L’appello: «Per una oncologia territoriale che risponda ai bisogni dei malati di cancro. Più di 3milioni e 600mila pazienti oggi non possono più aspettare»

ONCOLOGIA e ONCOEMATOLOGIA

L’appello: «Per una oncologia territoriale che risponda ai bisogni dei malati di cancro. Più di 3milioni e 600mila pazienti oggi non possono più aspettare»

 

23 Marzo 2021 – Il tema dell’oncologia territoriale è cresciuto molto negli ultimi mesi ed è all’ordine del giorno quando si parla del futuro dell’organizzazione dell’oncologia italiana.

Oggi in Italia ci sono oltre 3.600.000 casi prevalenti oncologici e si tratta di pazienti in trattamento attivo o che da poco l’hanno finito, di persone guarite o in follow up. Un mondo così ampio che manifesta bisogni molto articolati che vanno da bisogni di alta specializzazione (Molecular Tumor Board) a bisogni di bassa intensità assistenziale e addirittura bisogni più sociali che sanitari, che chiedono una risposta puntuale dal territorio.

La stessa pandemia ha mostrato questa necessità che oggi è sempre più impellente: alcune cure possono essere fornite dal territorio, rappresentando un punto riferimento strategico per il paziente oncologico, come lo è attualmente l’ospedale. In questa ottica diventa centrale ridisegnare la presa in carico del paziente oncologico a partire da una più forte integrazione tra strutture ospedaliere e strutture territoriali. Per fare il punto sul tema, Motore Sanità ha creato ‘ONCOnnection, serie di webinar incentrati sul mondo dell’oncologia, che hanno preso il via con L’ONCOLOGIA TERRITORIALE TRA NUOVE TECNOLOGIE E NUOVI SCENARI ASSISTENZIALI, realizzato grazie al contributo incondizionato di Pfizer, Amgen, Boston Scientific, Nestlé Health Science, Takeda, Kite a Gilead Company e Kyowa Kirin

 In Regione Toscana la delibera che avvia la sperimentazione dell’oncologia territoriale è una prima risposta. Partiranno 3 studi di fattibilità, che verranno fatti su tre Studi Associati di Medicina Generale (AFT) – ha spiegato Gianni Amunni, Associazione Periplo, Responsabile Rete Oncologica Toscana e Direttore Generale ISPRO, Regione Toscana –. La rete oncologica regionale assumerà un oncologo e un infermiere da collocare in ciascuna AFT e in maniera metodologicamente molto precisa si farà un vero e proprio studio di fattibilità cercando di monitorare, anche con il supporto del Mes del Sant’Anna di Pisa, cosa è giusto delocalizzare, che tipo di vantaggi produrrà tale delocalizzazione, per dare alla fine della sperimentazione, che durerà un anno, le indicazioni precise in termini di modificazioni organizzative, di gradimento da parte del paziente e di costi. Ormai c’è bisogno di individuare sul territorio anche dei punti di riferimento per il paziente oncologico. Sia come Rete oncologica della toscana sia come Periplo, con il progetto Smart Care, sentiamo la necessità di condividere queste proposte: bisogna incominciare a prevedere competenze specialistiche oncologiche territoriali che lavorano in stretta collaborazione con il MMG e l’oncologo ospedaliero; bisogna incominciare a utilizzare una serie di opportunità territoriali in termini di setting assistenziali fino ad oggi inibiti al paziente, come il tema delle articolazioni del Chronic care model, i letti di cura intermedie, che in Toscana sono stati aperti al paziente oncologico, e il tema del domicilio assistito. Se ragioniamo in questa maniera è evidente che dobbiamo incominciare a pensare di riscrivere i nostri PDTA con una opportunità di setting assistenziali maggiori rispetto a quelle attuali”.

 Un’operazione di questo genere ha necessità di creare una infrastruttura telematica ad hoc. Vale a dire, insieme ad una cartella unica di percorso che consenta azioni reali di integrazione, di monitoraggio e di nuove forme di multidisciplinarietà, che vanno dalle attività di psiconcologia, al tema della riabilitazione oncologica, al tema del supporto nutrizionale del paziente oncologico” ha sottolineato il Professor Amunni. “Non pensiamo a costruire una oncologia territoriale e una oncologia ospedaliera, ma pensiamo a riformare l’oncologia nel suo insieme in maniera tale che si possa distendere meglio tra strutture ospedaliere e strutture territoriali. Periplo ha affrontato fortemente questo tema, l’ha fatto con una progettualità a livello nazionale con il progetto Smart Care che tende a diffondere a livello nazionale esperienze in questo senso”.

 Esperienze di oncologia territoriale sono presenti da molto tempo per esempio presso l’azienda provinciale di Palermo che vede la forte collaborazione degli oncologi territoriali che si sono messi a disposizione per questa nuova sfida. Questa azienda ha oncologi territoriali strutturati da anni, dal 1992, e grazie a questa realtà ci potrebbe essere un grande vantaggio anche per altre Asl provinciali della nostra regione – ha spiegato Livio Blasi, Presidente CIPOMO -. Ricordo che all’ospedale Garibaldi di Catania è partito anche un progetto di territorialità oncologica. Questo dimostra che l’esigenza dell’oncologia territoriale è forte, il Covid ha accelerato processi che vanno presi in considerazione e devono essere portati avanti da nord a sud per dare equità di accoglienza ed equità terapeutica. In tutto questo l’innovazione tecnologica ci può dare un grande aiuto per realizzare il processo di integrazione tra ospedale e territorio in campo oncologico: possiamo pensare ad una unica piattaforma e che sia condivisa. Presso l’Ordine dei Medici di Palermo si sta già lavorando su questo tema e si spera di arrivare a un punto in cui si possa interagire in modo fluido attraverso la piattaforma della medicina generale. Questo dimostra la necessità di lavorare insieme per garantire una buona governance anche in questo campo, Il progetto di integrazione deve essere fatto attorno ad un tavolo, tutti insieme”.

 Una oncologia territoriale può mostrare però delle complessità, secondo Saverio Cinieri, Director Medical Oncology Division & Breast Unit ASL Brindisi e Presidente Eletto AIOM. Vedo sul territorio follow up, diagnostica, approcci, gestione degli effetti collaterali delle terapie, non la possibilità di dare approcci terapeutici innovativi in ambiente territoriali anche per la complicanza burocratica che esiste. Ci sono molte esperienze in corso e vedremo quali saranno i risultati, al momento però vedo complicato gestire terapie complesse sul territorio ma stiamo imparando anche dagli insegnamenti che ci sta dando la pandemia. Sono convinto, infine, che alcune problematiche che interessano l’oncologia nazionale, dalla comunicazione oncologica con il paziente, all’organizzazione in senso stretto, potranno essere affrontate se uniformiamo il sistema sanitario nazionale”.  

 

Scarsa o mancata aderenza terapeutica: “Quali conseguenze cliniche e economiche per il SSN? La situazione della Regione Veneto e Friuli Venezia Giulia”

Aderenza e appropriatezza terapeutica

Scarsa o mancata aderenza terapeutica: “Quali conseguenze cliniche e economiche per il SSN? La situazione della Regione Veneto e Friuli Venezia Giulia”

19 marzo 2021 – 7 milioni di persone in Italia sono colpite da malattie croniche, si stima però che solo la metà assuma i farmaci in modo corretto e fra gli anziani le percentuali superano il 70%. Le cause di mancata o scarsa aderenza ai trattamenti sono molteplici: complessità del trattamento, inconsapevolezza della malattia, follow-up inadeguato, timore di reazioni avverse, decadimento cognitivo e depressione. Tutti aspetti acuiti dall’avanzare dell’età e dalla concomitanza di altre patologie. Per fare il punto in Veneto e Friuli Venezia Giulia, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘IL VALORE DELL’ADERENZA PER I SISTEMI SANITARI REGIONALI, DAL BISOGNO ALL’AZIONE’. Primo di 5 appuntamenti regionali, il road show, realizzato grazie al contributo incondizionato del Gruppo Servier in Italia, Sanofi, Iqvia e Intercept, coinvolgerà sul tema dell’aderenza alle cure i principali interlocutori a livello locale: clinici, istituzioni, cittadini e pazienti. La popolazione del Veneto conta oltre 4milioni e 900mila persone e quasi il 23% della popolazione è over-65 (Dati ISTAT 2018). Dal “Rapporto epidemiologico sulle malattie croniche in Veneto del 2018” emerge che il 17,5% della popolazione è affetto da una sola malattia cronica, il 16,5% da almeno due patologie croniche, il 2,5% da 5 o più condizioni croniche. Il Report epidemiologico della Regione Friuli Venezia Giulia del 2018 riporta che la popolazione regionale conta circa 1milione e 200mila unità. Dal 2012 al 2016 si è passati da 38 a 41 persone anziane ogni 100 individui (7 in più rispetto al livello nazionale). In valori assoluti nel 2017 la popolazione anziana con cronicità è pari a 272.151 soggetti. La distribuzione delle patologie croniche negli anni 2013 e 2017 conferma che le malattie cardiovascolari rimangono la prima causa di morbilità e mortalità.

“Capire come il paziente segua effettivamente e per tutta la durata prevista cure e profilassi non è un tema banale, anzi è sempre più centrale e strategico. Sappiamo che la sanità del futuro sarà sempre più basata sulla medicina territoriale sviluppata attraverso l’erogazione di servizi di assistenza di base per la cura e il monitoraggio di pazienti domiciliati permettendo così, grazie alla telemedicina e all’ospedale a distanza, di trasformare sempre più la casa in luogo di cura con evidenti risparmi economico-sociali ed alta efficacia nelle terapie, profilassi e guarigioni. Ma questo meccanismo, che si basa sull’innovazione tecnologica che vedrà una improvvisa accelerazione con l’introduzione del 5G, avrà senso solo se effettivamente ci sarà l’aderenza terapeutica da parte del paziente, una aderenza che prevede una nuova cultura della salute da parte dei cittadini. Se non c’è questa aderenza i vantaggi della telemedicina rischiano di tramutarsi in svantaggi, con le equipe mediche di alta professionalità costrette a perdere tempo nel monitorare l’effettiva assunzione di farmaci o l’effettivo mutamento di stili di vita in seguito alle raccomandazioni e consigli dati ai pazienti”, ha specificato Roberto Ciambetti, Presidente Consiglio Regionale, Regione del Veneto

Domenico Scibetta, Presidente Federsanità ANCI Veneto, “l’aderenza terapeutica è un problema di carattere globale e numerose sono le indicazioni a livello mondiale ed europeo che la Regione Veneto ha recepito e tradotto in iniziative: il progetto della farmacia dei servizi, partito nel 2017, si sta implementando con corsi di formazione e arruolamento dei pazienti affinché il farmacista possa avere un ruolo fondamentale. È indispensabile implementare l’aderenza alle terapie in 3 ambiti clinici: ipertensione, diabete e BPCO. Faccio alcuni esempi: se in Italia il livello di aderenza antiipertensivo passasse dall’attuale 40% all’auspicato 70% si determinerebbe un risparmio di quasi 100milioni di euro. In Europa, in un anno la stima del numero di decessi causati dalla scarsa aderenza alle terapie è di 195mila persone. In pazienti in terapia antiipertensiva c’è una riduzione degli eventi cerebrovascolari del 22% rispetto ai non aderenti. Essendo la scarsa aderenza alla terapia un problema multifattoriale, con cause correlate al medico, al paziente e a regimi farmacologici complessi (poli terapie) è chiaro che le strategie devono essere approcci differenziati a più livelli. I medici devono creare un’alleanza fiduciaria col paziente coinvolgendolo nella pianificazione e gestione del trattamento, il paziente deve obbligatoriamente seguire le informazioni del medico informandolo su eventuali effetti collaterali o riduzioni di assunzioni e le Aziende farmaceutiche hanno il ruolo importantissimo di semplificare la terapia, immettendo nel mercato le cosiddette polipillole che con più principi attivi possono facilitare il compito al paziente”.

“Tra i Livelli Essenziali di Assistenza, comprendenti le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, si individuano le attività di prevenzione rivolte alla collettività e ai singoli e quelle di assistenza farmaceutica. Un indicatore rilevante per tali aspetti è rappresentato dal livello di aderenza terapeutica. Numerosi studi hanno infatti dimostrato che bassi livelli di aderenza terapeutica sono più frequentemente riscontrati proprio tra pazienti con patologie croniche, e questi si associano non solo ad un peggior controllo di malattia, ma anche ad altri esiti negativi, come disabilità, necessità di ricoveri, e mortalità. Al fine di identificare gli indicatori di aderenza alle terapie prescritte per patologie croniche proposti in Italia, abbiamo condotto una revisione sistematica della letteratura scientifica e dei documenti prodotti da varie organizzazioni mediche, civili ed enti Regionali. Da questa revisione è emerso che nell’ultima decade il livello di aderenza terapeutica nella popolazione italiana è stato stimato principalmente mediante l’uso di dati amministrativi e focalizzando maggiormente sui trattamenti per le patologie cardiovascolari. Le stime di aderenza terapeutica per diverse classi farmacologiche sono, nel complesso, risultate variabili ed eterogenee. Questo suggerisce come sia necessario definire un approccio condiviso e specifico per setting di cura e trattamento che possa fornire dati solidi e confrontabili”, ha spiegato Caterina Trevisan, Clinica Geriatrica, Dipartimento di Medicina, Università̀di Padova – Consulente Scientifico Italia Longeva

“C.R.E.A. Sanità, nell’ambito di una ricerca coordinata da Italia Longeva, ha condotto una revisione della letteratura scientifica e grigia (Google Scholar), con lo scopo di effettuare un’analisi sui costi associati alla non aderenza e sull’efficacia delle azioni tese a ridurla, per stimare i potenziali risparmi del SSN. Dai risultati si evince come sebbene una maggiore aderenza produca un aumento dei costi farmaceutici, la riduzione dei costi relativi a visite mediche e ricoveri ospedalieri comporti una più che proporzionale diminuzione dei costi diretti sanitari. Se si applicassero i risparmi desunti dalla letteratura ai dati di non aderenza italiani (Fonte: Rapporto OSMED 2013), in caso di raggiungimento di livelli almeno pari all’80%, si otterrebbe un potenziale risparmio totale annuo pari a 898 milioni € per l’ipertensione e 522 milioni di € per la dislipidemia. Sulla base di questo, si propone l’inserimento nel Nuovo Sistema di Garanzia (ex Griglia LEA) di un indicatore sintetico di aderenza, costruito sulla base delle risultanze dell’analisi OSMED”, ha dichiarato Federico Spandonaro, Ricercatore Facoltà di Economia Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Presidente CREA SanitàIn sintesi, l’aderenza ai percorsi diagnostici e terapeutici rappresenta un fattore chiave di successo per la governance del Sistema Sanitario Regionale, per l’efficienza delle cure e la sostenibilità economica. In tale ottica è necessario un impegno di sistema per monitorare e correggere i comportamenti che impattano sulla scarsa aderenza e l’implementazione delle tecnologie che facilitano i pazienti a seguire il percorso di cura. La proposta dell’inserimento di un indicatore sintetico di aderenza nel nuovo sistema di garanzia può rappresentare una opportunità di valore e di indirizzo per tutti gli attori chiave.

Aderenza e appropriatezza terapeutica ai tempi del COVID 19: ‘Quali migliori strategie terapeutiche usare? Parola agli esperti’

Velocizzare il piano vaccinale

Aderenza e appropriatezza terapeutica ai tempi del COVID 19:  ‘Quali migliori strategie terapeutiche usare? Parola agli esperti’

 

17 marzo 2021 – Facilitare la diffusione di buone pratiche organizzative finalizzate a favorire l’aderenza terapeutica. Attraverso un confronto tra i professionisti che si dedicano alla cura delle patologie più diffuse ad esempio medici specialisti, farmacisti, medici di medicina generale, economisti sanitari. Con lo scopo di stimolare un confronto sull’utilizzo delle strategie terapeutiche disponibili, sull’impatto che la pandemia in corso potrebbe lasciare sul sistema, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘FOCUS NORD OVEST. ADERENZA E APPROPRIATEZZA TERAPEUTICA’, realizzato grazie al contributo non condizionato di Daiichi-Sankyo.

“L’aderenza terapeutica è innanzitutto una sfida! Perché? perché è estremamente difficile ottenerla e solo una stretta alleanza tra medici e pazienti potrò riuscire nell’intento. È stato oramai ampiamente dimostrato che lo scarso successo nel raggiungimento dei target terapeutici nelle principali patologie (ipertensione scompenso dislipidemie diabete) in buona parte è proprio dovuto ad una insufficiente aderenza terapeutica: dimenticanza di assumere farmaco, non ritenere così importante la patologia che uno ha, il continuo cambiamento di strategie terapeutiche ne sono la principale causa. Indubbiamente l’avvento di terapie di associazione prefissate dove in un’unica pastiglia possono essere contenuti più composti della medesima area terapeutica o di diverse ha in alcuni campi migliorato l’aderenza stessa. Ad esempio, per l’ipertensione arteriosa si è passati negli ultimi 10 anni da un’aderenza del 40% ca a più del 60%, ecco questa è una strada pratica da continuare a seguire però con un’avvertenza: non possiamo prescindere da un sempre più maggiore coinvolgimento dei pazienti. Solo uniti si può vincere”, ha spiegato Stefano Carugo, Direttore e Professore Cardiologia Policlinico, Milano

“Il tema della continuità delle cure, in particolare per quanto riguarda le malattie long-term, non può prescindere da una corretta aderenza ed appropriatezza terapeutica, non solo relativa ai farmaci ma anche alla diagnostica. Spesso i professionisti, a qualsiasi livello del contesto sanitario, che sia esso Ospedaliero o Territoriale, danno per scontato che il paziente assuma correttamente le terapie a lui prescritte, ma sovente si osserva, tramite verifiche o – ancora peggio – per recidive della patologia (forse anche indotte da un’informazione sempre meno orientata al singolo cittadino ma tendente ad un processo di globalizzazione), che alcuni pazienti si scompensano e ricorrono frequentemente alle cure dei sanitari. A tal proposito ritengo che sia necessario avviare con i pazienti delle attività di informazione e counselling relativamente alla patologia di cui sono portatori e che sia necessario condividere con loro anche un cambiamento degli stili di vita. Un percorso virtuoso potrebbe essere, a mio avviso, quello di inserire i pazienti in percorsi specifici di sanità di iniziativa e follow-up che prevedono controlli periodici, counselling e incontri relativi a stili di vita, educazione terapeutica e, soprattutto, alla gestione delle terapie. Queste poche ma fondamentali misure dovranno essere adeguate alle necessità cliniche e culturali dei pazienti, affinché si perfezioni sempre di più il concetto di appropriatezza, non solo in termini economici”, ha dichiarato Lorenzo Angelone, Direttore Sanitario AOU Città della salute e della Scienza, Torino

A causa del Covid sempre più pazienti cronici non seguono le terapie

Farmaci equivalenti

Su 7 milioni di malati solo la metà assume i farmaci in modo corretto e fra gli anziani le percentuali superano il 70% L’appello dal territorio e gli ospedali: «Fare più rete tra specialisti, medici di medicina generale, infermieri, farmacisti e associazioni dei pazienti, sfruttare appieno la telemedicina ed educare sul tema i pazienti e i caregiver».

19 Marzo 2021 – A causa della pandemia si è registrata una ulteriore diminuzione dell’aderenza terapeutica da parte del paziente, un dato allarmante perché maggior aderenza significa minor rischio di ospedalizzazione, minori complicanze associate alla malattia, maggiore sicurezza ed efficacia dei trattamenti e riduzione dei costi per le terapie. Un dato su tutti: per l’infarto cardiaco rispettare le indicazioni di assunzione dei farmaci prescritti riduce del 75% la probabilità di recidive. L’aderenza alle terapie è pertanto fondamentale per la sostenibilità del sistema sanitario nazionale.

Dalle analisi contenute nel Rapporto OsMed, poco più della metà dei pazienti (55,1%) affetti da ipertensione arteriosa assume il trattamento antipertensivo con continuità. Da studi osservazionali è emerso che è di oltre il 70% nei primi 6 mesi. Anche nel caso di altre patologie l’aderenza terapeutica si dimostra bassa in maniera allarmante: si parla, infatti, di appena il 52- 55% per pazienti in trattamento per osteoporosi, il 60% per artrite reumatoide, 40-45% nel caso della terapia per diabete di tipo II, 36-40% per insufficienza cardiaca e solo il 13-18% per asma e BPCO.

Su 7 milioni di persone in Italia colpite da malattie croniche, si stima che solo la metà assume i farmaci in modo corretto e che fra gli anziani le percentuali superano il 70% (dati OMS). Un quadro che fa comprendere la portata dello spreco che si genera per i notevoli costi clinici e sociali. È perciò forte l’appello del territorio e degli ospedali: fare più rete tra specialisti, medici di medicina generale, infermieri e farmacisti, sfruttare le tecnologie oggi disponibili, dalla telemedicina al teleconsulto, educare sul tema pazienti e caregiver, coinvolgere di più le associazioni dei pazienti. Un tema diventato ormai urgente, considerando le future prospettive demografiche ed epidemiologiche che avrà conseguenze sull’assistenza sanitaria e la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. Per fare il punto in Veneto e Friuli Venezia Giulia, Motore Sanità ha organizzato il Webinar ‘IL VALORE DELL’ADERENZA PER I SISTEMI SANITARI REGIONALI, DAL BISOGNO ALL’AZIONE’, realizzato con il contributo incondizionato del Gruppo Servier in Italia, Sanofi, Iqvia e Intercept.

Le cause della mancata o della scarsa aderenza ai trattamenti sono di varia natura e comprendono, tra gli esempi più comuni, la complessità del trattamento, l’inconsapevolezza della malattia, il follow-up inadeguato, timore di potenziali reazioni avverse, il decadimento cognitivo e la depressione, la scarsa informazione in merito alla rilevanza delle terapie, il tempo mancante all’operatore sanitario spesso oberato da pratiche burocratiche che sottraggono spazio fondamentale al confronto con il paziente. Tutti aspetti che si complicano in base all’età ed alla concomitanza di poli-patologie.

“A causa del Covid si è registrata una diminuzione dell’aderenza terapeutica da parte del paziente e ad impattare sull’aderenza è anche il rischio delle infezioni – ha spiegato Livio Trentin, Direttore Ematologia AOU Padova -. Aderenza e persistenza sono fondamentali nelle malattie oncologiche in generale. Partiremo con uno studio pilota che coinvolgerà fino a 400 pazienti per tracciare tutto il percorso del paziente dall’ospedale a casa considerando tutte le fasi del processo e gli aspetti della gestione sul territorio. L’obiettivo è quello che medici e infermieri riescano a seguire il paziente o a prenderlo in cura anche quando è fuori dalla struttura, per riuscire ad ottenere la maggiore efficienza terapeutica e la migliore efficacia, per ottenere un maggior controllo dei sintomi e dei disturbi correlati. Abbiamo fasce di età diversa e le difficoltà sono correlate proprio alle condizioni cliniche e di età del paziente”.

“Il problema dell’aderenza terapeutica è nota da 30 anni e ancora oggi non riusciamo ad ottenere importanti risultati. Uno dei problemi è la polifarmacoterapia che non viene sopportata dai pazienti quando raggiungono un livello di farmaci da assumere che è eccessivo, un problema che nasce dalla sommatoria delle terapie prescritte da ogni singolo specialista. Si tratta di un nodo sul quale intervenire – ha spiegato Giuseppe Tonutti, Direttore Generale Azienda Regionale di Coordinamento per la Salute (ARCS) -. Bisogna agire su più fronti: spendere del tempo sulla comunicazione al paziente perché insegnargli a fare la terapia fa aumentare l’aderenza e poi riduce i ricoveri e i costi; è necessario sgravare i medici di medicina generale dalla burocrazia e impegnarli maggiormente nella cronicità; le farmacie devono essere ingaggiate per una attività di monitoraggio e di educazione sanitaria affiancata a quella del medico curante. Infine sono importantissime le associazioni di pazienti in quanto rappresentano un valore aggiunto per l’intera organizzazione”.

“È importante che ci sia una comunicazione precisa tra medico e paziente in cui quest’ultimo esprima le sue difficoltà, i suoi bisogni e dubbi e il medico ascolti e comunichi. La comunicazione serve per convincere il paziente che le terapie sono essenziali per la sua salute, cosa che non è sempre semplice soprattutto quando si tratta di farmaci in prevenzione – ha spiegato Bruno Franco Novelletto, Presidente SVEMG Scuola Veneta di Medicina Generale e Vicepresidente SIMG Veneto -. Anche l’uso dei device richiede una educazione e formazione. È inoltre necessario non solo un coordinamento con i medici di medicina generale ma anche una stretta collaborazione con i farmacisti”.

Ne è convinta Serena Rakar, Presidente ANMCO FVG. “Il momento del ricovero e della dimissione del paziente dovrebbero essere momenti educativi importanti. Oggi viene spiegato al paziente come comportarsi una volta che tornerà a casa e quali terapie assumere solo al momento della lettera della dimissione, invece dovrebbe essere fatto in tutto il percorso del ricovero. Questi momenti educativi possono essere concretizzati con filmati e distribuzione di opuscoli, continuando ad avere un rapporto stretto con il paziente, raggruppando i pazienti per patologie e parlando ad hoc con ogni paziente e con la famiglia trovando il tempo necessario di cui hanno bisogno. Ricordo che in cardiologia la non aderenza terapeutica è un fattore di rischio cardiovascolare perché va a incidere sulla qualità di vita dei nostri pazienti e sulla mortalità. Già dopo 6 mesi crolla quasi del tutto”.

Andrea Bellon, Presidente Federfarma Veneto rimarca il ruolo strategico del farmacista. “Rappresenta un punto di riferimento per il paziente poiché lo accoglie senza appuntamento e gli fornisce una consulenza. In Veneto entrano in farmacia una media di 200 cittadini al giorno, ci sono 1.500 farmacie sul territorio e si registrano 250mila-300mila accessi al giorno su una popolazione di 5 milioni di abitanti. Ritengo sia importante la collaborazione tra farmacista e prescrittore per garantire una maggiore aderenza della terapia. È stato avviato un progetto nazionale sull’aderenza alla terapia del paziente cronico e la Regione Veneto ha già definito un protocollo sulla presa in carico”.

Secondo Vincenzo Lolli, Segretario SIFO Veneto, il ruolo del farmacista è di “cerniera” tra medico di medicina generale e lo specialista ospedaliero ed è importante il dialogo, la comunicazione e dedicare più tempo alla famiglia e al caregiver che si interfacciano alla struttura o con il medico di medicina generale. “Bisogna che ogni professionista si prenda in carico i suoi pazienti e li segua utilizzando e migliorando nel tempo gli strumenti che si hanno a disposizione, altrimenti si ha un paradigma che rappresenta solo la frammentazione delle competenze e non si arriva mai a misurare gli esisti o l’efficacia delle cure. Occorre una azione condivisa e sinergica, occorre lavorare insieme e in rete perché la tecnologia stessa ce lo permette sia dal punto di vista informatico e organizzativo e la tecnologia viverla come strumento per creare un sistema di cura centrato sul paziente”.

Richieste di aiuto arrivano dalle stesse famiglie e caregiver che lavorando non hanno la possibilità di seguire il famigliare ammalato. “Da un anno stiamo portando a casa dei nostri anziani i farmaci e la spesa e abbiamo messo a disposizione due pulmini per sbrigare le faccende degli anziani ammalati – ha spiegato Vincenzo Gigli, Presidente FederAnziani Senior Veneto – I famigliari si rivolgono a noi perché lavorano e grazie a noi trovano una soluzione. Siamo convinti che le associazioni, che sono il livello più vicino al paziente, possono aiutare le istituzioni sanitarie a mettere in campo progetti, dal fascicolo sanitario elettronico alla telemedicina, ma sempre in un principio di sussidiarietà e non di sostituzione. Le associazioni di pazienti vorrebbero essere coinvolte maggiormente a livello regionale e nazionale perché potrebbe essere un primo passo per ottimizzare e rendere reale il vero impegno che coinvolge tutti gli attori”. A permettere i risultati di aderenza che tanto si auspicano, secondo Guido Polese, Direttore UOC Pneumologia ULSS 9 Scaligera potranno essere “una piattaforma di dati condivisa che gestisca la cronicità e la figura dell’infermiere che gestisca l’educazione del paziente, che non è sul solo farmaco, ma anche sulle ansie e le paure rispetto all’effetto dei farmaci e sullo stile di vita”.

Quanto alla figura dell’infermiere Luciano Pletti, Direttore ff Distretto di Latisana ASU FC . Presidente Card Italia FVG ha spiegato “E’ un professionista che ha acquisito competenze di autonomia e può essere ulteriormente valorizzato, è un veicolo di informazione e di educazione terapeutica e può contribuire ad aumentare nella comunità l’alfabetizzazione sanitaria, il livello di consapevolezza della cultura sanitaria, come lo stesso il farmacista e il medico di medicina generale. Quanto al paziente deve diventare artefice della propria cura e del perseguimento della propria salute. Si viene così a definire una rete di soggetti accanto al paziente molto strategica. Infine, telemonitoraggio, telemedicina, cartella condivisa informatizzata sono fondamentali, non sostituiscono il ruolo del professionista ma offrono delle opportunità che stiamo ancora poco sfruttando, ma ricordiamo che saranno il futuro”.

Una patologia che conta circa 20.000 decessi l’anno

Di Malta

“Cirrosi epatica: Aderenza alle terapie, prevenzione e presa in carico per migliorare qualità di vita del paziente e sostenibilità del SSN”

19 marzo 2021 – Migliorare l’aderenza alla terapia, prevenire complicanze gravi come  encefalopatia epatica e ascite, potenziare l’assistenza domiciliare, formare il paziente e il
caregiver, rendere sostenibili le cure e aumentare la qualità e l’aspettativa di vita. Questi gli  argomenti discussi, con i principali interlocutori della Regione Sicilia, durante il Webinar: “Focus
Sicilia. La realtà italiana della cirrosi epatica in epoca pandemica tra terapie e impatto socio economico”, organizzato da Motore Sanità grazie alla sponsorizzazione non condizionante di
Alfasigma S.p.A.

Particolare attenzione è stata data alla necessità di prevenire l’encefalopatia epatica dato che è
la più invalidante complicanza della cirrosi, causa di ripetuti ricoveri, di problemi per tutto il
contesto familiare del paziente e di un aggravio dei costi per il SSN.

“Le malattie croniche del fegato (MCF) rappresentano un’emergenza epidemiologica e clinica sia a  livello mondiale che nazionale. I dati del Global Burden of Diseases stimano che nel 2016, nel mondo,
sono decedute 828.940 persone per epatocarcinoma e 1.256.850 persone per cirrosi epatica,  determinando nello stesso anno rispettivamente circa 20 e 37 milioni di anni di vita persi. Lo stesso  report stima per il 2040 un incremento del numero di decessi per carcinoma epatico e per cirrosi  epatica rispettivamente del 100% e del 50%. In linea con queste stime, i dati ISTAT del 2019 riportano  che in Italia, nel 2018, 9.246 erano dovuti a epatocarcinoma e 1.020 erano dovuti a cirrosi epatica. La Sicilia rappresenta circa il 10% della popolazione italiana, dati dell’assessorato regionale alla  Salute mostrano mortalità per cirrosi e per epatocarcinoma nel 2018 di 600 e 900 casi. Ma purtroppo  questo avrà un’inversione di tendenza con l’avvento delle malattie croniche di fegato legate al  metabolismo ed all’obesità le “steatoepatiti” una nuova tempesta. Purtroppo , inoltre l’avvento ed  il mantenimento dell’attuale pandemia determina una minore attenzione al monitoraggio e delle  cure delle complicanze della cirrosi (ipertensione portale ed encefalopatia portosistemica). In Sicilia  il monitoraggio delle malattie croniche di fegato è favorito dalle reti informatizzate regionali, nate  come RETEHCVSICILIA che raccoglie circa 20000 pazienti ed ora attraverso la più ampia rete  epatologica SINTESIEPATOLOGY”, ha dichiarato Fabio Cartabellotta, Direttore UOC Medicina  Interna Ospedale Buccheri La Ferla Palermo, Responsabile Rete HCV Sicilia“La malattia di fegato rappresenta una condizione ad elevato impatto per il sistema sanitario non solo per la sua rappresentazione clinica finale rappresentata dalla cirrosi epatica che comunque condiziona una ulteriore accelerazione del consumo delle risorse a detrimento della qualità della vita  dei pazienti. Infatti, condizioni emergenti che vedono la steatosi epatica e la sua evoluzione cirrogena  un marker anche di rischio cardiovascolare e metabolico debbono farci riflettere sulla necessità di  un inquadramento internistico della persona con problemi di fegato. In questo senso è auspicabile  cominciare a pensare a percorsi di gestione ambulatoriale complessa che vedano ospedale di alta  specialità e territorio collaborare insieme per ridurre l’impatto socio-economico sul sistema  sanitario. Tali percorsi innovativi devono prevedere una perfetta integrazione con i servizi di  nutrizione clinica e la nascita di centri per l’attività fisica adattata. Il paziente è una entità complessa  e per questo bisogna dare risposte complesse ed organizzate al suo bisogno di salute in cui ci sia un  efficace coordinamento internistico della multidisciplinarietà e della multiprofessionalità”, ha  spiegato Salvatore Corrao, Direttore Medicina Interna e Dipartimento di Medicina Clinica, ARNAS  Civico, Palermo “Un recente studio (Mennini et al, 2018), basato su dati Real-world italiani ha calcolato i costi  sostenuti dal SSN per le ospedalizzazioni dovute a episodi di Encefalopatia Epatica conclamata  (OHE). Lo studio riferisce che i pazienti con encefalopatia epatica sono caratterizzati da una storia  clinica più severa di quella riportata in letteratura: l’incidenza di nuovi ricoveri dopo il primo risulta  pari al 62%, più elevata di altri studi osservazionali italiani o di trial clinici. La probabilità di decesso  al primo ricovero risulta pari al 32% (superiore rispetto studi osservazionali e RCT). Ancora,  la probabilità di decesso, dei dimessi, per tutte le cause risulta pari al 29% nel primo anno e al 33%  entro il secondo (anche qui più elevata rispetto a studi osservazionali e RCT) generando un impatto economico per il SSN pari a € 13.000 per paziente. Riportando il valore a livello Nazionale, si tratta di una spesa di € 200 milioni per la sola assistenza ospedaliera. Nel 2020 è stata effettuata un’analisi aggiuntiva (Mennini et al, EEHTA CEIS, 2020) con l’obiettivo di confrontare le Guide Lines sulla HE con i dati Real World dopo un primo ricovero per OHE. L’analisi dell’aderenza alla terapiaevidenzia due aspetti fondamentali: i pazienti dimessi dopo un episodio di HE non assumono la terapia prescritta e solo i pazienti più gravi sembrerebbero essere più aderenti al trattamento. Emerge in maniera decisa l’indicazione di utilizzare trattamenti più appropriati dopo il primo ricoveroper ridurre l’elevato rischio di ricadute e diminuire l’impatto dei costi”, ha affermato Francesco S. Mennini, Professore di Economia Sanitaria e Economia Politica, Research Director-Economic Evaluation and HTA, CEIS, Università degli Studi di Roma“Tor Vergata” – Presidente SIHTAIvan Gardini, Presidente EpaC ha detto, “considerato l’incremento attuale dei contagi del virus SarsCov-2 siamo molto preoccupati per i pazienti con cirrosi epatica perché dovrebbero effettuare controlli e procedure sanitarie a cadenza periodica e molto spesso questi esami si svolgono in ambito ospedaliero. Sono oltre 100.000 i pazienti con cirrosi e malattia avanzata già curati dall’epatite C ma
ancora a rischio di sviluppare un tumore del fegato, inoltre, ci sono almeno altri 100.000 casi correlati ad altre patologie come alcol, obesità, epatite B, ecc. La preoccupazione vale anche per anche per tutti i pazienti con malattia avanzata che devono iniziare una qualunque terapia, ad esempio per l’eradicazione del virus dell’epatite C. Un recente studio (Kondili LA, Marcellusi A, Ryder S, Craxì A. Will the COVID-19 pandemic affect HCV disease burden? Digestive and Liver Disease, 2020 52(9). https://doi.org/10.1016/j.dld.2020.05.040) ha stimato che ritardare l’inizio delle cure di 12 mesi, decuplica le complicanze e i decessi nei 5 anni successivi. È quindi indispensabile indicare quali sono le prestazioni differibili da quelle indifferibili in questi pazienti ad alto rischio di complicanze. Le cure e il monitoraggio dei malati cronici a rischio dovrebbero continuare attraverso approcciinnovativi come il telemonitoraggio e la telemedicina oppure decentralizzando esami e prestazioni spostandoli dall’ospedale al territorio per evitare di esporre i pazienti fragili a rischi inutili. Sarebbe anche di grande aiuto semplificare gli atti burocratici come rinnovare automaticamente i piani terapeutici, consentire il ritiro dei farmaci ospedalieri presso la farmacia di fiducia o consegnarlidirettamente a casa, incrementare le confezioni erogabili e tutte le altre modifiche di natura amministrativa che possono incidere positivamente sulla qualità di vita di pazienti cronici che devono
restare sempre più protetti e monitorati come raccomandato da tutti gli esperti”.

Alfasigma
Alfasigma, tra i principali player dell’industria farmaceutica italiana, è un’azienda focalizzata su specialità da prescrizione
medica, prodotti di automedicazione e prodotti nutraceutici. Nata nel 2015 dall’aggregazione dei gruppi Alfa
Wassermann e Sigma-Tau – due tra le storiche realtà farmaceutiche italiane – oggi è presente con filiali e distributori in
circa 90 paesi nel mondo. L’azienda impiega oltre 3000 dipendenti, di cui più della metà in Italia suddivisi in 5 sedi: a
Bologna il centro direzionale e a Milano la sede della divisione internazionale, mentre a Pomezia (RM), Alanno (PE) e a
Sermoneta (LT) sono localizzati i siti produttivi. Bologna e Pomezia ospitano anche laboratori di Ricerca e Sviluppo. In
Italia Alfasigma è leader nel mercato dei prodotti da prescrizione dove è presente in molte aree terapeutiche primary
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