Obesity Day: quindici società scientifiche firmano la carta della persona con obesità

Obesity Day: quindici società scientifiche firmano la carta della persona con obesità

di Redazione

Roma. 10 ottobre 2019 – “L’obesità è una malattia potenzialmente mortale, riduce l’aspettativa di vita di 10 anni, ha gravi implicazioni cliniche ed economiche, è causa di disagio sociale spesso tra bambini e gli adolescenti e favorisce episodi di bullismo. Eppure, l’Italia e l’Europa, sino ad oggi, hanno guardato altrove! Per questo si richiede un impegno sinergico da parte delle Istituzioni, delle Società Scientifiche, delle Associazioni di Pazienti e dei Media che tuteli la persona con obesità e ne riconosca i diritti di paziente affetto da patologia”. Con questo appello l’ADI, Associazione Italiana di Dietetica e nutrizione clinica, la sua Fondazione e l’Italian Obesity Network, IO-NET hanno sottoscritto alla Camera dei Deputati la “Carta dei diritti e dei doveri della persona con obesità”, insieme ad altri 12 firmatari tra società scientifiche, associazioni di pazienti e cittadini, fondazioni e CSR attive nella lotta all’obesità in Italia: Intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete”- ANCI; Amici Obesi; CittadinanzAttiva; CSR Obesità; SIEDP; SIMG; SICOB; SIE; IBDO Foundation; FO.RI.SIE e OPEN Italia; ADI; SIO; IWA.

La Carta firmata in occasione della presentazione della 19ma edizione dell’Obesity Day, la campagna di sensibilizzazione e prevenzione dell’obesità, promossa tutti gli anni il 10 ottobre dall’ADI, per tramite della sua Fondazione, vuole essere uno strumento di advocacy, sensibilizzazione e dialogo con le istituzioni per:

. riconoscere l’obesità come malattia cronica caratterizzata da elevati costi economici e sociali;

. definire i ruoli degli specialisti che si occupano di tale patologia; assicurare alla persona il pieno accesso alle cure e ai trattamenti dietetico-alimentari, farmacologici e chirurgici e definire le prestazioni di cura e le modalità per il rimborso delle stesse;

. promuovere programmi per la prevenzione dell’obesità infantile e per la lotta alla sedentarietà; implementare un Piano Nazionale sull’obesità condiviso con tutte le Regioni per sviluppare interventi basati sull’unitarietà di approccio e una migliore organizzazione dei servizi;

. tutelare la persona in tutti gli ambiti sociali, culturali e lavorativi, da fenomeni di bullismo e combattere lo stigma del peso.

Se vogliamo porre fine allo stigma dell’obesità – ha dichiarato Antonio Caretto, presidente della Fondazione ADI – È importante adeguare il nostro linguaggio e i nostri comportamenti aumentando la consapevolezza e migliorando la nostra conoscenza dell’impatto che la patologia ha sulla salute e tutelando i diritti della persona con obesità.” Il documento prende, infatti, spunto dalla Dichiarazione universale dei diritti umani; dalla Costituzione Italiana; dalla Carta Europea dei Diritti del Malato; dallo Studio ACTION-IO; dalla roadmap elaborata da OPEN Italia e dalle raccomandazioni della World Obesity Federation per la lotta allo stigma e alla discriminazione della persona con obesità. “La Carta, richiamandosi ai diritti della persona, si appella implicitamente al principio di uniformità delle azioni in essa contenuta affinché vengano applicate e rispettate su tutto il territorio nazionale – ha sottolineato Giuseppe Fatati, presidente IO-NET – Inoltre candida le associazioni e le società scientifiche a un ruolo di controllore di queste azioni, attraverso una attività di advocacy, perché i diritti delle persone con obesità sono gli stessi dei diritti umani e sociali delle persone senza obesità”.

Per affrontare la malattia è necessario investire sulla formazione, sull’ampliamento e sul coordinamento delle organizzazioni sanitarie del Paese affinché vengano offerti ai pazienti cure e trattamenti appropriati e omogenei su tutto il territorio – aggiunge Giuseppe Malfi, presidente ADI – Non tutte le strutture sanitarie sono ancora dotate di centri di dietetica e nutrizione clinica, mentre tra quelle esistenti sono rari i casi di reale interdisciplinarità degli ambiti medici. Solo riconoscendo l’obesità come malattia possiamo rendere omogenea l’assistenza sanitaria e abbattere le barriere dei sensi di colpa, dei pregiudizi socio-culturali”.

Cancro alla prostata, un nuovo metodo diagnostico potrebbe sostituire il test PSA

Cancro alla prostata, un nuovo metodo diagnostico potrebbe sostituire il test PSA

di Redazione

Roma. 10 ottobre 2019 – Un nuovo Test ideato nei laboratori dell’Istituto Superiore di Sanità, potrebbe essere in grado di diagnosticare il tumore alla prostata senza ricorrere alla biopsia. Il metodo, i cui risultati sono stati pubblicati su ‘Cancers’ è stato messo a punto grazie a uno studio clinico prospettico frutto di una collaborazione con l’Unità di Neuroimmunologia dell’IRCCS Fondazione Santa Lucia e con il Dipartimento di Scienze Urologiche del Policlinico Umberto I di Roma. Il nuovo test è stato applicato su 240 campioni, dimostrandone la precisione diagnostica pari al 100 per cento di specificità (nessun falso positivo) e al 96 per cento di sensibilità. In base a questi risultati su 100 pazienti 96 potrebbero non avere bisogno di ulteriori approfondimenti diagnostici e con l’allargamento della base dei dati si potrà arrivare, in tempi relativamente brevi, a una procedura decisionale ottimale che renderà necessarie ulteriori analisi invasive a numero minimo di pazienti. Ciò renderà possibile cambiare in modo significativo la gestione clinica del paziente colpito da cancro alla prostata consentendo anche di intervenire con una prevenzione secondaria molto più efficace basata sia su terapia chirurgica che medica.

Fino ad oggi il dosaggio della PSA sierica – cioè il dosaggio dell’antigene prostatico specifico non era in grado di operare efficacemente la discriminazione tra le patologie maligne e quelle benigne che spesso coesistono nello stesso paziente – afferma Stefano Fais del Dipartimento Oncologia e Medicina Molecolare dell’Istituto Superiore di Sanità – grazie a questo nuovo test, invece, attraverso un semplice prelievo ematico è possibile diagnosticare la natura della neoplasia grazie alla possibilità di caratterizzare e quantificare i livelli plasmatici di exosomi che esprimono la PSA”. Gli exosomi (vescicole extracellulari di dimensioni nanometriche), che la gran parte delle cellule del nostro organismo rilasciano, servono infatti a trasportare e a scambiare diversi tipi di molecole tra le cellule, tanto da essere considerate ormai la principale sorgente di biomarcatori di malattia. Nel caso del cancro prostatico trasportano una PSA che per molti aspetti è diversa dalla classica PSA solubile presente nel siero. Nello studio sono state dimostrate, grazie al confronto dei valori della PSA sierica con quelli degli EXO-PSA, l’elevata sensibilità e la specificità del Test rispetto all’incapacità della PSA sierica nel distinguere il cancro della prostata da tutte le altre condizioni, compresa l’iperplasia prostatica benigna.

Si tratta di un Test di altissima precisione – afferma Alessandro Sciarra del Dipartimento di Scienze Materno infantili e Scienze urologiche del Policlinico Umberto I – vantaggioso innanzitutto per i pazienti che non devono sottoporsi a ulteriori indagini invasive e psicologicamente non devono sopportare lo stress dell’attesa dei risultati. Inoltre, l’uso diffuso di questo test può notevolmente ridurre la spesa sanitaria, evitando cioè i costi di ulteriori approfondimenti diagnostici”. Quindi, in base ai dati dello studio pubblicato su Cancers saranno possibili studi di screening basati su EXO-PSA sulla popolazione maschile a livello mondiale. Per l’Istituto Superiore di Sanità hanno partecipato al lavoro, oltre a Stefano Fais, Mariantonia Logozzi, dello stesso dipartimento che ha messo a punto ed eseguito la totalità dei test, mentre l’analisi statistica è stata eseguita, in collaborazione con il Dipartimento Ambiente e Salute, da Alessandro Giuliani. Il policlinico Umberto I ha curato sia la raccolta dei dati clinici dei pazienti che la raccolta dei campioni e L’IRRCS Fondazione Santa Lucia di Roma, grazie alla collaborazione di Daniela Angelini, ha messo a punto le analisi cito-fluorimetriche.

Studio Fimmg, cadute degli anziani ridotte del 20 per cento grazie al medico di famiglia

Studio Fimmg, cadute degli anziani ridotte del 20 per cento grazie al medico di famiglia

di Redazione

Roma. 10 ottobre 2019 – Il medico di famiglia, attraverso un’attività di informazione e prevenzione, può contribuire a ridurre di circa il 20% il numero delle cadute degli anziani e di circa il 45% il numero di accessi al pronto soccorso. È quanto emerge dallo studio PREMIO (Studio di Prevenzione primaria delle cadute domiciliari in pazienti anziani a rischio), realizzato dalla Scuola di Ricerca della FIMMG in collaborazione con il Centro Ricerche San Raffaele Roma e presentato nell’ambito del 76° Congresso nazionale FIMMG-Metis a Villasimius (Cagliari). «FIMMG, considerando come il medico di medicina generale per il suo ruolo sul territorio caratterizzato dal rapporto di fiducia con l’assistito e la continuità nel tempo dell’assistenza sia l’interlocutore privilegiato per l’implementazione di programmi di prevenzione, ha voluto realizzare questo studio che ha l’obiettivo primario di analizzare la differenza annuale, in termini di tasso di cadute riportate, tra un gruppo di pazienti non informati (CONTROLLO) e un gruppo di pazienti a cui viene offerto un programma di intervento coordinato dal MMG (INTERVENTO)» sottolinea una nota della federazione.

«118 ricercatori – spiega – hanno arruolato 1747 pazienti di oltre 65 anni, divisi in due gruppi, seguendoli nell’arco di 12 mesi. Al gruppo di intervento è stata offerta una serie di iniziative informative – educazionali finalizzate a ridurre il rischio ambientale di cause di cadute e un programma settimanale di attività fisica da svolgere a casa». «I risultati preliminari dello studio PREMIO – continua il comunicato – mettono in evidenza una riduzione di circa il 20 per cento di cadute complessive degli anziani appartenenti al Gruppo di intervento, con una significativa riduzione degli accessi al pronto soccorso, tra i due Gruppi di circa il 45 per cento, oggi intasati a causa degli innumerevoli accessi impropri». «La medicina generale ha condotto con grande impegno questo studio dimostrando capacità di svolgere studi di popolazione – ha sottolineato Walter Marrocco, direttore della Scuola di Ricerca della FIMMG – pur affrontando una serie di difficoltà, tra cui la mancanza di un quadro normativo che faciliti l’attività di ricerca e l’assenza degli elenchi dei medici ricercatori in medicina generale non presente in tutte le ASL, come previsto dalla legge». Lo Studio sembra altresì dimostrare come l’intervento del Medico di Medicina Generale sia particolarmente efficace nella prevenzione delle conseguenze legate all’invecchiamento della popolazione e agli effetti negativi delle condizioni di cronicità e complessità dei pazienti reali.