo fenomeno. Oggi i pazienti che muoiono per AMR hanno un problema simile a quello dei pazienti colpiti dal virus Sars-Cov-2 che muoiono: non hanno trattamenti efficaci.
Motore Sanità ha voluto aprire un dialogo tra tecnici e dirigenti ospedalieri su questo aspetto cruciale con l’evento “NUOVI MODELLI DI GOVERNANCE OSPEDALIERA PER GLI ANTIBIOTICI INNOVATIVI: DA UN ACCESSO RAZIONATO A UN ACCESSO RAZIONALE E APPROPRIATO con focus LAZIO, organizzato con il contributo non condizionante di MENARINI. L’obiettivo è la ricerca di un corretto e condiviso place in therapy che rappresenti un uso ragionato e razionale piuttosto che solamente razionato.

L’antibiotico resistenza è un problema globale che interessa tutti i Paesi del mondo. Alcuni report dichiarano che nel 2050 ci saranno fino a 10milioni di morti all’anno per infezioni da germi resistenti. L’Italia è tra i Paesi in senso negativo a livello di antibiotico-resistenza: la superano in Europa solo la Romania e la Grecia. I numeri sono impressionanti: un report pubblicato nel 2019 redatto dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) riportava che circa la metà dei morti europei per infezioni ospedaliere da batteri resistenti agli antibiotici avviene in Italia. Il risultato finale è che chi entra in ospedale rischia, nel 10% dei casi, di contrarre una infezione ospedaliera. Inoltre, si calcola che 1 paziente su 10 quindi, in ospedale, possa infettarsi e molto frequentemente tale germe è resistente agli antibiotici. Lo scenario è allarmante e fa comprendere quanto sia importante non distogliere l’attenzione sull’antimicrobico resistenza (AMR).

“La resistenza antimicrobica (AMR) è un fenomeno naturale, ma le principali cause del suo sviluppo sono imputabili ad un uso inappropriato di antibiotici su uomini, piante ed animali – ha dichiarato Giuseppe Quintavalle, Direttore Generale Policlinico Tor Vergata -. È facile dunque capire come la AMR ad oggi rappresenti una minaccia a livello globale di vasta portata contribuendo a quasi 5 milioni di morti ogni anno, dato che nei prossimi decenni è destinato ad aumentare esponenzialmente, portando ad una futura pandemia. Tale emergenza comporta sia una sfida per la ricerca e le aziende farmaceutiche, impegnate nello sviluppo di nuove molecole, sia per tutti gli altri attori coinvolti nella Sanità, chiamati ad elaborare nuovi modelli di governance. Per ottimizzare tali azioni correttive è necessario un approccio multidisciplinare, che coinvolge tutte le figure che operano in ambienti ospedalieri, e si traduce nell’ormai nota Antimicrobial Stewardship. Quest’ultima prevede un insieme di interventi che devono necessariamente rispondere all’epidemiologia dell’ospedale che li adotta. Non sarà sufficiente l’introduzione di farmaci innovativi se non verranno assunti comportamenti idonei: col supporto della microbiologia rapida è possibile ridurre la durata delle terapie, empiriche e non, e permettere la somministrazione degli antibiotici secondo una medicina di precisione. Tali strategie mirano ad un uso appropriato del farmaco, che non è sinonimo di uso razionato bensì di una razionale razionalizzazione: il farmaco giusto, alla persona giusta, al momento giusto”.

La crescente diffusione di ceppi batterici multi-resistenti (MDR) in ambito ospedaliero rappresenta quindi una delle maggiori sfide che il clinico si trova a dover affrontare
“Un trattamento antibiotico inappropriato iniziale che non provveda a fornire un’adeguata attività verso patogeni multi-resistenti è spesso responsabile dell’aumentata mortalità. Per contro un eccessivo uso degli antibiotici, spesso utilizzati per contrastare delle semplici colonizzazioni batteriche che come tali non necessitano di alcun trattamento, facilita l’emergenza di antibiotico-resistenza – ha spiegato Massimo Andreoni, Direttore Dipartimento Clinico di Malattie Infettive Policlinico Tor Vergata -. Tra i microrganismi che potenzialmente possono presentare maggiori problemi per il trattamento delle infezioni da essi provocati, devono essere annoverati, a titolo esemplificativo, i cocchi Gram-positivi come lo Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA) e i bacilli Gram-negativi tra cui gli enterobatteri produttori di carbapenemasi. Si comprende come un elemento chiave nella lotta alle infezioni correlate alle pratiche assistenziali è la appropriatezza prescrittiva delle terapie antibiotiche al fine di ridurre la pressione selettiva che favorisce l’emergenza di ceppi resistenti. In questo scenario, programmi per una corretta gestione delle terapie antibiotiche – antimicrobial stewardship – e il controllo ambientale per la presenza di germi multiresistenti – infection control – rappresentano uno strumento imprescindibile”

PNRR e HIV: il piano della Campania e della Puglia per migliorare le cure e la qualità di vita dei pazienti

13 giugno 2022 – La recente esperienza della pandemia ha convinto tutti che una riforma del sistema di cure territoriali non sia più procrastinabile e che questa debba essere fatta con i giusti investimenti, ma in tempi brevi.  Molte sono le risorse dedicate nel PNRR a questo scopo, a cui le regioni potranno attingere. Ad oggi, però, il quadro dei diversi territori regionali presenta realtà assistenziali completamente diverse, con servizi per nulla omogenei, che non sono in grado di garantire universalità di cure ai cittadini.
Inoltre nell’affrontare i problemi della sanità territoriale, nonostante le revisioni legislative, i tavoli di trattativa, i più o meno ampi coinvolgimenti degli stakeholder interessati, ha prevalso spesso uno spirito corporativo basato sulla difesa di specifici interessi e segnato dalla mancanza di trasversalità degli intenti. 
La domiciliarità era ed è la scelta auspicata dalle persone, quella più desiderata e anche la più sostenibile per il Sistema. Le diverse esperienze di gestione della pandemia ci hanno dimostrato che è anche la più corretta in termini di sicurezza e benessere dei cittadini. Ma per governare questi cambiamenti in tempi rapidi e in maniera efficiente è necessario che tutti gli attori si mettano in gioco andando incontro insieme alle esigenze di un mondo profondamente cambiato, dove orizzonti e saperi devono combinarsi. Tutte le componenti che a livello territoriale agiscono (MMG, PLS, infermieri, farmacisti, assistenti sociali, ginecologi, ostetriche, psichiatri, neuropsichiatri infantili, medici delle dipendenze e psicologi, fisiatri e terapisti della riabilitazione, educatori professionali e tutti gli altri professionisti e operatori sanitari) devono raggiungere una vera integrazione
E in tutto questo percorso, un passaggio fondamentale sarà non solo la presenza al tavolo decisionale delle associazioni di pazienti, ma anche dell’industria che produce tecnologia e innovazione (farmaci e device), due componenti spesso messe a margine delle decisioni strategiche che impattano sull’intero sistema. Per tutti questi motivi Motore Sanità ha realizzato l’incontro UN NUOVO RUOLO DEL TERRITORIO NELLA GESTIONE DELLA SANITÀ. PNRR E HIV: IL RETURN TO CARE – CAMPANIA E PUGLIA, con il contributo non condizionante di MSDGilead e IT-MeD, al fine di raccogliere idee realizzabili subito: dalla diagnostica, alla presa in carico, dal follow-up, alla condivisione dati, al supporto tecnologico.

Così Angelo D’Argenzio, Direttore UOD Prevenzione e Igiene Sanitaria – prevenzione e tutela della salute e della sicurezza negli ambienti di vita e lavoro – O.E.R., Regione Campania: L’obiettivo generale della Delibera di Giunta Regionale Campania n. 1 del 2022 (Percorso attuativo dell’assistenza domiciliare per pazienti affetti da Hiv/Aids) è di migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da Hiv/Aids in una fase post acuta, attraverso l’attuazione di una forma di assistenza sanitaria, psicologica e sociale erogata al domicilio del paziente in modo continuo e integrato, con la possibilità di fornire cure appropriate da parte del medico di famiglia, dallo specialista infettivologo e di altri operatori (medici specialisti, psicologi, infermieri, assistenti sociali, fisioterapisti),  dei servizi ospedalieri, territoriali e delle associazioni di volontariato secondo le necessità rilevate. Tale forma di assistenza, oltre che erogare le cure sanitarie, si concretizza nel fornire un supporto formativo, fornire adeguata educazione sanitaria al soggetto e alla sua famiglia, favorire il mantenimento delle relazioni umane e facilitare l’aderenza alle terapie antiretrovirali”.

“Sicuramente il Covid ha bloccato gran parte delle nostre attività, ma tutto quello che avevamo costruito come gli ambulatori specialistici HIV ha permesso di raggiungere risultati importantissimi, ha spiegato Giovanni Battista Buccoliero, Direttore UOC malattie infettive e tropicali PO San G. Moscati Taranto. Dobbiamo recuperare quel rapporto di fiducia tra medico-paziente, che si è creato nel corso del tempo. In questo momento un coordinamento clinico regionale, una rete di malattie infettive legata alle tematiche dell’HIV potrebbe essere molto utile per uniformare i comportanti anche in termini di terapia”

Terapie antitumorali: negli studi clinici le donne sono sottorappresentate

Female Doctor Consulting Patient

Rossana Berardi, Presidente di Women for Oncology Italy: “Non c’è una preclusione di genere, perché i protocolli di accesso agli studi sono uguali per uomini e donne, ma le condizioni di base e la posizione della donna nella famiglia possono influenzare la scelta”.

13 giugno 2022 – Le donne sono state spesso sottorappresentate negli studi clinici che hanno portato all’approvazione da parte dell’Fda, l’ente statunitense per i farmaci, delle terapie antitumorali contemporanee: in media, sono sottorappresentate del 16,5% rispetto all’incidenza proporzionale di cancro registrata. Ad accendere i riflettori sulla scarsa presenza del sesso femminile in questo ambito di ricerca è un recente studio presentato al Congresso mondiale dell’American Society of clinical oncology (Asco), condotto dalla Ohio State University James Cancer CenterI farmaci antitumorali contemporanei, sottolineano gli autori dello studio, hanno spesso efficacia ed effetti collaterali diversi negli uomini e nelle donne. Tuttavia, le donne non sono ben rappresentate negli studi cardine a sostegno dei nuovi farmaci antitumorali. Per giungere a tale conclusione, gli autori hanno valutato retrospettivamente tutti gli studi di fase II e III a sostegno dell’approvazione della Fda di farmaci antitumorali dal 1998 al 2018. In totale, i partecipanti agli studi erano 97.566, arruolati in 189 studi clinici per valutare 123 terapie antitumorali. Il sesso è stato riportato in 182 (96,3%) studi clinici: il 43,4% (42.299) dei partecipanti erano donne, rispetto al 55,6% (55.267) di uomini. Complessivamente, concludono gli autori, le donne erano sottorappresentate negli studi clinici sulle terapie antitumorali in media del 16,5% rispetto all’incidenza proporzionale di tutti i tumori nel sesso femminile. Le donne erano le più sottorappresentate negli studi sul cancro gastrico e del fegato. L’analisi dell’efficacia dei farmaci basata sul sesso è stata pubblicata solo nel 36,8% degli studi. Nel tempo, commentano i ricercatori, “la tendenza della percentuale di donne reclutate negli studi clinici è aumentata, ma non a un tasso paragonabile alla prevalenza dei tumori, e si sta ampliando il divario. Sono necessari ulteriori studi per comprendere l’impatto della sottorappresentazione delle donne sugli esiti dei farmaci antitumorali contemporanei”.
Quanto all’Italia, “Pur non essendoci dati conclusivi in ambito oncologico, il tasso di arruolamento negli studi clinici risulta globalmente inferiore delle donne rispetto agli uomini”, spiega Rossana Berardi, Presidente di Women for Oncology Italy. “Le motivazioni sono molteplici e, tra le altre, esistono delle difficoltà oggettive all’accesso agli studi legate, ad esempio, al fatto che in varie situazioni è necessario spostarsi in centri ad hoc, magari lontani dalla propria casa, o intraprendere un percorso che implica una moltiplicazione di procedure e visite. Questi elementi potrebbero contribuire a spiegare come mai le donne, quasi sempre il perno della famiglia o caregiver al suo interno, hanno più difficoltà ad accedere in generale agli studi sperimentali. Non c’è insomma una preclusione di genere, perché i protocolli di accesso agli studi sono uguali per uomini e donne, ma le condizioni di base e la posizione della donna nella famiglia possono influenzare la scelta. Le difficoltà si riproducono anche, più in generale, per le donne arruolate negli studi clinici che impiegano farmaci non oncologici: in questi casi la partecipazione delle donne agli studi clinici è limitata in buona parte anche per l’esclusione delle donne incinte e in età fertile. Oggi più che mai dobbiamo imparare a gestire in maniera personalizzata non solo la malattia tumorale, ma anche la persona, tenendo conto delle differenze legate al genere, favorendo la possibilità di accedere anche alle donne a protocolli sperimentali. Tutto ciò passa indubbiamente attraverso una maggiore conoscenza della medicina di genere e in questo senso stiamo lavorando in ambito interministeriale (con Ministero Salute e Ministero Università) per licenziare quanto prima un Piano Formativo Nazionale per la Medicina di Genere, affinché gli operatori sanitari possano essere formati su questa rilevante tematica”