Gli ordini dei medici cambiano le regole deontologiche per il suicidio assistito

Gli ordini dei medici cambiano le regole deontologiche per il suicidio assistito

di Redazione 

Roma. 11 Febbraio 2020 – Non sarà punibile dal punto di vista disciplinare, dopo attenta valutazione del singolo caso, il medico che liberamente sceglie di agevolare il suicidio, ove ricorrano le condizioni poste dalla Corte Costituzionale. E’ quanto prevede una modifica del codice deontologico approvata all’unanimità dal Consiglio nazionale della Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo). Il Consiglio nazionale, composto dai 106 presidenti degli Ordini territoriali, ha così voluto aggiornare il Codice dopo la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, che ha individuato una circoscritta area in cui l’incriminazione per l’aiuto al suicidio non è conforme alla Costituzione, ricorda una nota. Secondo quanto riferisce l’AdnKronos ‘Salute’ “la libera scelta del medico di agevolare, sulla base del principio di autodeterminazione dell’individuo, il proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi da parte di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli (sentenza 242/19 della Corte Costituzionale e relative procedure) – recita il testo degli indirizzi applicativi all’articolo 17 del Codice di Deontologia medica – va sempre valutata caso per caso e comporta, qualora sussistano tutti gli elementi sopra indicati, la non punibilità del medico da un punto di vista disciplinare“.

Si tratta dei casi nei quali l’aiuto riguarda una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (quali, ad esempio, l’idratazione e l’alimentazione artificiale) e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Se ricorrono tutte queste circostanze, oltre ad alcune condizioni procedurali, l’agevolazione del suicidio non è dunque punibile da un punto di vista penale. Ma cosa succede se, a prestare aiuto, è un medico? “Abbiamo scelto di allineare anche la punibilità disciplinare a quella penale – spiega il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli – in modo da lasciare libertà ai colleghi di agire secondo la legge e la loro coscienza. Restano fermi i principi dell’articolo 17, secondo i quali il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte. E ciò in analogia con quanto disposto dalla Corte, che, al di fuori dell’area delimitata, ha ribadito che l’incriminazione dell’aiuto al suicidio ‘non è, di per sé, in contrasto con la Costituzione ma è giustificata da esigenze di tutela del diritto alla vita, specie delle persone più deboli e vulnerabili, che l’ordinamento intende proteggere evitando interferenze esterne in una scelta estrema e irreparabile, come quella del suicidio”.

Cosa cambierà, dunque, nella pratica? “I Consigli di disciplina saranno chiamati a valutare ogni caso nello specifico, per accertare che ricorrano tutte le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale – spiega Anelli – Se così sarà, il medico non sarà punibile dal punto di vista disciplinare. In questo modo abbiamo voluto tutelare la libertà di coscienza del medico, il principio di autodeterminazione del paziente e, nel contempo, l’autonomia degli Ordini territoriali nei procedimenti disciplinari, correlandoli con la perfetta aderenza ai dettami costituzionali”. Frutto di un lungo lavoro della Consulta deontologica della Fnomceo coordinata da Pierantonio Muzzetto, gli indirizzi applicativi sono stati approvati dal Comitato Centrale del 23 gennaio scorso e portati questa mattina all’esame del Consiglio nazionale. Da oggi sono parte integrante del Codice di Deontologia Medica.

Secondo l’indagine di Deloitte un italiano su tre non si cura per motivi economici

Secondo l’indagine di Deloitte un italiano su tre non si cura per motivi economici

 

di Redazione

Roma. 11 Febbraio 2020 – Un’indagine del network Deloitte mostra tutte le criticità, i giudizi e gli aspetti virtuosi che coinvolgono la salute e le cure in Italia, raccogliendo l’opinione di quasi 4 mila italiani maggiorenni, cui è stata chiesta la frequenza di fruizione dei servizi negli ultimi tre anni, una valutazione della qualità dei servizi pubblici e privati rispetto all’anno precedente, la diffusione e la motivazione di cure e assistenza fuori dalla propria Regione (il cosiddetto ‘turismo sanitario’), l’eventuale rinuncia alle cure per motivi economici, la conoscenza e l’attivazione di polizze sanitarie e la percezione dell’innovazione in campo sanitario. Secondo i dati oltre sei persone intervistate su dieci hanno fatto esami di laboratorio (per l’81% in strutture pubbliche o convenzionate) o hanno usufruito del servizio del medico o pediatra di famiglia. Il 44% dei cittadini che hanno avuto bisogno di cure odontoiatriche ha utilizzato, quasi otto volte su dieci, professionisti privati o servizi di libera professione in strutture pubbliche. Pratiche di screening e prevenzione, nell’80% dei casi, sono fatte dal pubblico o strutture convenzionate.

Dal sondaggio di Deloitte è emerso che il 21% degli intervistati ha utilizzato i servizi di pronto soccorso negli ultimi tre anni e lo ha fatto di meno chi ha un reddito più alto: i più benestanti fanno più visite specialistiche (compresa odontoiatria) e diagnostica strumentale. Il 57% degli intervistati, poi, avrebbe sostenuto spese per servizi sanitari per la famiglia, uno su tre tra i mille e i 5 mila euro. Mentre il 29% (che diventa il 41% nelle Isole e il 36% al Sud) avrebbe rinunciato a qualche tipo di cura per ‘motivi economici’ (e tra questi ci sarebbe anche un 21% della fascia di reddito alta e il 27% di quella media). In base a quanto riportato,il Servizio sanitario nazionale sarebbe promosso, con voto 6,2 su 10, anche nelle Isole a al Sud. Giudicato idoneo, ma con un risultato più alto (con 7,2 su 10) il servizio sanitario privato. I servizi erogati nell’ultimo anno sarebbero rimasti uguali per il 43% del campione e poco o molto peggiorati per il 37%. Più negativo, secondo gli anziani, chi ha un reddito basso e le donne.

Secondo quanto riportato dal quotidiano, se il 118 e il medico di famiglia risultano ancora i servizi più apprezzati, ciò che per le persona ascoltate ancora non funziona nelsistema sono le liste d’attesa peri ricoveri, la diagnostica e le visite ambulatoriali. Un terzo degli italiani, infatti, si sarebbe spostato in altre Regioni (circa il 72%) o addirittura all’estero (il 28%) per cercare la migliore struttura, medici ritenuti più adeguati o la risoluzione del problema dei tempi troppo lunghi (con ricadute di spesa e un impatto importante sui bilanci familiari). In Italia, l’assicurazione sulla salute ancora non sembra essere una pratica utilizzata. Se se ne occupa l’azienda per cui una persona sta lavorando allora esiste la possibilità, ma sarebbero ancora pochi a sottoscriverla autonomamente (una persona su cinque). Ma come sottolineato dal sondaggio, chi è assicurato, in tre casi su quattro, consiglierebbe a parenti e ad amici di fare lo stesso. Secondo quanto ricostruito, costi e diffidenza sarebbero le motivazioni alla base della scelta di non stipulare il contratto.

La percezione dell’innovazione nella sanità italiana appare però come negativa. Sulla digitalizzazione del settore, rispetto ad altri comparti, il 38% del campione lo giudica inferiore, il 32% uguale e il 21% non si esprime. E per quanto riguarda la domanda su quanto gli operatori sanitari abbiano competenze digitali, il 41% parla di sufficienza, mentre il 20% ritiene la loro preparazione insufficiente. Il 41% degli interpellati non sa che cosa sia il fascicolo elettronico sanitario (cioè la storia clinica dei cittadini digitalizzata, personalizzata e unificata per consultazione) e soltanto il 31% dichiara di aver ricevuto un referto tramite posta elettronica. Il 35% degli intervistati, invece, ha prenotato un servizio online, mentre il 23% utilizza anche una chat o un’applicazione per comunicare con il medico. E l’8% ha usufruito della telemedicina.