Il Consiglio dei ministri approva il nuovo contratto nazionale: + 190 euro al mese

Il Consiglio dei ministri approva il nuovo contratto nazionale: + 190 euro al mese

 

Roma. 25 Novembre 2019 – Il nuovo contratto collettivo nazionale per il triennio 2016-2018 dell’Area sanità approvato dal Consiglio dei ministri riguarda circa 130 mila dirigenti medici, veterinari, sanitari e delle professioni sanitarie la ratifica del. Esso «adegua gli istituti del rapporto di lavoro dopo una vacanza contrattuale che durava da circa dieci anni (l’ultimo Ccnl riguardava il biennio 2008-2009)» e «riconosce incrementi retributivi a regime del 3,48%, corrispondenti ad un beneficio medio complessivo di circa 190 euro/mese, che valorizza anche la quota di retribuzione erogata a livello locale per la remunerazione delle condizioni di lavoro, dei risultati raggiunti e degli incarichi dirigenziali». Lo fa sapere il Dipartimento funzione pubblica in una nota in cui riferisce la soddisfazione dal titolare di Palazzo Vidoni, Fabiana Dadone.

Il contratto «riformula le relazioni sindacali prevedendo adeguate forme di partecipazione sindacale ed attualizza, in armonia con le nuove norme di legge, le disposizioni concernenti la responsabilità disciplinare». Inoltre, il ccnl, approvato su proposta del ministro Dadone e del ministro della Salute, Roberto Speranza, «amplia importanti tutele già previste per il personale del comparto (da quelle concernenti le gravi patologie che necessitano di terapie salvavita, a quelle in favore delle donne vittime di violenza, alle ferie e riposi solidali per i dirigenti che debbono assistere figli minori bisognosi di cure)», prosegue la nota. «Viene riconosciuta e salvaguardata la specialità della dirigenza del Ssn, valorizzandone la carriera e prevedendo un accurato sistema di valutazione» si legge ancora nella nota del Dipartimento Funzione pubblica. Nell’ambito economico infine, si sottolinea, «è stata operata una rivalutazione degli stipendi tabellari a regime di 125 euro mese per tredici mensilità a cui si aggiungono gli ulteriori incrementi che hanno interessato la parte accessoria del salario, con una particolare attenzione agli istituti retributivi più direttamente correlati alla erogazione dei servizi (guardie mediche e retribuzione di risultato)», conclude il Dfp.

 

Sanità italiana tra le prime 10 per qualità Al 9° posto dopo Nord Europa e Australia

Sanità italiana tra le prime 10 per qualità Al 9° posto dopo Nord Europa e Australia

Roma. 25 Novembre 2019 – La ‘certificazione’ che arriva dalla prima analisi a livello nazionale ‘Global Burden of Disease (GBD) Study’, pubblicata sulla rivista ‘The Lancet Public Health’ e coordinata dall’IRCCS Materno-Infantile Burlo Garofolo di Trieste parla chiaro: il Servizio sanitario nazionale italiano è nono al mondo per qualità, dopo Islanda, Norvegia, Olanda, Lussemburgo, Australia, Finlandia, Svizzera e Svezia. “Ne emerge un quadro globalmente positivo – afferma Lorenzo Monasta, primo autore del lavoro – pur con alcune criticità”. Tra le criticità, l’invecchiamento rapido della popolazione, spiega Monasta, “è spiegato col fatto che in Italia abbiamo uno dei tassi di fertilità più bassi al mondo (1,3%) e contemporaneamente una tra le più alte speranze di vita (che ci colloca all’8/0 posto nel mondo per aspettativa di vita alla nascita, 85,3 anni per le donne, 80,8 per gli uomini nel 2017)”.

 

Questo scenario sta cambiando il panorama epidemiologico delle malattie, aumentando il carico delle patologie croniche tipiche dell’invecchiamento, dai problemi di vista e udito all’Alzheimer e altre demenze: “basti pensare – dice all’ANSA – che gli anni di vita con disabilità legati ad Alzheimer e altre demenze sono aumentati del 78% dal 1990 al 2017 e i decessi per Alzheimer più che raddoppiati (+118%). L’altro aspetto significativo – aggiunge Monasta – è che dal 1990 ad oggi è aumentata gradualmente la spesa privata del cittadino per la salute, di pari passo a una riduzione del finanziamento pubblico alla salute, riduzione che, quindi, non è frutto di una aumentata efficienza del servizio sanitario”. In particolare, rileva l’esperto, dal 2010 al 2015 il finanziamento statale in rapporto al PIL è sceso dal 7% al 6,7%, mentre nello stesso arco di tempo la spesa privata per la salute è passata aumentato dall’1,8% al 2%. Inoltre, dal 1995 la spesa complessiva per la salute in rapporto al PIL è aumentata dell’1,15%, aumento assorbito, però, non dal finanziamento pubblico, ma da quello privato.

 

Società Italiana di diabetologia e Cineca: dal rapporto ARNO una foto d’Italia in 3D

Società Italiana di diabetologia e Cineca: dal rapporto ARNO una foto d’Italia in 3D

 

Roma. 25 Novembre 2019 – Arriva il rapporto sullo stato del diabete nella penisola, costruito a partire da dati provenienti da tre diverse fonti di informazione: farmaci, dispositivi diagnostico-terapeutici, prestazioni sanitarie erogati dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) alle persone con diabete in Italia.  L’analisi di questa grande mole di dati consente di ricostruire una vera e propria fotografia tridimensionale del diabete in Italia. Una preziosissima fonte di informazione per i decisori amministrativi e politici, per i medici, le associazioni pazienti e per tutti quanti abbiano a che fare col mondo del diabete. Il Rapporto ARNO diabete, giunto quest’anno alla quinta edizione, è frutto di una collaborazione tra la Società Italiana di Diabetologia e il CINECA. Il Rapporto è stato coordinato dal professor Enzo Bonora per la Società Italiana di Diabetologia e dalla dottoressa Elisa Rossi per il Cineca. La ‘corsa’ del diabete sta forse rallentando, “tuttavia questo non può diventare un invito ad abbassare la guardia – sottolinea il professor Francesco Purrello, presidente della Società Italiana di Diabetologia – perché il diabete resta una patologia complessa e pericolosa, per le tante complicanze alle quali può portare. Perché sono comunque 4 milioni gli italiani con diabete diagnosticato e probabilmente un altro milione che non ha ancora scoperto di esserlo. Perché l’obesità, che è uno dei principali fattori di rischio per il diabete di tipo 2, continua a far paura con le sue cifre in particolare tra i giovani e i giovanissimi, soprattutto al Centro-Sud. Perché insomma c’è ancora davvero tanto ancora da fare ma bisogna trovare i canali e le suggestioni giuste per far capire al pubblico che la prevenzione è un alleato della salute e del benessere. Non un cilicio da indossare di mala voglia giorno dopo giorno”.

Quante sono le persone con diabete in Italia. Dopo anni di crescita, sembra sia stata raggiunta una certa ‘stabilità’ (ma non una flessione).  Su 11 milioni di cittadini inclusi nell’analisi relativa ai dati 2018 (riguardante cioè poco meno di 1 italiano su 5 dei 60 milioni di residenti nel nostro Paese), 700 mila sono quelli con diabete.  Lo studio di questi pazienti effettuato da tre angolazioni diverse (farmaceutica, esenzioni ticket e diagnosi riportate sulle schede di dimissione ospedaliera) consente di stimare la prevalenza del diabete in Italia al 6,2 per cento, simile dunque a quella registrata da circa 5 anni a questa parte, dunque sostanzialmente stabile. “Il fenomeno diabete – commenta il professor Enzo Bonora, ordinario di Endocrinologia, Università di Verona e responsabile del Rapporto ARNO per la Società Italiana di Diabetologia – sembra dunque aver raggiunto una stabilizzazione, dopo la crescita continua degli anni ‘90 e della prima decade del millennio”. Estrapolando questa stima all’intero Paese (nel 2018 i residenti in Italia erano 60,5 milioni), il numero degli italiani con diabete sarebbe dunque pari a circa 3.750.000. “Tuttavia – spiega il professor Bonora – questo numero non tiene conto di quanti tra i diabetici non assumono farmaci erogati dal SSN, non hanno l’esenzione dal ticket (a richiederla incredibilmente è solo il 70 per cento dei soggetti con diabete), di quelli mai ricoverati nel 2018 o di quelli ricoverati ma per i quali, in scheda di dimissione, i medici non hanno riportato la diagnosi ‘diabete’ (che è quanto succede nel 50% dei ricoverati con diabete) . “Al netto di tutte queste considerazioni dunque – prosegue Bonora – la stima delle persone con diabete diagnosticato in Italia sale ben al di sopra di 4 milioni. E resta ovviamente incerto il numero dei diabetici non diagnosticati che, secondo stime desunte dai dati epidemiologici osservazionali potrebbe essere di almeno un altro milione”.

Patologia che interessa gli anziani, ma un terzo è in piena età lavorativa. Circa il 67 per cento dei diabetici italiani ha un’età pari o superiore ai 65 anni e un paziente su 5 ha un’età pari o superiore a 80 anni; solo l’1 per cento ha meno di 20 anni. Circa il 32 per cento dei soggetti si colloca tuttavia in una fascia d’età lavorativa (20-64 anni). La prevalenza del diabete fra i 20 e i 49 anni è maggiore tra le donne, mentre fra i 50 e gli 80 anni è superiore tra gli uomini. La prevalenza complessiva è maggiore nei maschi. Questi dati confermano che il diabete colpisce prevalentemente gli anziani; ma, su scala nazionale, circa 1 milione di persone con diabete si trova nel pieno dell’età lavorativa.

Diabete in Italia: ma quanto mi costi? La valutazione dei flussi amministrativi fornisce informazioni sulla spesa per l’assistenza diabetologica “che tuttavia – commenta Bonora – risulta sottostimata perché più che a costi ‘veri’ fa riferimento a ‘tariffe standard’. La spesa, desunta dai flussi amministrativi, ammonta a circa 2.800 euro per paziente (il doppio che per i non diabetici). Estrapolando questo dato alla popolazione italiana con diabete, la spesa complessiva annuale a carico del SSN supera i 10 miliardi di euro. Una spesa virtuale, come detto, perché fa riferimento a tariffe (prezzi) più che costi effettivi. La composizione della spesa è da riferire per metà al costo dei ricoveri, per il 16 per cento alla specialistica, per il 31 per cento ai farmaci non per il diabete, per il 9 per cento ai farmaci anti-diabete, per il 4 per cento ai dispositivi (aghi per penne o siringhe, lancette pungidito e strisce per la misurazione della glicemia), mentre solo l’1 per cento è imputabile alle visite diabetologiche. In generale, il 90 per cento dei costi è attribuibile a complicanze e comorbilità, mentre solo il 10 per cento è assorbito dalla gestione del problema metabolico.

Le persone con diabete assumono un numero di farmaci doppio rispetto alla popolazione generale e l’83 per cento di loro effettua almeno una prestazione specialistica (visita, esami di laboratorio o strumentali, trattamento ambulatoriale) l’anno. Inoltre una persona con diabete su 6 viene ricoverata almeno una volta l’anno. Le persone con diabete vengono ricoverate il doppio rispetto ai non diabetici e la loro permanenza in ospedale durante un ricovero è in media di 1,5 giorni più lunga degli altri. Gran parte delle persone con diabete presenta complicanze e comorbidità (che sono in realtà vere e proprie complicanze della malattia), come testimoniato dal maggior numero di farmaci assunti, dal maggiore numero di esami di laboratorio e strumentali, di visite specialistiche e di ricoveri ospedalieri rispetto ai non diabetici.

Con quali farmaci si curano le persone con diabete in Italia. Il 96 per cento delle persone con diabete assume un farmaco anti-diabete o per altre patologie; in generale, le persone con diabete assumono un numero di farmaci doppio rispetto alla popolazione generale. Il 26 per cento dei pazienti assume insulina (da sola o in associazione ad altri farmaci); il 44 per cento della spesa farmaceutica per gli anti-diabete è assorbito dagli analoghi dell’insulina. Fra i farmaci usati per la terapia del diabete, si registra un incremento dei principi attivi più nuovi (sono in terapia con inibitori di DDP4 il 14 per cento delle persone con diabete, con gli analoghi di GLP-1 dal 5 per cento e con gli inibitori di SGLT2 un altro 5 per cento dei pazienti) ma con percentuali di utilizzo ancora molto al di sotto di quanto raccomandato dalle linee guida; solo una persona con diabete su 4 nel nostro Paese è in trattamento con i farmaci arrivati negli ultimi dieci anni. La spesa per queste nuove molecole ammonta tuttavia al 35 per cento del totale. Il farmaco più usato per il trattamento del diabete resta la metformina (la assume l’80 per cento dei soggetti); una persona con diabete su 5 continua ad assumere sulfaniluree e il 9 per cento repaglinide. “Anche alla luce delle ultime linee guida di trattamento – sottolinea il professor Bonora –  il fatto che il 31 per cento dei pazienti sia ancora in trattamento con sulfaniluree o con repaglinide, merita un’attenta riflessione, nell’ambito della quale va ricordato che i nuovi farmaci possono ancora essere prescritti solo dagli specialisti”.

I farmaci anti-diabete più prescritti. L’insulina glargine è la più prescritta fra gli analoghi basali dell’insulina, l’insulina lispro fra gli analoghi rapidi. Gliclazide è la sulfonilurea più prescritta, sitagliptin è il più usato tra gli inibitori DPP-4, empagliflozin il più prescritto fra gli inibitori di SGLT-2 e dulaglutide tra gli agonisti del recettore GLP-1 (analoghi GLP-1). Le combinazioni fisse di glibenclamide, pioglitazone, inibitori DPP-4 e inibitori SGLT-2 con metformina sono generalmente più prescritte delle rispettive monoterapie.

Ma le persone con diabete si controllano in maniera adeguata? La maggior parte delle persone con diabete nel corso dell’anno riceve più prestazioni specialistiche e con frequenze maggiore dei non diabetici. Preoccupa tuttavia il fatto che il 24 per cento delle persone con diabete (cioè un diabetico su 4) non faccia nel corso dell’anno nemmeno un esame del sangue per valutare parametri di laboratorio essenziali nel monitoraggio della malattia e che il 31 per cento (dunque quasi 1 su 3) non effettui alcuna visita specialistica. In particolare, l’emoglobina glicata (HbA1c), che dovrebbe essere misurata in tutti i diabetici almeno due volte l’anno, risulta prescritta almeno una volta nell’anno solo nel 63 per cento dei pazienti; anche il dosaggio del colesterolo e della creatinina sono stati eseguiti solo nel 61 per cento e nel 63 per cento dei soggetti rispettivamente. Prescrizioni inferiori a quanto raccomandato nelle linee guida si sono osservate anche per visita oculistica e microalbuminuria. E le cose non vanno meglio sul versante dell’automonitoraggio della glicemia, che viene effettuato solo da una persona con diabete su due, quando invece a farlo dovrebbero essere tutti (anche se con una frequenza di controlli giornalieri diversa a seconda del quadro clinico e delle terapie effettuate).

Donne e diabete: tanto lavoro ancora da fare. Le donne con diabete ricevono meno assistenza degli uomini; alle donne vengono prescritti meno farmaci e meno dispositivi rispetto agli uomini, fanno meno esami e meno visite specialistiche. I dati sulle gravidanze evidenziano inoltre quanto sia frequente il diabete gestazionale fra le donne di altra etnia o provenienti da altri paesi che vivono in Italia.